Uscì per Einaudi, poco
più di dieci anni fa una bella antologia di Racconti matematici.
Vi figurano testi di Borges, Calvino, Saramago, Eco, Queneau,
Buzzati, Cortazar e altri maestri. “La Stampa” pubblicò come
anteprima uno stralcio dall'introduzione del curatore, il matematico
Claudio Bartocci, che qui riprendo. (S.L.L.)
Raymond Queneau |
“Ogni audacia
spirituale - osserva Robert Musil nel 1912 - poggia oggi sulle
scienze esatte. Noi non impariamo da Goethe, Hebbel, Hölderlin,
bensì da Mach, Lorentz, Einstein, Minkowski, da Couturat, Russell,
Peano [...]. Il programma di ogni singola opera d'arte può essere
questo: audacia matematica, dissolvimento della coscienza negli
elementi, permutazione illimitata di questi elementi; tutto è in
relazione con tutto, e da ciò trae sviluppo”.
Nonostante la sua quasi
proverbiale astrusità (o forse proprio a ragione di questa), la
matematica non ha cessato di esercitare, negli ultimi
centocinquant'anni, un fascino forte, seppur talvolta sotterraneo, su
quanti hanno osservato dall'esterno - con minore o maggiore
competenza, con lo stupore del profano o l'ammirazione del cultore
avvertito, comunque sia non con lo sguardo dello specialista - la sua
prodigiosa ricchezza. Sensibili in modo particolare a questo fascino
si sono dimostrati poeti, narratori, romanzieri, che nulla accomuna
l'uno all'altro, se non il fatto che nelle loro opere, con frequenza
e in misura maggiore o minore, emergono idee o strutture matematiche,
affiorano riferimenti ai numeri transfiniti o alle geometrie non
euclidee, balenano metafore costruite su concetti tratti dall'algebra
o dalla logica. .
Nella maggior parte dei
casi si tratta di influssi non assimilati in maniera sistematica, né
tantomeno sviluppati secondo un qualche programma didattico o
divulgativo. «Niente è più fecondo, tutti i matematici lo sanno»,
osserva André Weil nel breve saggio De la métaphysique aux
mathématiques, «di quelle vaghe analogie, quegli oscuri
riflessi che rimandano da una teoria all'altra, quelle furtive
carezze, quelle discrepanze inesplicabili: niente dà un piacere più
grande al ricercatore». Lo stesso si potrebbe dire dei rapporti tra
letteratura e matematica: furtive carezze, corrispondenze incerte,
echi, suggestioni, consonanze e dissonanze.
Lautréamont, negli
Chants de Maldoror, celebra le «mathématiques sévères», e
al contempo «saintes»: «Aritmetica! Algebra! Geometria! Trinità
grandiosa! Triangolo luminoso! [...] Chi vi conosce e vi apprezza non
aspira ad altro bene terreno, si accontenta delle vostre magiche
delizie e, trasportato sulle vostre ali oscure, desidera soltanto
elevarsi, in un volo leggero, tracciando un elica ascendente, verso
la volta sferica dei cieli»; appassionato lettore di Lautréamont, e
nel corso dei suoi studi di ingegneria all'Università di Roma
allievo di studiosi quali F. Severi, L. Fantappiè e T. Levi-Civita,
Leonardo Sinisgalli evocherà questa stessa meraviglia di fronte al
mondo della matematica - «questo tempio tranquillo dalle ossa forti,
questo miracolo di stabilità da cui è tuttora sorretta la nostra
incorruttibile forma» - nelle pagine di Furor mathematicus.
Per Paul Valéry (che
Calvino ebbe a definire il «poeta del rigore impassibile della
mente») «la matematica insegna l'accanimento contro le conseguenze,
e il rigore nel perseguire la strada che si è arbitrariamente
prescelta»: nella sterminata officina dei Càhiers, che
abbracciano cinquantanni di implacabile e solitario ragionare,
centinaia e centinaia sono le osservazioni dedicate alle scienze
matematiche («sono esercizio, e paragonabili alla danza») e - come
per Musil - i modelli che suscitano ammirazione, rispetto e invidia
non sono tanto i letterati o gli artisti, quanto Riemann, Poincaré,
Enriques, Elie Cartan, Emile Borel, Hadamard, oppure le «fortes
tètes de la physique», Planck, Einstein, Làngevin, Lorentz.
Se già nei Turbamenti
del giovane Torless la matematica è strumento privilegiato di
indagine critica e, nello stesso tempo, metafora di un sapere altro,
quasi un ponte senza arcate sospeso sull'abisso (come si legge nel
celebre passo sulla strana «faccenda dei numeri immaginari»), è
soprattutto attraverso il «disicantamento statistico» di Urlich il
matematico che Musil, nell'Uomo senza qualità, tenta di
ricomporre il dissidio tra «anima ed esattezza», di sanare la
frattura tra Dichtung e Erkenntnis; anche nell'opera di Hermann Broch
- autore diviso, come Musil, tra scienza e poesia - sono matematici,
al pari di Ulrich ma da questi molto diversi, il protagonista
dell'Incognita e il personaggio di Zacharias negli
Incolpevoli, il quale, insegnando ai suoi allievi che la
matematica non consiste soltanto in «esercizi» da risolvere,
distrugge così quell'«impulso problematico» che è il fondamento
stesso della conoscenza matematica.
In «quella straordinaria
e indefinibile zona dell'immaginazione da cui sono uscite le opere di
Lewis Carroll, di Queneau, di Borges» e - aggiungendo l'autore
stesso della citazione appena riportata - di Calvino, i concetti
della matematica possono essere un ausilio prezioso per scoprire, o
inventare, le modalità possibili di un «nuovo rapporto tra la
leggerezza fantomatica delle idee e la pesantezza del mondo»; in
compagnia di Queneau e Calvino, intenti a esplorare le potenzialità
della letteratura a partire dal principio della «contrainte»
(vincolo), incontriamo gli allegri sodali dell'Oulipo - basterà
citare François Le Lionnais, Harry Mathews, Jacques Roubaud, Georges
Perec - che nei loro testi fanno uso copioso di strutture algebriche,
numeriche e combinatoriche (nel romanzo La vita istruzioni per
l'uso, per esempio, Perec applica la struttura di un «biquadrato
latino ortogonale di ordine 10»). Suggestioni o reminiscenze
matematiche si possono infine ritrovare nelle opere di una variegata
costellazione di scrittori del Novecento tra loro diversissimi, ma
tutti più o meno gravemente contagiati dallo stesso virus: Leo
Perutz, Gadda, Max Frisch, Enzensberger, Don DeLillo (pensiamo al
romanzo Ratner's star), David Foster Wallace, Apostolos
Doxiadis.
“La Stampa”, 19
agosto 2006
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