Se c’è un formaggio
che identifica il Piemonte questo è la toma, anche se
ufficialmente si chiama il toma. Lo fanno a Biella come a
Cuneo, nel Torinese come nell’Alessandrino. Siccome in Italia tutto
è complicato, c’è chi dice che il nome toma venga però dalla
Sicilia (dove si fa la tumma o
tuma), attraverso la Francia (dove si fa la tomme).
Infatti particolarmente pregiata è la toma di pecora brigasca, che
vive a Briga o Brigue, paese di confine tra Italia e Francia. Di
sicuro le tracce di questo prodotto di latte vaccino (ma si fa anche
con quello di capra, come abbiamo visto prima, tanto per complicare
le cose) si perdono nel Medioevo. Allora pare fosse però diverso da
oggi perché più stagionato e piccante e le cronache tardo-medievali
dicono che proprio per questa caratteristica fosse un cibo dei
poveri: si saziavano in fretta e con questo formaggio sostituivano le
spezie, molto care.
E’ chiaro a questo
punto che per parlare in modo esauriente della toma ci vorrebbe un
trattato di «tomistica», che per il suo spessore sarebbe un bel
tomo. D’altronde non potrebbe essere piccolo perché in tal caso si
confonderebbe con il tomino, la formaggella fresca che nelle osterie
o piole torinesi si accompagna con le salse al peperoncino,
diventando il tomino «elettrico». Nonostante sia simbolo del
Piemonte, la toma non si è diffusa oltre i confini regionali con
l’Unità d’Italia. Un tentativo di lanciarlo nella capitale,
negli Anni 60, pare sia andato a vuoto benché fosse già pronto lo
slogan: «Toma, nun fa’ la stupida stasera».
“La Stampa”
25/08/2011 - Rubrica Fratelli di teglia
Nessun commento:
Posta un commento