23.2.17

L'unico bacio. L'amore discreto di F. D. Roosevelt e Margaret Suckley (Nanni Riccobono)

NEW YORK
Più di un’amante. Margaret Linch Suckley era per Franklin Delano Roosevelt l’unica libertà dello spirito. Uno spirito così disciplinato e forte da non concedere sesso, sembra, a questa specialissima amicizia durata vent’anni. Il libro dello storico Robert Ward, uscito in questi giorni in America racconta la storia di F.D.Roosevelt e Margaret Suckley. È scritta, questa storia, nelle lettere e nei diari trovati sotto il letto di Margaret subito dopo la sua morte, nel ’91. Ward ha aperto la vecchia valigetta di lino e seta pensando di trovare solo conferme a quella che all’epoca si riteneva fosse un’amicizia superficiale tra il presidente e questa strana signora ai margini dell’entourage della Casa Bianca. Invece ne sono emerse pagine e pagine di fatti, aneddoti ed eventi completamente inediti. Margaret aveva 99 anni quando è morta: nessuno di quelli che la frequentavano aveva mai sentito parlare della sua amicizia con Roosevelt. E la sua discrezione all’epoca era così forte che non ci fu mai un pettegolezzo sul loro rapporto. Successivamente storici e biografi avevano cercato di carpirle i diari, tutto sommato era una vicina di casa del presidente, era l’amica di famiglia che gli aveva donato il prediletto terrier Fala. Margaret aveva sempre negato di avere suoi scritti.
I documenti, tra cui 38 lunghe lettere di Roosvelt, non offrono alcun indizio di intimità fisica tra di loro. Ward, dopo aver studiato a lungo il materiale, suggerisce che si siano scambiati in vent’anni un unico bacio, durante una gita in carrozza sulle colline che costeggiano l’Hudson, lungo il quale sorgevano la casa di Margaret e l’antica residenza Roosvelt. Tutto qui. Eppure Margaret è stata - scrive Ward - la persona più vicina a Roosevelt per vent’anni e certamente, al momento della morte, la più cara. Si erano incontrati nel ’22, dopo l’attacco di poliomelite che ridusse il presidente sulla sedia a rotelle. Margaret, trentenne, non sposata, s'innamorò di lui: lo chiama «il mio
Franklin». Roosevelt, dal canto suo, sentiva il vuoto creato dagli impegni della moglie Eleonor. Era un uomo che nutriva una profonda fiducia nelle donne. E nel loro giudizio politico: dalle lettere a Margaret si capisce quanto lei lo stimolasse, come profondo fosse il loro logos politico. Margaret non era pervasa da supina ammirazione per lui: lo criticava più spesso di quanto non lo lodasse e analizzava i discorsi in pubblico con la puntigliosità di uno specialista.
«Odio il mio discorso di ieri» le scrive nel ’36. E lei gli da ragione. Poi Roosevelt le scrive dei suoi dubbi di «sopravvivere» ad un quarto mandato, del vicino sbarco in Normandia... perfino del suo progetto di ritirarsi dalla presidenza degli Stati Uniti per candidarsi alla direzione delle Nazioni Unite. Nel maggio del ’44 le scrive: «Non sto bene, non sto affatto bene. L’unico mio piacere sono le tue lettere. Ti prego scrivimene tante, scrivi ogni giorno». Prima, alla fine del secondo mandato, nella corrispondenza si rintraccia il loro progetto più amato: costruire un cottage tutto per loro in cima a quella che entrambi chiamano «la nostra collina», sull’Hudson. Roosevelt è d’accordo perché la stanza ad est sia destinata a Margaret e scherzando le chiede il permesso per consultare la «nostra libreria... perché non metto in dubbio, mia cara, che vorrai tenerti in camera tutti i libri».
La «nostra libreria», custodita da Margaret in alcuni scaffali della sua camera da letto, e tutti siglati O.L., our library, comprende i più svariati testi: poeti francesi e libri sugli Ufo, testi di economia annotati ai margini dalla mano di Margaret e romanzetti da quattro soldi. Sugli stessi scaffali, una serie di delicate porcellane, regali di Franklin, registrati nel diario uno per uno lungo gli anni della loro amicizia. Alla fine, Margaret descrive Franklin come distrutto dalla sua malattia ma ancora pieno di fascino e ancora affascinato dalla sua amica più cara. E ormai vecchia, passati gli ottantanni, scrive: «Quello che io ho dato a F. è una completa mancanza di tensione. Mi disse una volta che non c’era nessuno col quale, oltre me, lui si sentisse interamente se stesso. Neanche con le due persone che gli erano forse più care di me, poteva mai davvero lasciarsi andare. Per questo, negli ultimi anni, voleva che fossi lì intorno a lui anche se non ci scambiavamo una parola per giorni interi... ero lì mentre leggeva o si assopiva e in silenzio, ci comprendevamo l’un l’altro».
Rimasta sola, Margaret, pur senza mai nominare la loro corrispondenza, divenne archivista della Roosevelt Library. Quando si ritirò del tutto, molti la intervistarono e un regista la fece a lungo parlare davanti alle telecamere: sorseggiando il suo thè, racconta delle sue visite alla famiglia Roosvelt dove «andavo - dice sorridendo dolce ed enigmatica - per vedere il cane Fala, al quale ero molto affezionata».


“l'Unità”, 12 aprile 1995

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