Leggo che è morto Stefano Rodotà. Se
mi sarà possibile andrò al funerale. Intanto posto questa sua
vecchia recensione: scrive di Jhering, un giurista ottocentesco, e
del suo libro più famoso; ma non è difficile capire che sta
parlando di sé, della sua passione etica. (S.L.L.)
Torna questo famosissimo, piccolo libro
di Jhering (La lotta per il diritto e altri saggi, Giuffré,
1989), in una nuova versione dovuta ad uno studioso fine come Roberto
Racinaro. Ed è la quarta volta che ciò accade in Italia, dopo la
prima traduzione di Raffaele Mariano, apparsa nel 1875 e poi
utilizzata per le edizioni di Benedetto Croce (1934) e di Pietro
Piovani (1960). Varrebbe la pena di chiedersi, anzi, quale sia la
ragione di una così grande fortuna di quest'opera nel nostro paese,
dove essa, Germania a parte, ha avuto il maggior numero di edizioni.
Sarebbe piaciuto a Jhering il motivo per il quale Croce volle
riproporla negli anni del fascismo e della fresca ascesa del nazismo:
rinvigorire la coscienza del diritto assai sconvolta e depressa
generalmente nel mondo odierno. In realtà, lontanissima da
quell'incitamento alla litigiosità che pure le venne rimproverata,
La lotta per il diritto è un' opera che, sempre per adoperare
parole di Croce, propugna la necessità di asserire e difendere il
proprio diritto con sacrificio dei propri interessi individuali. E
Jhering incarna questo spirito nel viaggiatore inglese, che si
contrappone al tentativo d'imbrogliarlo, da parte dell'albergatore o
del vetturino, con una virilità come se si trattasse di difendere il
diritto dell'Inghilterra antica, e dilaziona per necessità di cose
la partenza, rimane per giorni e giorni sul posto, e spende il
decuplo di ciò che si rifiuta di pagare. Il popolo ride di ciò e
non lo comprende: sarebbe meglio se lo comprendesse. Poiché nei
pochi soldi, che l' uomo in questo caso difende, emerge di fatto
l'antica Inghilterra. La lotta per il diritto supera così ogni
tornaconto personale, esce dalla dimensione dell'utilitarismo,
manifesta la salda e coraggiosa affermazione del sentimento del
diritto. Scrive Jhering, con qualche enfasi, ma grande forza
evocativa: “Il diritto, che posa nella regione di ciò che è
puramente materiale, nella sfera del personale, nella lotta per il
diritto allo scopo dell'affermazione della personalità, diviene
poesia: la lotta per il diritto è la poesia del carattere”.
Si comprende, allora, l'intramontabile
importanza di questo volumetto, come diceva Piovani, per la sua
esaltazione morale del diritto, non ricevuto retaggio da godere
pacificamente, ma insidiato possesso da difendere costantemente: ieri
come oggi, come domani. Ed è buona cosa che riappaia oggi che in
Italia la coscienza del diritto non è meno insidiata e sconvolta di
ieri.
Certo, in questa sua nuova edizione,
approda a una collana di classici del diritto, quasi che i giuristi,
ai quali era nelle intenzioni diretto, volessero riappropriarsene.
C'è da augurarsi, invece, che pure questa vota la cerchia dei
destinatari si allarghi, così come era avvenuto dopo la sua prima
lettura pubblica a Vienna, nella primavera del 1872. Ma la costante,
e rinnovata, attenzione degli studiosi di diritto è anch'essa
significativa. Essi continuano ad interrogarsi su questo giurista
grande e incoerente, nemico delle astrazioni, indagatore sagace dei
rapporti tra diritto e realtà, perché rare volte la dimensione
giuridica è stata percorsa con tanto appassionato rigore:
esaltandone il valore, senza però velarne le miserie e i limiti, in
un quadro che riflette i travagli della cultura tedesca del tempo.
Bene ha fatto, allora, Racinaro a
circondare la riedizione de La lotta per il diritto con alcuni
altri scritti minori, tra i quali spicca Il nostro compito,
manifesto della nuova rivista che Jhering fondava nel 1857, e che
rimane uno dei più alti programmi di politica del diritto.
“la Repubblica”, 24 giugno 1989
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