Monica Longobardi |
Non sono tanti i libri
che, a una rapida occhiata, sùbito ti danno la sensazione di essere
penetrato in un vicolo nascosto pieno di piccole e sorprendenti
magie. L’ultimo saggio di Monica Longobardi, filologa romanza e
provenzalista, Vanvere (Carocci, pp. 255, €19,00) è
sicuramente uno di questi: il lettore, non appena inizia a leggerlo o
a sfogliarlo, viene come proiettato dentro una sorta di «paese delle
meraviglie» della parola, della lingua e della letteratura.
Lasciamo che ci prenda
per mano, allora, la verve fantalinguistica e genialoide dell’autrice
(che è anche colei che, recentemente, ha creato una vitalissima
traduzione a pastiche del Satyricon di Petronio). Il
primo capitolo, dedicato alle «invenzioni», ci dischiude l’universo
delle lingue inventate, a partire dal camuffamento del linguaggio,
come, ad esempio, inserire tra una sillaba e l’altra una vocale o
un nesso «vocale + consonante», fino ad arrivare ai travestimenti
dei nomi e delle trame di film famosi come Saldate il soldato Ryan
o Tittanic. Il punto forte del secondo capitolo, «Bricolage»,
ci appare subito lo spazio dedicato alla cucina e in particolar modo
alle «ricette scombinate e andate a male», fra le quali spiccano
quelle di un Esperto livornese (alias il virtuoso Federico Maria
Sardelli) tratte dalle pagine del Vernacoliere (vediamo, ad
esempio, gli «orsi alla bourguignonne»: «Si procede come per le
chiocciole, ma invece delle chiocciole si prenda una dozzina d’orsi
[…]per dodici orsi io mi terrei su una presa scarsa di pepino») e
i menu anagrammati di Giuseppe Riva (valgano per tutti, l’antipasto
assortito al buffet che diventa un «paffuto ratto stalinista» e lo
«sformato di spinaci» che si trasforma in una «formica
indisposta»). Il terzo capitolo, «Suoni», è dedicato appunto alla
magia del suono delle parole e dell’invenzione che, da questi
suoni, possiamo trarre, passando attraverso i giochi oulipiani e
quelli di Queneau, i testi degli Skiantos e le poesie di Montale, per
approdare a traduzioni – inventate of course – da lingue a loro
volta inventate fino a testi in lingue sconosciute. Il vivace volume
si chiude con un capitolo dedicato ai «cloni», cioè ai
travestimenti burleschi di opere serie e soprattutto di intere parti
della Commedia dantesca nonché di sonetti dello stesso sommo
poeta.
Non soltanto vengono realizzati i travestimenti – appartenenti alla serie «Erotopaegnia Romanica» curata dal filologo Alfonso D’Agostino e raccolti dall’autrice – ma anche apparati critici e commenti in chiave ‘seria’ ed erudita agli stessi, come nel caso del sonetto Ringo, i’ vorrei che nui e Django e Tex; seguono attualizzazioni-divertissement di varie parti dell’Inferno e creazioni di poesie e testi in stile burchiellesco e rabelaisiano. Tutto questo giocare, tutto questo divertirsi con le parole e con la letteratura ‘alta’ potrebbe apparire gratuito ma, come afferma l’autrice, «il nostro presente e la scuola che si vuole sono alquanto sordi al divertimento intellettuale, vestendo piuttosto il doppiopetto affaristico e funzionale, quello che un tempo si chiamava più modestamente avviamento al lavoro». La Longobardi, creando questo piccolo mondo incantato e conducendoci attraverso il gioco, la fantasia e l’intelligenza, crea una vivace alternativa al grigiore e alla piattezza di ciò che è funzionale, di ciò che è banalmente ‘utile’. E al giorno d’oggi di questa alternativa ce n’è davvero bisogno: un tassello in più contro la stupidità che ci circonda ogni dove.
Non soltanto vengono realizzati i travestimenti – appartenenti alla serie «Erotopaegnia Romanica» curata dal filologo Alfonso D’Agostino e raccolti dall’autrice – ma anche apparati critici e commenti in chiave ‘seria’ ed erudita agli stessi, come nel caso del sonetto Ringo, i’ vorrei che nui e Django e Tex; seguono attualizzazioni-divertissement di varie parti dell’Inferno e creazioni di poesie e testi in stile burchiellesco e rabelaisiano. Tutto questo giocare, tutto questo divertirsi con le parole e con la letteratura ‘alta’ potrebbe apparire gratuito ma, come afferma l’autrice, «il nostro presente e la scuola che si vuole sono alquanto sordi al divertimento intellettuale, vestendo piuttosto il doppiopetto affaristico e funzionale, quello che un tempo si chiamava più modestamente avviamento al lavoro». La Longobardi, creando questo piccolo mondo incantato e conducendoci attraverso il gioco, la fantasia e l’intelligenza, crea una vivace alternativa al grigiore e alla piattezza di ciò che è funzionale, di ciò che è banalmente ‘utile’. E al giorno d’oggi di questa alternativa ce n’è davvero bisogno: un tassello in più contro la stupidità che ci circonda ogni dove.
alias domenica - il manifesto, 4 marzo 2012
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