Mosca, anni 50. Rantiero Panzieri (a destra) con Pietro Nenni |
La crisi attuale del
comunismo si lega evidentemente alla crisi politica mondiale alla
quale, in modi contrastanti e dei quali è difficile prevedere lo
sbocco, ha dato luogo il processo di superamento della guerra fredda.
La distensione nei rapporti mondiali, fortemente promossa dal XX
congresso del Pcus, ha provocato l’esplosione dei contrasti interni
nel mondo comunista, rendendo inevitabile il drammatico manifestarsi
della radicale contraddizione tra socialismo e stalinismo, una
contraddizione che tanto più doveva alla fine manifestarsi come urto
violento quanto più a lungo veniva tenuta compressa e soffocata
nelle strutture dogmatiche e oppressive dell’ideologia e
dell’azione politica staliniana.
Del resto, per quanto è
possibile giudicare in base a elementi ancora non tutti chiari, la
stessa politica seguita da Krusciov, cioè dall’uomo a cui va in
ogni caso il merito obiettivo di una rottura non più sanabile con lo
stalinismo, contiene in se medesima aspetti duramente contraddittori:
mentre da un lato reca fortemente l’esigenza della
democratizzazione, della eliminazione del regime burocratico e
poliziesco, della affermazione della vita democratica come azione
autonoma e creativa delle masse, d’altro canto conserva o sembra
conservare alcuni dei capisaldi dello stalinismo: la concezione del
partito - guida, dello stato - guida, di una pianificazione economica
in termini forzati rispetto allo sviluppo delle forze produttive, il
coordinamento rigido delle economie degli altri paesi socialisti con
l’Unione sovietica, etc.
In Polonia e in Ungheria
la sopravvivenza della ideologia staliniana si è manifestata nelle
forme più irresponsabili nelle resistenze dei vecchi gruppi
dirigenti comunisti. Mentre in Polonia la possibilità e la capacità
di un audace e quasi improvviso ricambio interno sembra avere evitato
il contrasto violento, in Ungheria questo è esploso nella sanguinosa
insurrezione popolare che rivendicava, contro il potere costituito in
nome del socialismo e contro le forze armate del primo paese
socialista del mondo, pane libertà é socialismo: in ciò è il
carattere tragico degli avvenimenti di Ungheria, che hanno visto il
reciproco massacro di uomini che lottavano per gli stessi ideali e
alla fine il prevalere delle ragioni della pura politica di potenza.
Non è possibile limitare
ai paesi socialisti l’insegnamento che deriva dagli eventi polacchi
e ungheresi e rifiutarsi di riconoscere il valore che esso ha per
tutto il movimento operaio di tutti i paesi del mondo, senza ripetere
il terribile errore che consiste oggi nel tentativo di perpetuare le
vecchie posizioni dogmatiche. Per quanto pesante sia l’inerzia che
richiama al passato, per quanto sia potente il fascino della coerenza
formale del vecchio sistema, per quanto grande possa esseie il timore
di distruggere ciò che si è costruito in lunghi anni di lotta, vi è
oggi per i militanti comunisti del movimento operaio un solo modo di
servirne gli interessi, di conservare le stesse conquiste finora
realizzate: riconoscere lealmente la rottura qualitativa che si è
verificata, abbandonare ogni doppiezza e ogni cautela, condurre fino
in fondo il rinnovamento che si impone.
I partiti comunisti si
trovano perciò davanti all’imperativo di trasformarsi
profondamente, sviluppando, nella teoria e nella pratica, una critica
conseguente delle loro impostazioni e della loro azione.
Tale critica deve
riguardare anzitutto il rapporto meccanico verso l’Unione
sovietica, ristabilendo in pieno il criterio marxista
dell’internazionalismo proletario che non può in nessun caso
essere deformato nel rispetto passivo verso una potenza statale.
Deve riguardare la
concezione del partito-guida, che stabilisce una assurda identità
tra la classe operaia e il partito, identità che viceversa non può
darsi a priori, ciò che porta alla direzione burocratica e
autoritaria, ma è da verificare sempre in un rapporto veramente
dialettico, nel quale il partito si pone come strumento della classe.
Deve riguardare la
concezione stessa della politica delle alleanze della classe operaia,
che non deve essere intesa come automatica coincidenza degli
interessi delle altre classi oppresse con quelli della classe
operaia, ma come capacità della stessa classe operaia di sostenere
in concreto gli interessi dei suoi alleati nell’assunzione degli
interessi generali della nazione.
Deve quindi riguardare,
questa critica radicale, il modo di organizzare le masse, rinunciando
ad ogni criterio di meccanica direzione dall’alto, ad ogni
determinazione autoritaria e gerarchica.
Il profondo rinnovamento
culturale e pratico che si propone al comunismo non coincide perciò
in nessun modo con l’abbandono del marxismo, ma si presenta anzi
come una ripresa critica di esso al di là delle cristallizzazioni e
deformazioni dogmatiche dello stalinismo. Per il comunismo italiano
in particolare si presenta come ripresa del pensiero di Gramsci, da
restituire alla sua piena originalità oltre ogni «conciliazione»
con lo stalinismo.
Attraverso le convulsioni
del disgelo, l’Europa è alla ricerca di un nuovo equilibrio,
indispensabile per l’equilibrio del mondo. Questo nuovo equilibrio
si realizzerà tanto più rapidamente e pacificamente quanto più si
affermeranno le forze che recano sulle loro insegne le parole
dell’autonomia e della volontà di pace dei popoli; quanto più si
affermeranno in ogni paese le forze operaie e popolari nel segno di
un’azione intensa a eliminare la divisione del mondo, a creare
nuovi rapporti di reciproco rispetto e di collaborazione tra le
nazioni. E molto può dipendere dal coraggio con cui i partiti
comunisti sapranno percorrere la strada indicata dal XX congresso,
sapranno cioè, con il superamento completo dello stalinismo,
restituire a tutto il movimento operaio la capacità di una azione
intesa a superare le condizioni della guerra fredda e della politica
dei blocchi contrapposti. Il che poi significherà per l’Urss e gli
altri stati socialisti un aiuto e una solidarietà ben più valide
dell’attuale meccanica identificazione dei partiti comunisti con le
posizioni di potenza e con la ragion di stato sovietiche.
In una situazione di
nuove particolari responsabilità si trova oggi in Italia il partito
socialista. Il processo di crisi e di rinnovamento, di denuncia degli
errori e delle insufficienze passate, di creazione di nuovi metodi e
di nuove vie per il movimento operaio lo riguarda direttamente: esso
non può e non deve in nessun modo sottrarsi a questa azione critica.
E tuttavia il senso di
questa critica per il partito socialista non è quello di una
inversione della rotta, di una negazione della sua azione passata. É
piuttosto quello di una piena, spregiudicata affermazione dei valori
più profondi insiti nella sua tradizione, e nelle lotte unitarie e
nella politica che esso ha sostenuto nell’ultimo decennio.
L’unità, che esso si è
sempre sforzato di affermare, dell’azione di classe con l’azione
democratica, unità che si è cosi fortemente manifestata nella
concezione dell’azione di massa e nella politica tesa in questi
ultimi anni a riguadagnare il terreno e i termini della competizione
democratica, rifiutando la cristallizzazione della guerra fredda,
costituisce il punto di partenza di una politica di classe
profondamente rinnovata. Una politica che dovrà investire tutti i
modi, le strutture, le articolazioni del movimento operaio e popolare
italiano, una politica che elimini ogni sopravvivenza di schemi
dogmatici di sottintesi di doppiezze, che rifiuti ogni principio
autoritario nell’organizzazione e nella direzione delle lotte, che
dia slancio di autentica democrazia dal basso e di vera autonomia al
movimento unitario delle masse, che realizzi realmente la coincidenza
dell’azione di classe con la costruzione della via democratica al
socialismo.
Il pericolo insito
nell’attuale situazione della sinistra in Italia è che la crisi si
sviluppi nella duplice cristallizzazione del movimento popolare in
posizioni settarie di vecchio tipo comunista da un lato e in forme
solo apparentemente rinnovate di riformismo dall’altra parte.
Spetta oggi al partito socialista creare le condizioni perché questo
sviluppo negativo non si determini, perché nuove vie si aprano al
movimento di classe in una riaffermata prospettiva di distensione.
L’unificazione di tutti i socialisti si pone in funzione di queste
nuove prospettive, in funzione non di ciò che è vecchio e superato,
ma del nuovo che dev'essere affermato con l'azione di classe.
Postilla
L’articolo venne
pubblicato su “il Punto” di Roma, il 10 novembre 1956, qualche
giorno dopo l'invasione dell'Ungheria e gli scontri armati a
Budapest. Lo si ritrova nel volume L'alternativa socialista
(Einaudi 1982), curato da
Stefano Merli, che contiene una scelta degli scritti di Raniero
Panzieri tra il 1944 e il 1956. (S.L.L.)
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