In occasione del
centenario della Rivoluzione russa e in attesa che a Perugia si
organizzi qualcosa credo utile postare, a memoria mia e di altri,
nuovi materiali dal mio archivio di ritagli, eterogenei com'è
consuetudine, ma utili a capire.
Qui riprendo un testo che
Vittorio Strada tradusse e riprese per “la Repubblica” nel 1976,
un articolo scritto da Maksim Gorkij e pubblicato originariamente sul
giornale pietrogradese “Novaja Zhizn” (“Vita nuova”) il 10
novembre del 1917, subito dopo l'assalto al Palazzo d'Inverno e la
presa del potere da parte dei bolscevichi. Nonostante le critiche di
Gorkij a una presunta “soppressione della libertà di stampa” da
parte di Lenin e Trotskij, il testo circolò abbastanza liberamente,
come circolarono le critiche, sostanzialmente convergenti, di
Plechanov e di molti altri esponenti della socialdemocrazia russa
alla Rivoluzione d'Ottobre. In nome dell'“impreparazione” della
Russia al socialismo, la scelta di Lenin viene giudicata una
forzatura volontaristica imposta alle masse, una eredità deleteria
dell'avventurismo anarchico e nichilista dei Bakunin e dei Neciaev e
una premessa per gravissimi disastri futuri.
Gorkij, com'è noto,
cambiò idea e s'inserì, dopo un'opposizione durata alcuni mesi, nel
corso impresso alla rivoluzione da Lenin, accettando successivamente
lo stalinismo. In questo blog è presente una pagina dal Viaggio
sentimentale di Sklovskij
fortemente critica verso il bolscevismo di Gorkij, cui egli rivolge
con un tono lievemente più misurato esattamente le stesse accuse che
costui faceva a Lenin.
S.L.L.
Gorkij e Lenin in una rappresentazione agiografica d'epoca staliniana |
Vladimir Lenin introduce
in Russia il regime socialista col metodo di Neciaev: «a tutto
vapore attraverso il pantano».
E Lenin e Trotskji e
tutti gli altri che li accompagnano al disastro nella palude della
realtà, devono essere convinti con Neciaev che «col diritto
all’infamia ci si può facilissimamente trascinare dietro i russi»,
ed ecco che essi infamano a sangue freddo la rivoluzione, infamano la
classe operaia, costringendola a organizzare sanguinosi macelli,
istigandola a compiere violenze e ad arrestare persone di nulla
colpevoli come A.V. Kartascev, M.V. Bernatskji, A.I. Konovalov e
altri.
Costretto il proletariato
ad acconsentire alla distruzione della libertà di stampa, Lenin e i
suoi scherani hanno così legittimato per i nemici della democrazia
il diritto di tappare ad essa la bocca; minacciando con
la fame e le violenze tutti quelli che non sono d’accordo col
dispotismo di Lenin-Trotskij, questi «capi» giustificano il
dispotismo del potere contro il quale per un periodo tormentosamente
lungo si sono battute tutte le forze migliori del paese.
L’«obbedienza degli
scolaretti e degli stupidelli» che marciano dietro a Lenin e
Trotskij, «ha raggiunto il massimo grado»; ingiuriando i loro capi
alle spalle, ora allontanandosi da loro ora di nuovo a loro unendosi,
gli scolaretti e gli stupidelli alla fin fine servono docilmente la
volontà dei dogmatici ed eccitano sempre più nella massa più
oscura dei soldati e degli operai speranze inattuabili di cuccagna.
I leninisti, che si
credono i Napoleoni del socialismo, si agitano come dannati,
completando la distruzione della Russia: il popolo russo pagherà
tutto ciò con laghi di sangue.
Lenin, s’intende, è un
uomo di una forza eccezionale; per venticinque anni egli è stato
nelle prime file dei combattenti per il trionfi del socialismo ed è
una delle figure di maggior peso e rilievo della socialdemocrazia
internazionale; uomo d’ingegno, egli possiede tutte le qualità del
«capo», compresa l’assenza di morale che è necessaria per questo
ruolo e quell'atteggiamento spietato verso la vita delle masse
popolari che è proprio del gran signore.
Lenin è un «capo» e un
gran signore russo, non privo di certe qualità spirituali di questo
ceto ormai scomparso, e perciò egli si ritiene in diritto di fare
col popolo russo un esperimento feroce, in anticipo condannato
all'insuccesso.
Estenuato e rovinato
dalla guerra, il popolo ha già pagato questo esperimento con
migliaia di vite e sarà costretto a pagare con decine di migliaia di
altre vite, il che lo lascerà per lungo tempo decapitato.
Questa inevitabile
tragedia non turba Lenin, schiavo del dogma, e i suoi scherani, suoi
schiavi. La vita, in tutta la sua complessità, è ignota a Lenin,
che non conosce la massa popolare, non è vissuto con essa, ma che —
sui libri — ha imparato come si può far ribellare questa massa,
come se ne scatenano nel modo più facile gli istinti. La classe
operaia per Lenin è la stessa cosa che per i metallurgici il
minerale. È possibile, in tutte le condizioni date, fondere con
questo minerale lo stato socialista? A quanto pare è impossibile; ma
perché non provare? Che cosa rischia Lenin se l’esperimento non
riesce?
Egli lavora come un
chimico in laboratorio, con la differenza che il chimico si serve
della materia morta, ma il suo lavoro dà un risultato prezioso per
la vita, mentre Lenin lavora su materiale vivo e porta a rovina la
rivoluzione. Gli operai coscienti che seguono Lenin, devono capire
che con la classe operaia russa si sta facendo un esperimento
spietato, esperimento che annienterà le forze migliori degli operai
e per lungo tempo arresterà il normale sviluppo della rivoluzione
russa.
(trad. di Vittorio
Strada) - “la Repubblica”, 6 novembre 1976
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