Filippo Tommaso Marinetti (1876 - 1944) |
Man mano che ci si
avvicina al Futurismo, la figura di Marinetti, che ne è stato il
motore assoluto, acquista d' interesse. Di Marinetti non esistono le
Opere complete, ed è un peccato, anche se ora si annunciano
varie iniziative editoriali, per esempio 1500 pagine di Taccuini,
l'Aeropoema di Gesù, il poema sulla Russia e Capri intima.
Di Marinetti non esiste neppure una biografia. Ora però ne ha
scritta una in inglese, per gli editori Weidenfeld & Nicholson,
la sua terza figlia, Luce, che è anche "curator" del
Centro Marinetti presso la Beineke Library dell' Università di Yale.
Siccome è ancora inedita, vorrei provare a farmela raccontare.
Signora, lei è la
figlia piccola, dopo Vittoria e Ala. Di Marinetti ha un ricordo
personale preciso?
Quando papà morì, avevo dodici anni; ma ho
di lui un ricordo vivissimo e intenso. Dormivo spesso accanto a lui,
che era molto malato, e lui mi diceva: "Non ti preoccupare,
Luce, stai tranquilla, tranquilla...".
Vogliamo cominciare da
qui, cioè dalla fine?
Papà era tornato dalla
Russia ammalato di un edema polmonare che spesso lo faceva rantolare.
Nell'ottobre del ' 43 (c' era già stato lo sbarco ad Anzio),
Bastianelli, il suo chirurgo, gli impose di lasciare Roma. Così
passammo un anno a Venezia, dove lui scriveva dalla mattina alla
sera. Poi, nel luglio del ' 44, andammo a Salò, e poi a Como ospiti
dei Mieli...
Chi erano i Mieli?
Erano i cugini dei
Grassi, una famiglia ebrea che ad Alessandria d' Egitto aveva avuto
il monopolio del tabacco e a cui avevamo lasciato la nostra casa di
Piazza Adriana, a Roma. Poi andammo a Cadenabbia, dove c'era una
vecchia zia, che mi sorprese perché chiamava papà semplicemente Tom
(mammina lo chiamava Marinetti). E infine andammo a Bellagio, dove
l'ambasciatore giapponese Idaka ci aveva dato due stanze all'Hotel
Splendid, residenza dei diplomatici accreditati presso la Repubblica.
Lì papà morì, in dicembre.
Qual è il ricordo più
vivo di quei mesi?
Il rantolo di papà. E la
fame. Non c'era assolutamente nulla da mangiare. C'era la borsa nera,
ma papà ce l'aveva vietata.
Di Salò ricorda
qualche cosa?
Sì, papà fece visita a
Mussolini. E una notte, picchiarono alla porta coi calci dei fucili.
Avevano scavalcato il grande cancello del giardino: non si è mai
saputo se fossero partigiani o tedeschi. Qualcuno gridò che dovevano
prendere papà. Lui prese la rivoltella, mammina telefonò per
chiedere aiuti. Loro si dileguarono. Mammina mi disse di salire ad
aprire il cancello. Ecco, attraversando il giardino buio, conobbi la
paura: non la paura di morire, la paura e basta.
Marinetti era stato
molto ricco. A quel punto...
Gli restava poco, e non
guadagnava nulla. Il “Corriere della Sera” non lo faceva
collaborare; dall'Accademia d'Italia non arrivava niente. Sa,
Marinetti aveva finanziato le innumerevoli attività futuriste, si
occupava sempre degli altri, la nostra casa era sempre piena di
gente, e lui viaggiava continuamente. Deve immaginare: se partiva per
esempio da Roma per Berlino, affittava vari scompartimenti, si
portava amici, segretari e segretarie, archivi, appunti; e in treno
continuava a lavorare.
Ora vorrei tornare
all'inizio. Era nato nel 1876, ad Alessandria d'Egitto. Questo fatto
è importante?
Molto importante. Non solo perché in lui
rimase sempre qualcosa di orientale, per esempio il suo gusto dei
tappeti. Ma anche perché Alessandria era un crogiuolo ribollente di
culture e di nazionalità; è lì che in lui prese corpo il mito
dell'Italia, e il mito del mare. E poi la passione letteraria. Il
padre, Enrico, era un grande avvocato. Era addirittura l'avvocato di
re Fuad per le questioni relative al taglio dell'istmo di Suez. Ed
era un uomo severo, duro, distante. L'intellettuale era la madre, che
al bambino declamava poesie passeggiando in riva al mare. Se lei
legge “Otto anime in una bomba”, alla sesta troverà la donna
marinettiana: oggetto di un amore tenerissimo, delicato, come di
sogno... Poi, a sedici anni entrò al Saint François Xavier, un
collegio di gesuiti francesi, dove incontrò un insegnante di lettere
che, a quanto pare, era geniale, e che fu decisivo per l'educazione
di papà.
Da qui, immagino, il
suo splendido francese. Però fu espulso.
Fu espulso perché aveva
introdotto i libri di Zola. I gesuiti erano colti e aperti, ma non
fino a Zola... Allora andò a Parigi per fare il baccalaurèat. Lei
lo immagina, nella Parigi di quel tempo, un bel ragazzo, pieno di
vita, con danaro in tasca, con una cultura letteraria eccezionale...
Non si deve dimenticare: Marinetti era un grande letterato. Presto
cominciò a pubblicare nell' Antologie-Revue. E con il poemetto “Les
Vieux Marins” vinse un premio, e fu declamato nientemeno che da
Sarah Bernhardt. A questo punto, tutte le porte erano spalancate.
Però torna in Italia.
Sì, suo padre era
tornato a Milano, abitava in Via Senato 2, e per fargli piacere, lui
andò a Pavia a studiar legge. Nel frattempo era morta la madre....
Tra il 1902 e il 1904
(io conosco solo le bibliografie) Marinetti pubblica “La Conqute
des ètoiles”, “Destruction”, “La momie sanglante”. Sono
titoli ancora simbolisti, ma già molto marinettiani. E poi un “D'
Annunzio intime”. Perché D'Annunzio?
Ammirava molto D'
Annunzio, lo considerava il poeta eterno, e il poeta italiano. Più
tardi, quando verrà ferito, D' Annunzio lo andrà a trovare, con un
immenso mazzo di rose rosse.
Nel 1905, pubblica
quello che secondo me è il suo primo capolavoro, il “Roi
Bombance”, dove i rivoluzionari divorano il re per poi rivomitarlo.
In una lettera al Pascoli, definisce “Roi Bombance” (poi “Re
Baldoria”) "une tragèdie de la Faim".
Sì, secondo me, “Roi
Bombance” è stato scritto molto prima, forse già nel 1900, e
indubbiamente rappresenta una prima esplosione dell' incubo
politico-sociale.
C'è rapporto con
l'"Ubu roi" del grande Jarry?
Forse. Esiste una fitta
corrispondenza tra Jarry e Marinetti: Jarry gli inviava i suoi
manoscritti per avere un giudizio, e poi i due avevano in comune il
gusto per l'eversione.
Nel 1905, inizia la
rivista "Poesia" con una bella copertina ancora liberty.
Se ne stupisce? In
Marinetti c'era una forma di romanticismo, che resterà in lui, come,
credo, in tutti i grandi uomini dell' Avanguardia. È come "il
profondo" di Marinetti. “Poesia” è molto importante.
Intanto perché è una rivista internazionale, e questa
internazionalità resterà una costante nel suo lavoro. E poi io sono
convinta che fin d'allora Marinetti avesse concepito un programma
intellettuale, teorico e letterario ben preciso, che poi sfocerà nel
Futurismo.
Già, non ci siamo
ancora arrivati. Ma prima, mi tolga una curiosità. Ho sentito dire,
oppure ho letto che in quegli anni si occupava anche di occultismo.
La cosa non era rara, ma...
E' vero. Ho trovato vari
articoli, che papà scriveva per riviste di occultismo. Come dire?
Marinetti era sensibile alle "forze esterne", a un aldilà
inteso non come morte ma come "un' altra vita", e poi
"vedeva oltre", anche nel senso... Pensi per esempio a come
sono attuali le sue "sintesi teatrali". Se lei leggerà
l'“Aeropoema di Gesù”, vedrà che c'era in lui un problema, come
dire?, poetico-religioso".
Chi sono gli amici di
questo periodo?
Moltissimi. Per esempio,
Capuana, Guido da Verona, Gustavo Botta, soprattutto Paolo Buzzi, un
interessantissimo scrittore, che resterà sempre futurista.
Qui compare anche una
certa Tèrèsah, primo grande amore di Marinetti?
Sì. Tèrèsah è stata
la prima scrittrice futurista... Come Rosa Rosà, o Mina Loy, o più
tardi la Ginanni e molte altre, pone il problema della donna
futurista, della sua parità con gli uomini: problema difficile, data
la condizione sociale della donna nell'Italia di allora.
Così siamo al
Manifesto del 1909, pubblicato nel “Figaro”.
Il Manifesto era stato
concepito prima, e aveva avuto una gestazione faticosa. Ne esistono
cinque o sei stesure, che nessuno ha mai studiato. C'è il racconto
di Palazzeschi, che aspetta in anticamera di vedere Marinetti, ma
Marinetti se ne sta dentro a discutere con gli amici. Palazzeschi si
addormenta. Quando si sveglia sono le sette del mattino, e vede
uscire Marinetti molto soddisfatto: il "movimento" era
nato. Questo racconto le dà anche l'idea di come vivevano i
futuristi.
La mia impressione è
che, col Manifesto, la letteratura deflagra, si espande, ricade su
altri terreni...
Non c' è dubbio. Il
futurismo è un programma di vita, di azione, di eversione. Non per
nulla investirà la pittura, la scultura, la musica, lo spettacolo,
la grafica, la tipografia, perfino l'abbigliamento e la cucina. E poi
è importante che, nel 1909, prenda forma per la prima volta il
tipico medium futurista, appunto il manifesto, diffuso
istantaneamente in tutto il mondo, in tante lingue, in molti modi,
per esempio attraverso il lancio dalla Torre dell'Orologio di
Venezia. Una tecnica straordinaria e nuova di pubblicità.
Già, quanti manifesti
avranno fatto i futuristi? Intanto l'anno dopo, arrivano i pittori,
Russolo, Carrà, Boccioni e Severini, poi tutti gli altri, Balla,
Prampolini...
Era un incontro
inevitabile, iscritto nel programma. Credo che fu Buzzi a presentare
Boccioni a papà.
Poi vennero le famose
"serate futuriste".
Di queste serate ci sono
molti ricordi di papà, e anche Cangiullo le ha descritte bene.
Cominciarono nelle piazze, con l' idea di unire palcoscenico e
platea, di coinvolgere, come si dice adesso, gli spettatori. Sono una
parte importante del futuro "teatro totale" futurista. Poi
passarono nei teatri, a Milano, a Torino, a Trieste... Le serate
futuriste erano dei pandemoni: i futuristi declamavano e arringavano;
il pubblico rispondeva con ingiurie e spesso con lancio di frutta e
di ortaggi. Vittorio Cini ha raccontato che lui e i suoi amici
anti-futuristi affittavano i palchi muniti di carote, e subito
cominciava la bagarre. Ma a quel punto i futuristi avevano già
vinto. Ho letto che mio padre agguantava le carote e se le mangiava
tranquillamente seduto in poltrona.
Nel 1910, Marinetti
venne processato per oscenità, a seguito della traduzione italiana
di un altro dei suoi grandi libri, "Mafarka il futurista".
Perchè oscenità?
Per lo stupro delle negre
nel terzo capitolo. E in quella piccola Italia vaticana, perbenista e
meschina, si capisce. Ma in realtà, fu un processo a Marinetti e al
Futurismo. Papà venne magistralmente difeso da Innocenzo Cappa, che
era un grande avvocato e un uomo meraviglioso, e che ricordo
benissimo. Accusò la magistratura di doppiezza e di vigliaccheria:
il processo racconta bene l'Italia confusa e depressa di quel tempo.
Non possiamo ricordare
tutti i manifesti e i libri di quegli anni: sono un' infinità. Ma a
quel punto cominciarono le manifestazioni interventiste, e lì
Marinetti conobbe Mussolini, e insieme vennero anche imprigionati.
Sì, per molto tempo,
fino al ' 20, papà restò convinto che Mussolini fosse un vero
rivoluzionario. Nel 20, stracciò la tessera del Fascio accusandolo
di tradimento. Poi, nel ' 24, si riavvicinò a lui e poi gli rimase
fedele, perché questa era un' altra caratteristica di Marinetti: era
fedele: alle donne, agli amici, e anche a Mussolini.
Facciamo un salto in
avanti. Nel 24, quando si riavvicina al fascismo, Mino Somenzi
organizza a Milano un Congresso futurista e solenni Onoranze
nazionali a Marinetti. Che significa?
Me lo sono a lungo
domandato. Da un lato, era certamente una maniera di fare il punto su
un movimento che compiva i quindici anni. Ma forse era anche una
dimostrazione di forza: la politica, va bene, ma Marinetti era il
capo di ben altro: di un grande movimento che, non lo dimentichiamo,
era internazionale.
Ora facciamo un salto
indietro...
Dobbiamo accennare alle
"parole in libertà". Non al libro “Les mots en libertè”,
che è del 1919, ma alla pratica parolibera applicata, per esempio,
in un altro libro importante, “Zang Tumb Tumb”, del 1914, dov'è
descritta la battaglia di Adrianopoli. L'idea era nata prima, nel
1911, in Libia, dove papà era andato come corrispondente di
“L'Intransigeant”. Si trattava di rendere i rumori della
battaglia, l'angoscia del silenzio, la nuova musicalità meccanica,
di usare i numeri in funzione letteraria, di spaziare le parole e di
allungare le vocali, di stravolgere la sintassi, la punteggiatura,
l'ortografia e la tipografia. Nei “Taccuini” si vede bene l'
origine di tutto questo.
Poi ci fu la sospirata
guerra...
In guerra, papà venne
ferito tre volte, l'ultima delle quali, gravemente, all'inguine. Nei
“Taccuini”, la guerra come fatto è atroce: fango, gelo, fatica,
sangue, disperazione, morte. Ma la guerra era un dovere. Papà le ha
fatte tutte: la Libia, la guerra bulgaro-turca, la prima e la seconda
guerra mondiale, l' Etiopia..., tutte salvo la guerra di Spagna.
Diceva ai giovani che bisognava combattere, e quindi lui partiva per
primo.
Nel 1919, i futuristi
andarono a Fiume. Ci andò anche Marinetti?
Certo. E lì ci fu un
malinteso con D' Annunzio, che forse temeva che i futuristi gli
rubassero l'impresa.
Subito dopo, ci fu
l'incontro con Benedetta, il grande amore, su cui molti ironizzarono,
come su una rinuncia al Futurismo.
Ma fu il contrario! Papà
la incontrò nello studio di Balla, a Roma, dove un giorno incontrò
Alberto Cappa, liberale e più tardi antifascista, che gli parlò
della giovane sorella, pittrice e scrittrice. Papà disse che la
voleva conoscere, e Alberto andò a chiamarla nella vicina Via
Paisiello. Così ci fu il primo incontro, che all'inizio fu un
incontro letterario. Poi divampò l' amore. Benedetta era giovane,
piemontese, di madre protestante, figlia di un' alta borghesia molto
rigida. Un bel giorno si presentò allo zio Innocenzo, di cui le ho
già parlato, e gli annunciò che aveva deciso di vivere con
Marinetti. Lei può immaginare le reazioni... Si sposarono più
tardi, quando nacque Vittoria, e fu un matrimonio riuscito e felice.
Signora Luce, mi rendo
conto che dobbiamo trascurare un'infinità di cose. Ma vorrei
parlare un istante dell'aeropittura.
Sì, non abbiamo parlato
del viaggio di papà in Russia nel 1914, della grande mostra a
Berlino del 1921, della lettera aperta a Hitler del 1934, che
protestava contro l'antisemitismo, contro il bando agli artisti
"degenerati", e in cui invitava questi artisti a casa sua.
Non abbiamo parlato di mille cose: il Futurismo e la vita di mio
padre sono un oceano tempestoso, che non si placa mai. L'aeropittura
venne al mondo dopo la trasvolata di Balbo da Orbetello a Chicago.
Lei capisce: la macchina era per papà un idolo ma un idolo troppo
lento. L'aereo era un' altra cosa: nuovi spazi, nuove sensazioni,
nuove percezioni dell' universo. Volava con Caproni sopra le Alpi,
facevano cose dell'altro mondo. L'aereo era il nuovo simbolo
futurista, che permetteva di avvicinarsi alla dimensione della
simultaneità.
Piero Bellanova mi ha
detto che Marinetti era superstizioso.
È
vero. Guardi: questo è un mezzo ferro di cavallo della prima
guerra mondiale, e questo è un corno di cervo spezzato, su cui è
scritto di suo pugno: Marinetti 1917.
Non gli servirono a
molto.
No, alla fine purtroppo
no. Però che incredibile vita è stata la sua!
“la Repubblica”, 20
marzo 1986
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