“Oca selvatica, lunga è
la strada da Nord a Mezzogiorno, migliaia di archi sono tesi sul tuo
tragitto. Attraverso il fumo e la bruma, quante di voi raggiungeranno
Hen-Yang?”. I versi del poeta cinese Lu Kuei-Meng (dinastia T'ang)
ci fanno sollevare lo sguardo per contemplare il difficile e
affascinante volo delle oche. L'oca è un uccello intrepido: in volo
sfida le più potenti correnti ventose, sui corsi d'acqua nuota
velocemente ma, soprattutto, è un gran camminatore che avanza
pazientemente sulle sue zampe palmate.
Per il suo comparire
improvviso nel cielo a dare annuncio della bella stagione, l'oca in
moltissime culture è un animale totemico. Nell'antico Egitto la
cerimonia di assunzione al trono del Faraone era aperta da 4 oche
lanciate in volo, a testimoniare la rigenerazione celeste. Per le
popolazioni del Nord, il volo dell'oca rievoca un felice ritorno da
un viaggio pericoloso, come è evidente in molte favole archetipiche,
nelle quali il protagonista-bambino torna vittorioso da un'ardua
impresa iniziatica proprio volando aggrappato al dorso di un'oca:
così fanno Hansel e Gretel, dopo aver cacciato la strega dentro al
forno. E forse Konrad Lorenz amò così tanto la sua oca Martina,
proprio perché aveva letto il romanzo il viaggio meraviglioso di
Niels Holgersson. Non deve stupire, dunque, se a quest'uccello così
amabile è stato dedicato uno dei giochi più celebri della storia,
ormai poco in voga purtroppo, nell'era dei videogiochi in 3D.
Roberta Borsani dedica al
Grande gioco il saggio Sul dorso di un'oca (Moretti
e Vitali, Bergamo, 2015), un approfondimento che è un
erratico narrare tra storie e leggende. Del Gioco dell'Oca si hanno
notizie sin dal 1580, quando Ferdinando de' Medici lo donò a Filippo
II re di Spagna: una cultura raffinata e attenta alla bellezza quale
quella rinascimentale non potè che restare ammaliata dalla visione
del coloratissimo tabellone illustrato, su cui campeggia il classico
percorso aspirale in 63 caselle. Sulla spirale, ogni pedina avanza di
tante caselle quante sono le cifre sorteggiate dal lancio di due
dadi. A ben guardare, il Gioco dell'Oca è ben più che un semplice
divertimento. È una riflessione filosofica sulla ciclicità del
tempo (la spirale), sul destino (il lancio dei dadi), sull'esperienza
del viaggio e della vita stessa (il percorso a ostacoli). «In quanto
uccello migratore, l'oca conosce l'andare e il venire del tempo, la
precarietà e le scadenze, l'ineluttabilità, la morte. Il suo
viaggiare fatto di partenze che al contempo sono ritorni, rappresenta
una delle possibili modalità di concepire il tempo, la vita,
trasformando, nei limiti del possibile, la difficoltà in risorsa».
Come nella vita, anche
nel percorso sul tabellone bisogna avere il coraggio di rischiare,
affidandosi alla sorte. E non è detto che gli ostacoli che si
incontrano siano sempre negativi. La casella del Ponte, la n. 6,
consente di raddoppiare il punteggio pagando, però, posta agli altri
giocatori: il ponte rappresenta lo slancio verso il futuro, ma anche
la vertigine del rischio - rischio insito in ogni scelta esistenziale
- nel trovarsi sospesi sul vuoto. Alla Locanda, casella n. 19, ci si
ferma per tre turni: nella vita è importante riconoscere i propri
limiti e accettare umilmente di dovere fermarsi ogni tanto, per
raccogliere le forze prima di lanciarsi verso la meta. Una volta
caduti nel Pozzo, alla casella n. 31, si resta fermi finché qualcun
altro giocatore non ci finisce dentro: è un luogo oscuro e
spaventoso, ma al suo fondo si trova l'acqua preziosa; se escogitiamo
il modo di cavarci fuori, però, dal pozzo - come dalle situazioni
critiche che viviamo - usciamo migliorati e rafforzati, perché
l'oscurità e la solitudine hanno favorito il raccoglimento e la
riflessione. Il Labirinto, poi, alla casella 42, ci impone di tornare
alla casella 33, ma non c'è di che lagnarsi: talvolta si rende
proprio necessario compiere un passo indietro se si vuole andare
avanti, poi, con più decisione.
Nell'esperienza di questo
grande Gioco, dunque, così come nella vita, «le virtù richieste
sono speranza nella vittoria, capacità di sopportazione di fronte
alle avversità e alla malasorte, pazienza nell'attesa, fiducia nelle
proprie possibilità di ripresa, contemplazione disinteressata della
bellezza del gioco a prescindere dal risultato».
“Il Sole 24 Ore
Domenica”, 13 dicembre 2015
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