ROMA - Sabato sera,
dentro la pioggia nera, senza luce e senza remissione che scorre nei
suoi romanzi, si è concluso il seminario su Georges Bataille al
Centre Franais.
Come aveva annunciato
Jacqueline Risset in apertura, si trattava di esplorare l'"apertura"
di Bataille, di rivisitare la sua "terminologia"
("dispendio" o "spesa improduttiva", "oscenità",
"sacro", "sovranità", "trasgressione"),
di verificare la virulenza del "pensiero virulento" di
colui che Michel Foucault definiva nel 1970 "uno dei più
importanti scrittori del secolo". Cosa non facilissima se è
vero che Bataille sfugge in tutte le direzioni, attraversa a furia di
scarti mille vertigini ed è a malapena uno "scrittore".
Torniamo all'inizio.
1917: il ventenne Bataille viene riformato dall'esercito e cade
gravemente malato. Ha una crisi mistica, pensa di farsi prete o
monaco tra i Benedettini di Quarr Abbey. Poi studia a Chantes, scopre
la Spagna (e la violenza e la simbologia della corrida), diventa
bibliotecario. Nel frattempo, com'è detto in una Nota
autobiografica, "perde bruscamente la fede perché il suo
cattolicesimo aveva fatto piangere una donna che amava". Vero,
certo. Ma perde la fede anche con la lettura di Nietzsche: "Quando,
nel 1922, lessi Al di là del bene e del male,... mi sembrò
di leggere ciò che avrei potuto scrivere io stesso..., semplicemente
pensai che non mi restava più una ragione di scrivere... Dimenticai
Nietzsche, smisi di pensarci".
Fin dall'inizio, Bataille
è l'estremo, è l'orlo del silenzio, è una "vertigine
essenziale", che, come raccontava Francis Marnande, in francese
designa una malattia della criniera dei cavalli. Infatti gli amici di
Bataille lo chiamavano "cavallo di Battaglia"... Che cos'è
Nietzsche per Bataille? Ne hanno parlato Jean-Michel Rey e, in
filigrana, Carlo Pasi e Maurizio Ciampa, anzi tutti. Nietzsche è la
deflagrazione della filosofia, la deriva del "soggetto", un
"sì" tragico e non positivo alla vita, è soprattutto,
come sottolineava Foucault in un saggio del 1962 su Critique
(la rivista fondata da Bataille nel 1946), la "morte di Dio".
La morte di Dio non significa "la fine del suo regno storico, nè
la constatazione... della sua non-esistenza, ma lo spazio ormai
costante della nostra esperienza. La morte di Dio, togliendo alla
nostra esistenza il limite dell'Illimitato, la riconduce a
un'esperienza... interiore e sovrana". Dunque: interiorità,
sovranità del soggetto e trasgressione (non negazione) del limite.
1929: dopo aver stretto
amicizia con Michel Leiris e col pittore Andrè Masson, dopo aver
trafficato da fuori coi sospetti sovversivi surrealisti, dopo aver
scritto e distrutto un libretto, W.C. ("in opposizione ad
ogni dignità"), dopo un trattamento psicoanalitico, Bataille s'
imbatte negli etnografi allievi di Marcel Mauss intenti a rifondare
il Museo "dell'uomo" al Trocadèro. Alfred Mètraux e
Leiris hanno evocato nel '62 ma predilezione di Bataille per il
"cinismo gioioso", per le "farse crudeli e sinistre",
per "la grandezza dei fantasmi aztechi, i più sanguinosi tra
tutti quelli che hanno popolato le nebbie terrene"...
L'etnografia: ecco l'origine della nozione di "dèpense",
di spreco, di dilapidazione, di inutilità, e l' intuizione che il
delitto è fondatore (Carlo Pasi). 1
1929: Bataille e i suoi
amici fondano Documents per gli editori Wildenstein e D'
Espezel. È lo stesso anno delle Annales di Lucien Febvre e
Maurice Bloch. E' una rivista "d'arte" sommamente
oltraggiosa, che esalta il "brutto", il "primitivo",
l'"informe", l'"inclassificabile", il
"mostruoso", che si occupa di cinema, di jazz e di
fotografia. Al confronto, i nemici surrealisti sono dilettanti. Nel
1931, come ha raccontato Catherine Maubon, l'editore chiude. La vita
di Bataille, "bestia solitaria", ma anche formidabile
organizzatore culturale e "anima" di gruppi, è una serie
di "scacchi disastrosi".
1931-1934: Bataille
s'impegna nel "Circolo comunista democratico" che
pubblicava La Critique sociale, diretta da Boris Souvarine, e
poi col gruppo di Masses (Marie-Christine Lala e Marina Galletti).
Bataille vi pubblica La Notion de dèpense, sintesi del suo
libro più "pensato", La part maudite, e, sotto la
pressione degli eventi, La Structure psycologique du fascisme.
Bisogna capire, oggi, la forza di "rivelazione" del
fascismo allora (bisogna ricordare Simone Weil). Il fascismo come
falsa omogeneizzazione del sociale, come riduzione autoritaria e
monocentrica dell'eterogeneo; dunque, la rivoluzione sociale
proletaria come devastazione di ogni autorità, come "taglio
della testa", come mito catastrofico, festa, massacro. Come
chiariva un bellissimo testo di Denis Hollier (assente per malattia),
tutta la politica di Bataille è fondata su una critica radicale di
ogni utilitarismo, dell'"uomo al servizio del servizio" e
dunque del capitalismo (il che era del tutto tradizionale) e del
comunismo reale (il che era una novità). Ma tutta la politica di
Bataille era anche "tragica" perché contro il regno dell'
utile, non proponeva un qualche "regno dei fini": anzi,
bisogna "non aver alcun fine", bisogna inoltrarsi "nel
labirinto": "L'affezione rivoluzionaria per eccellenza,
l'angoscia, sorge di fronte allo spettacolo della mancanza di
qualsiasi via d'uscita". Ed ecco l'unico fondamento di ogni
comunità: "la gioia di fronte alla morte"...
1934: è il momento della
"crisi", di una delle infinite crisi di Bataille. Come Emma
Bovary davanti alla finestra, colta da vertigine alla vista dell'
"azzurro del cielo", Bataille è risucchiato via dalla
politica, scrive il suo capolavoro, Le Bleu du Ciel (Francis
Marmande). Ma la politica è un destino, e Bataille non è ancora
veramente uno scrittore. Poiché non ci sono fini superiori, all'uomo
sublimato e sublimante (all'idealismo "ipocrita") viene
opposto l'uomo basso, pesantemente corporeo e desiderante, alla
sublimità eucaristica e idealizzante la materialità infima,
informe, magmatica, escrementizia, oscena; nel mondo vuoto di Dio, l'
esperienza del "soggetto" (non più dell' "Io"
della filosofia) è quella di un'infinita deiezione. È in questo
spazio che si gioca la "sovranità" del soggetto, di cui ha
parlato Giorgio Agamben , senza ben afferrare la problematica
filosofico-giuridica che sta alle spalle di questa nozione. Ma
Agamben evocava un aneddoto narratogli in privato (e mai scritto) da
Pierre Klossovski.
1936: siamo a una seduta
del Collège de Sociologie, fondato da Bataille insieme con
Klossovski stesso, con Roger Caillois e altri. L'esule Walter
Benjamin ascolta, poi alza le braccia e dice: "Ma voi lavorate
per il fascismo!". Se l'episodio è vero, non rivela l'infinita
perspicacia di Benjamin. È vero tuttavia che, nel clima pesantissimo
del tempo, furono in molti ad accusare di filo-fascismo Bataille, che
pure era impegnato nel fronte antifascista di Contre-Attaque e
che, tra il 1936 e il 1939, aveva pubblicato i quattro numeri di
Acèphale, organo di una società "senza testa",
senza autorità, disgregata nella sovranità dei soggetti, compresi i
soggetti proletari, pestiferi e puzzolenti, sregolati e
trasgressivi... Anche l'antifascismo, soprattutto l'antifascismo
aveva i suoi "idealisti". Si andava verso la guerra. E
Bataille "studiava". Seguiva le lezioni di Henri-Charles
Puech sulla Gnosi del II secolo, e seguiva il famoso corso di
Alexandre Kojève sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel
(insieme con Lacan, Merleau-Ponty, Quèneau). La Gnosi era un'eresia
che non poteva non essere affascinante per Bataille, perché era
radicata nell'informe, nel materiale, nell'assenza di Dio. Ma, come
ha chiarito Maurizio Ciampa nella sua eccellente relazione, sarebbe
azzardato dire che Bataille fu uno gnostico: la Gnosi prevedeva pur
sempre una scintilla che, attraverso la conoscenza, avrebbe
ricondotto a Dio. Hegel era, secondo Kojève, colui che aveva portato
a compimento la filosofia, che aveva inaugurato l'epoca
"post-storica", che aveva reso l' uomo simile a un Dio che
si riposa. Come risulta bene da un volumetto che lo stesso Ciampa ha
pubblicato l'estate scorsa presso Liguori, La fine della storia,
nessun filosofo poteva essere estraneo quanto Hegel a Bataille -
salvo che sul problema della Morte... Hegel e Nietzsche: dopo la
realizzazione della storia e dopo la morte di Dio, c' è solo il
"salto", lo "scarto", l' inutile peripezia, il
supplizio indefinito... (Rita Bischof).
A questo punto metto tre
puntini di sospensione: "...". A questo punto, "l'
opera" di Bataille non è ancora cominciata. Bataille non è uno
scrittore, non è un filosofo, non è un intellettuale come Caillois
(Annamaria Laserra), Bataille non è... Cos'è Bataille? Bataille è
una scrittura che esorcizza la pazzia, che registra le pulsazioni
profonde del secolo, che evoca i limiti di una civiltà... Bataille
non è il profeta dell'Impossibile", è l'impossibilità... Ci
accontentiamo? Ma noi siamo qui per "storicizzare"!
Alla tavola rotonda
finale, Georges Didi-Huberman ha evocato in uno straordinario
intervento due immagini in due testi di Bataille. La prima è quella
della cattedrale di Reims come spazio materno e celeste. La seconda è
quella di un suppliziato cinese fatto a pezzetti, il cui interno (le
cui interiora) sono "il rovescio del cielo". Bataille è il
suppliziato cinese ed è, insieme, colui che ne esplora le interiora.
Bataille è una piaga, è la piaga nel corpo di Cristo, quando Cristo
(Dio) è morto per la prima volta. Ma Bataille è anche colui che,
come Tommaso nel racconto agiografico, deve "vedere e toccare e
mettere il dito nella piaga fino al cuore", e che deve baciare
sulla bocca il lebbroso, e rigiocare il sacrificio di Cristo,
indefinitamente e senza un aldilà. Bataille è il Cristo sulla
croce, è il cadavere, è il morto putrefatto, in cui tutto è
putrefatto, tutto salvo la lingua, cioè la Lingua, il logos, il
discorso, il linguaggio...
È questo il paradosso di
Bataille: che ci sia ancora linguaggio, e che questo linguaggio sia
sempre ancora quello della ragione discorsiva, a cui si sfugge
soltanto, come notava infastidito il mio amico Federico Pietranera,
nell'estasi del "non-sapere". Ma anche nel non-sapere, non
si sfugge alla tortura del linguaggio: il non-sapere resta il sapere
del non-sapere. Il linguaggio è l'abisso, e Bataille è la vertigine
di quest' abisso... Puntini di sospensione. Finito. Pioggia.
Un "romanzo" di
Bataille: Le Mort, postumo. Edouard cade morto sui cuscini.
Marie è lì, col seno nudo, perché lui le aveva chiesto di
spogliarsi per poter morire. Finisce di spogliarsi: "Era folle e
nuda. Si precipitò all'esterno e corse nella notte sotto la bufera.
Le sue scarpe sbatterono nel fango e la pioggia grondò sopra di
lei...". Marie entra in una sordida locanda, beve Calvados con
un fattore infangato, agguanta il cazzo di un ubriacone..., si getta
totalmente nella depravazione (nella trasgressione) totale, e alla
fine si suicida, nuda, prima che un "conte" nano la possa
possedere, nella pioggia priva di aldilà.
“la Repubblica”,4
febbraio 1986
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