20.2.17

Tintoretto. Gli amori borghesi di Venere e Marte

La vicenda degli amori adulterini tra Venere e Marte è antichissima nella mitologia ellenica e letterariamente elaborata già nell’Odissea.
Il fabbro Vulcano, stimato per la sua bravura e molto agiato grazie alle rinomate produzioni della sua sotterranea fucina, è brutto e zoppo. Proprio lui che vive tra fumi e fuochi è riuscito a sposare la più affascinante divinità dell’Olimpo, Venere in persona. La dea dell'amore però lo tradisce, spesso e volentieri, con immortali e mortali. Con Marte, il robusto dio della guerra, addirittura mette in piedi una vera e propria tresca. La vendetta del dio fabbro e inventore sarà costituita da una rete metallica che pescherà gli amanti e li esporrà a un universale dileggio.
Molte sono state dall'antichità al David e oltre le rappresentazioni pittoriche del mito, ciascuna con una sua lettura tesa a privilegiare questo o quell'aspetto, questo o quel momento. Nel quadro di Tintoretto, "Venere, Vulcano e Marte", un grande olio su tela del 1551/52, oggi alla Alte Pinakothek di Monaco, c'è soltanto la scoperta dell'inganno. Anzi – a ben vedere – l'unica ad essere scoperta dal vecchio marito nuda e rilassata è Venere. L'eroico dio guerriero si è nascosto sotto il letto. Se ne vede solo l'elmo e un pezzo di volto. Un piccolo cane abbaia verso di lui, rivelando la presenza di un intruso. 
In tutto ciò non c'è il minimo sentore di divino, se non forse nella presenza del piccolo Cupido dormiente in una culla, testimone, forse involontario, dell'adulterio e dell'arrivo del marito geloso. 
Mi pare che si possa e si debba parlare, come del resto hanno fatto in molti, di erotismo borghese, sotto l'insegna del Boccaccio.

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