Sede della Tencent Holdings Limited, colosso cinese del divertimento e tempo libero |
I miliardari cinesi hanno
cominciato da piccoli. Jack Ma con Alibaba è il caso più famoso.
Pochi anni sono passati da quando apprendeva l’inglese dai turisti
stranieri a Hangzhou fino a divenire il moghul degli acquisti
on
line. E a incapricciarsi del Milan. Durante il single day in Cina
avvengono più acquisti on line al mondo e Alibaba ne intercetta la
maggior parte. L’11/11 – una data ormai proverbiale – le sue
piattaforme dello shopping Taobao e Tmall hanno registrato
transazioni per 14,3 miliardi di dollari in 24 ore. In quel giorno i
single si gratificano in una specie di rivincita sul giorno di San
Valentino, l’altra immensa occasione di acquisto.
La scossa delle
startup nella fabbrica del mondo
L’azienda Xiaomi è
stata fondata a Pechino nel 2010 e quattro anni dopo era già il
terzo produttore al mondo di cellulari telefonici. Ha elaborato lo
stile della Apple, modificandolo in pochi dettagli. Corteggia i
clienti con un design asciutto, ma soprattutto con un’aggressiva
politica di prezzi. Con Xiaomi, gli smartphone sono diventati un
prodotto di massa, senza perdere il richiamo della moda.
Tencent è nata nel 1998
con un fondo di venture capital. Oggi è tra i più grandi produttori
mondiali di servizi per e-commerce, portali web, giochi online e
social network. Baidu è il secondo motore di ricerca più usato al
mondo, dopo Google: un risultato eccellente se paragonato ai primi
passi in un ufficio in una stanza d’albergo.
Oggi i futuri tycoon
hanno degli ottimi esempi da seguire. Ci sono nuove startup che
forniscono prestiti personalizzati, con criteri di trasparenza e
immediatezza. Sono un’alternativa legale per chi non percorre i
canali opachi dell’intermediazione bancaria, dello shadow
banking e dell’usura. È il caso di Dianrong,
fintech che aiuta le giovani aziende, attraverso il sistema
peer-to-peer. Nell’ottobre 2015 ha erogato 19 milioni di
dollari, quadruplicando il valore dello stesso mese nell’anno
precedente.
Altre giovani aziende
sono affollate di richieste, perché insegnano ai cinesi urbanizzati
le buone maniere desunte dalle riviste di moda internazionale. Si
rivolgono ai tuhao, traducibile con “i ricchi non colti
della Cina”. Offrono lezioni dirette oppure on line su come
vestirsi, comportarsi, intrattenere gli ospiti, usare le posate.
Un’imponente battaglia commerciale è poi in atto tra Uber – che
sembra al momento arretrare – e Didi Kuiadi. L’azienda cinese,
fondata nel 2012 e poi rinforzatasi con fusioni, ha raccolto più di
4 miliardi di dollari nel 2015, sorretta da giganti come Alibaba,
Tencent e il fondo sovrano China Investment Corporation.
Per Tujia la sfida è
invece con Airbnb. La startup cinese ha occupato un mercato finora
inesplorato. Con successo sta cercando di rendere disponibili le
migliaia di appartamenti vuoti che costellano la Cina. Trova un
alloggio per i turisti low cost, una soluzione acuta che ripara i
danni dell’insensata speculazione edilizia. Tujia ha un elenco di
oltre 300 mila disponibilità e lo scorso agosto ha riscosso 300
milioni di dollari con un lancio di venture capital.
Ci sono infine centinaia
di startup che forniscono servizi di ogni tipo, dal cibo a domicilio
alle riparazioni per l’automobile, dalla lavanderia alle
ripetizioni scolastiche. Pur nella diversità delle loro dimensioni,
queste aziende hanno dei tratti comuni. Sono nate in Cina da
imprenditori cinesi e si rivolgono – almeno inizialmente – ai
consumatori cinesi. Ne comprendono le aspirazioni e danno loro forma
con gli strumenti più sofisticati. Hanno preso a prestito dalla
Silicon Valley sia la tecnologia che l’abilità a trovare
finanziamenti. Emerge dunque dalla Cina un quadro dinamico, un
movimento ancora incompreso dall’occidente e inedito entro la
Grande Muraglia. A questa Cina Xi Jinping sta affidando un ruolo
importante in una missione epocale: pilotare il Paese verso un futuro
di qualità e di prosperità. Lo ha battezzato the Chinese dream.
Ancora una volta, la dirigenza si rivolge agli imprenditori per dare
ossigeno a una crescita rallentata. Il Pil è aumentato del 6,9% lo
scorso anno. Suscita invidia dovunque, ma è il peggior risultato
della Cina negli ultimi 25 anni. Serve una scossa e le startup la
stanno già fornendo.
La preoccupazione di
Pechino è come mantenere il controllo di questa effervescenza. La
linea è stata tracciata lo scorso 19 aprile, quando il Segretario
Generale ha espresso il suo punto di vista su Internet e
sull’Information Technology. Xi si rivolto ai più di 770 milioni
di utenti, agli imprenditori cinesi, alle aziende straniere. Il suo
pensiero è stato sfaccettato: ha dato impulso alle nuove tecnologie,
ma richiamando l’unità di intenti della nazione cinese. La
creatività è necessaria, e per la prima volta in maniera così
massiccia, ma la scure della censura sull’eccentricità è sempre
affilata. Xi ha inoltre affermato: «Noi diamo il benvenuto alle
imprese straniere di internet, purché rispettino le leggi cinesi».
Non senza conflitti e contraddizioni. Così dopo anni in cui era
riuscita ad aggirare le restrizioni che Pechino impone ai giganti
high tech stranieri, Apple a metà aprile si è vista bloccare i
servizi iBook Store e ITunes Movies. Pechino rafforza il controllo
sui contenuti che arrivano da fuori. E protegge la crescita degli
attori di casa.
Il potere è consapevole
che uno scatto verso nuove energie è necessario per non ossificare
la Cina, ma le conseguenze possono essere dolorose. Uscire da una
dimensione quantitativa dello sviluppo vuol dire tagliare i rami
secchi delle aziende improduttive. Tutto ciò ha delle ripercussioni
sull’occupazione dunque sulla stabilità. E potrebbe condurre verso
nuove disuguaglianze sociali, proprio mentre il rallentamento
dell’economia richiederebbe prudenza per evitare aperte
rivendicazioni sociali.
Ma il cambiamento in
corso è l’ultima conseguenza delle riforme avviate il secolo
scorso, quando Deng Xiao Ping, con una virata di 180 gradi dal
maoismo egualitario, stabilì che «arricchirsi è glorioso», accese
il fuoco per l’individualismo e tolse il coperchio dalla pentola
ormai in ebollizione. Le aziende di Stato iniziarono allora ad agire
con criteri sconosciuti: efficienza, profitto, concorrenza. E la
proprietà si trasformò, aprendo la strada a imprese più piccole,
interamente private, impostate verso finalità non collettive.
Anche per le startup le
briglia sciolte concesse da Pechino hanno nel pragmatismo la loro
stella polare. Qualsiasi cosa arricchisca gli individui, procura il
bene della Cina, recita il mantra di Deng Xiaoping. Ma una volta dato
libero sfogo alla creatività dei nuovi startuppari di casa, il
potere potrebbe trovare complicato rimettere il coperchio sulla
pentola.
Pagina 99, 30 aprile 2016
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