ROMA - S'inaugura oggi al
Centre Français un fittissimo seminario di due giorni, coordinato da
Jacqueline Risset, intorno all'opera di Georges Bataille. Su Bataille
(nato a Billom nel 1897 da un padre cieco e morto a Parigi nel 1962 -
"Alla fine", aveva scritto, "la caduta nella morte è
sozza" -), avrei voluto scrivere un "bel pezzo"
globale. Non lo faccio per due ragioni: primo, un bel pezzo su
Bataille rischia di ripetere, nell'entusiasmo o nell'orrore, cose che
tutti sanno; secondo, da parecchio tempo non si dice nulla di
interessante su di lui. È dunque difficile definire la distanza che
da lui ci separa o l'affinità che a lui ci unisce; ed è possibile
che questo seminario, se non sarà eccessivamente storicizzante, a
tale definizione possa contribuire. L'appuntamento è dunque
rimandato. Nel frattempo, ho tirato giù dal palchetto le opere più
famose di Bataille, a cominciare da quei romanzi o racconti osceni
che, quando ero studente, a Parigi giravano ancora quasi clandestini,
e che posseggo dentro i cofanetti preziosi e leggermente jettatori
che pubblicava l'editore Pauvert: Madame Edwarda, Histoire
de l'oeil, Le Mort, Ma mère...
Non li rileggevo da
vent'anni e mi domandavo che effetto mi avrebbero fatto. Bene,
continuo a ritenerli dei capolavori: grandiose e devastanti cerimonie
erotiche paragonabili soltanto a quelle di Sade, anche se, come
Barthes ha sovranamente mostrato in un saggio del 1962, le due
procedure letterarie sono opposte; e anche se, come sempre nel 1962
ha mostrato Foucault, le idee di sesso che esse presuppongono e
propongono sono affatto diverse. Il sesso di Bataille (diciamola, una
di quelle cose che tutti sanno) è radicato nella dimensione del
Sacro, una volta svuotata dell'idea di Dio, che com'è noto un certo
giorno "è morto". A proposito di questa morte alquanto
complicata, bisogna ricordare che per Bataille ebbe un riscontro
biografico: dopo il diploma di "archivista paleografo" nel
1922, lui che proveniva da una famiglia intensamente atea ebbe una
crisi mistica e passò un lungo periodo presso i benedettini
dell'isola di Wight, alla fine del quale tuttavia scoprì l' opera di
Nietzsche, che gli diede l'impressione "di non aver altro da
dire". Ecco un'oscillazione tipica di Bataille. Ed ecco il Sacro
come una sorta di epilessia profonda. Ed ecco, subito, la Morte, che
è la parola più frequente in tutta la sua opera.
Ma le suggestioni degli
anni Venti erano tante: ecco i bordelli di Saint-Denis, dove, con
Michel Leiris, Andrè Masson e Alfred Mètraux, Bataille progettava
riviste letterarie; ecco il Surrealismo con cui amoreggiò fino alla
rottura del 1930, quando accusò "il bue Breton di essere un
falso rivoluzionario con la testa di un Cristo"; ecco la
psicoanalisi, che Bataille conobbe direttamente perché nel 1929
s'impegnò in un trattamento col dottor Borel... Ed ecco la rivista
“Documents”.
Ma c'era anche la
politica. Bataille l' bbordò dalla parte comunista, collaborando a
“La Critique Sociale”, edita dal gruppo di Boris Souvarine (il
primo "dissidente"), dove pubblicò una formidabile
"interpretazione psicologica" del fascismo, e poi quella
Part Maudite che è poi forse il suo libro teorico più
coerente e teso. È lì comunque che elaborò quel concetto di
"dèpense", di economia dello spreco, e quegli altri
concetti di spesa improduttiva, di consumo, di sacrificio, di
dissipazione, che sono le molle della sua scandalosità.
Nel 1933, Bataille
incontrò Colette Peignot, ragazza "dissoluta" e "pura"
e la trasformò in Laure (gli Scritti di Laure sono stati
pubblicati dalle "Edizioni delle donne" anni fa); nel 1934,
attraversò una lunga malattia (era tubercolotico e aveva scritto:
"mi piace essere malato"), durante la quale ebbe
un'"illuminazione" che lo accostò alle esperienze dello
zen e dello yoga e gli suggerì quel testo straordinario che è
L'esperienza interiore; nel 1935 fondò il gruppo di
Contrattacco (Unione di lotta degli intellettuali rivoluzionari). Nel
frattempo frequentava il corso di Alexandre Kojève sulla filosofia
di Hegel, andava nella Spagna prossima alla guerra civile e scriveva
quel dilaniante romanzo che è L'azzurro del cielo.
Frequentava gli etnografi che esploravano l' Africa e rifondavano il
Musèe de l'homme, fondava un'ennesima rivista, “Acèphale” (che
ebbe solo tre numeri) e nello stesso tempo una "società
segreta" che aveva come scopo di "sregolare i meccanismi
sociali" e di indurre a "sacrifici"; e, ancora nello
stesso tempo, il famoso Collège de sociologie a cui approderanno
anche (siamo nel 1936) personaggi di esuli tedeschi come Walter
Benjamin...
La vicenda biografica,
letteraria, editoriale, filosofica di Bataille non finisce qui,
perché è stata smodata, dispersiva quanto concentrata su alcune
ossessioni vissute e scritte fino in fondo, o meglio "oltre il
fondo". Per capire bene la situazione in cui ebbe luogo,
bisognerebbe citare però almeno l'aggressione che Sartre, assurgendo
alla dittatura delle lettere francesi, gli preparò nel 1943, quando
lo accusò di essere "un nuovo mistico" e di mistificare
parole come "notte", "nulla", "non-sapere",
"denudamento", nonché i concetti di "riso", di
"impossibile", di "oltraggio". Sartre diceva che,
in realtà, il "nuovo mistico" aveva semplicemente cucinato
"una buona piccola estasi panteista". È una delle tante
scemenze pensate e scritte da quell'intelligentissimo uomo che era
Sartre, nel momento in cui si stava avvicinando a quel marxismo che
l'occhio (l'oeil) non cieco (come quello paterno) di Bataille
aveva già letto fino in fondo.
In realtà, Bataille ha
scritto pagine brucianti contro il misticismo, e contro il marxismo
anche quando immaginava di essere marxista, e contro l'hegelismo
quando immaginava di essere hegeliano, e contro il Surrealismo quando
era vicino al Surrealismo... Bataille ha sempre negato di essere un
filosofo, uno scrittore, un etnologo, un poeta, e ha scritto pagine
roventi anche contro l'arte e la poesia. Il suo stile, che intendo
qui semplicemente come la scansione della sua prosa, ha la cadenza
classica francese, ma questa scansione è come contratta da un lungo
brivido, rotta da mancamenti e da continue intermittenze. Allo stesso
modo, se il suo radicamento è indubbiamente nella cultura francese
degli anni Venti e Trenta, esso implica una lotta, e questa lotta
nell'intimità è una vicenda febbricitante e tenebrosa benché tutta
a cielo aperto. Come nessun'altra l'opera di Bataille è un
lunghissimo supplizio. Certo, a voler sintetizzarne la violenza, si
resta lì: con vocaboli come erotismo, oscenità, sacro, sovranità,
spreco, impossibile, riso, soprattutto trasgressione, parole che nel
frattempo sono state ampiamente massificate. Quel che ci si può
aspettare dal seminario del Centre Français è un contributo a un
loro senso non alienato, cioè non neutralizzato e non giocondamente
buono per tutti gli usi.
“la Repubblica”, 31
gennaio 1986
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