23.6.17

“Cantami, o Euclide”. Letteratura e matematica (Claudio Bartocci)

Uscì per Einaudi, poco più di dieci anni fa una bella antologia di Racconti matematici. Vi figurano testi di Borges, Calvino, Saramago, Eco, Queneau, Buzzati, Cortazar e altri maestri. “La Stampa” pubblicò come anteprima uno stralcio dall'introduzione del curatore, il matematico Claudio Bartocci, che qui riprendo. (S.L.L.)
Raymond Queneau
“Ogni audacia spirituale - osserva Robert Musil nel 1912 - poggia oggi sulle scienze esatte. Noi non impariamo da Goethe, Hebbel, Hölderlin, bensì da Mach, Lorentz, Einstein, Minkowski, da Couturat, Russell, Peano [...]. Il programma di ogni singola opera d'arte può essere questo: audacia matematica, dissolvimento della coscienza negli elementi, permutazione illimitata di questi elementi; tutto è in relazione con tutto, e da ciò trae sviluppo”.
Nonostante la sua quasi proverbiale astrusità (o forse proprio a ragione di questa), la matematica non ha cessato di esercitare, negli ultimi centocinquant'anni, un fascino forte, seppur talvolta sotterraneo, su quanti hanno osservato dall'esterno - con minore o maggiore competenza, con lo stupore del profano o l'ammirazione del cultore avvertito, comunque sia non con lo sguardo dello specialista - la sua prodigiosa ricchezza. Sensibili in modo particolare a questo fascino si sono dimostrati poeti, narratori, romanzieri, che nulla accomuna l'uno all'altro, se non il fatto che nelle loro opere, con frequenza e in misura maggiore o minore, emergono idee o strutture matematiche, affiorano riferimenti ai numeri transfiniti o alle geometrie non euclidee, balenano metafore costruite su concetti tratti dall'algebra o dalla logica. .
Nella maggior parte dei casi si tratta di influssi non assimilati in maniera sistematica, né tantomeno sviluppati secondo un qualche programma didattico o divulgativo. «Niente è più fecondo, tutti i matematici lo sanno», osserva André Weil nel breve saggio De la métaphysique aux mathématiques, «di quelle vaghe analogie, quegli oscuri riflessi che rimandano da una teoria all'altra, quelle furtive carezze, quelle discrepanze inesplicabili: niente dà un piacere più grande al ricercatore». Lo stesso si potrebbe dire dei rapporti tra letteratura e matematica: furtive carezze, corrispondenze incerte, echi, suggestioni, consonanze e dissonanze.
Lautréamont, negli Chants de Maldoror, celebra le «mathématiques sévères», e al contempo «saintes»: «Aritmetica! Algebra! Geometria! Trinità grandiosa! Triangolo luminoso! [...] Chi vi conosce e vi apprezza non aspira ad altro bene terreno, si accontenta delle vostre magiche delizie e, trasportato sulle vostre ali oscure, desidera soltanto elevarsi, in un volo leggero, tracciando un elica ascendente, verso la volta sferica dei cieli»; appassionato lettore di Lautréamont, e nel corso dei suoi studi di ingegneria all'Università di Roma allievo di studiosi quali F. Severi, L. Fantappiè e T. Levi-Civita, Leonardo Sinisgalli evocherà questa stessa meraviglia di fronte al mondo della matematica - «questo tempio tranquillo dalle ossa forti, questo miracolo di stabilità da cui è tuttora sorretta la nostra incorruttibile forma» - nelle pagine di Furor mathematicus.
Per Paul Valéry (che Calvino ebbe a definire il «poeta del rigore impassibile della mente») «la matematica insegna l'accanimento contro le conseguenze, e il rigore nel perseguire la strada che si è arbitrariamente prescelta»: nella sterminata officina dei Càhiers, che abbracciano cinquantanni di implacabile e solitario ragionare, centinaia e centinaia sono le osservazioni dedicate alle scienze matematiche («sono esercizio, e paragonabili alla danza») e - come per Musil - i modelli che suscitano ammirazione, rispetto e invidia non sono tanto i letterati o gli artisti, quanto Riemann, Poincaré, Enriques, Elie Cartan, Emile Borel, Hadamard, oppure le «fortes tètes de la physique», Planck, Einstein, Làngevin, Lorentz.
Se già nei Turbamenti del giovane Torless la matematica è strumento privilegiato di indagine critica e, nello stesso tempo, metafora di un sapere altro, quasi un ponte senza arcate sospeso sull'abisso (come si legge nel celebre passo sulla strana «faccenda dei numeri immaginari»), è soprattutto attraverso il «disicantamento statistico» di Urlich il matematico che Musil, nell'Uomo senza qualità, tenta di ricomporre il dissidio tra «anima ed esattezza», di sanare la frattura tra Dichtung e Erkenntnis; anche nell'opera di Hermann Broch - autore diviso, come Musil, tra scienza e poesia - sono matematici, al pari di Ulrich ma da questi molto diversi, il protagonista dell'Incognita e il personaggio di Zacharias negli Incolpevoli, il quale, insegnando ai suoi allievi che la matematica non consiste soltanto in «esercizi» da risolvere, distrugge così quell'«impulso problematico» che è il fondamento stesso della conoscenza matematica.
In «quella straordinaria e indefinibile zona dell'immaginazione da cui sono uscite le opere di Lewis Carroll, di Queneau, di Borges» e - aggiungendo l'autore stesso della citazione appena riportata - di Calvino, i concetti della matematica possono essere un ausilio prezioso per scoprire, o inventare, le modalità possibili di un «nuovo rapporto tra la leggerezza fantomatica delle idee e la pesantezza del mondo»; in compagnia di Queneau e Calvino, intenti a esplorare le potenzialità della letteratura a partire dal principio della «contrainte» (vincolo), incontriamo gli allegri sodali dell'Oulipo - basterà citare François Le Lionnais, Harry Mathews, Jacques Roubaud, Georges Perec - che nei loro testi fanno uso copioso di strutture algebriche, numeriche e combinatoriche (nel romanzo La vita istruzioni per l'uso, per esempio, Perec applica la struttura di un «biquadrato latino ortogonale di ordine 10»). Suggestioni o reminiscenze matematiche si possono infine ritrovare nelle opere di una variegata costellazione di scrittori del Novecento tra loro diversissimi, ma tutti più o meno gravemente contagiati dallo stesso virus: Leo Perutz, Gadda, Max Frisch, Enzensberger, Don DeLillo (pensiamo al romanzo Ratner's star), David Foster Wallace, Apostolos Doxiadis.


“La Stampa”, 19 agosto 2006

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