Una coppia, la vita di
una coppia eccentrica di donne che si amano e cercano di condividere
tutto dei loro strani giorni, del lavoro, dei viaggi, delle case
disseminate in giro per il mondo, degli alberghi più belli, delle
navi, degli aerei, delle città e dei deserti. Annie Leibovitz, la
famosa fotografa, e Susan Sontag, la scrittrice simbolo della
sinistra americana, si conoscono alla fine del 1988 e restano insieme
per quindici anni, anche se mai, pubblicamente, lo riconosceranno. Il
ricordo che la Leibovitz ha dedicato a Susan, morta due anni fa di
cancro, è un atto di amore e di rispetto per la loro storia. Ma
Annie si aspetta che faccia «molto discutere, soprattutto per la
decisione di pubblicare anche le immagini di Susan malata, sofferente
per le cure e appena morta, nel suo feretro».
In uscita la prossima
settimana dall'editore Jonathan Cape, il libro, intitolato con un
espediente A Photographer Life, si può già sfogliare in
questi giorni. La Sontag, con il suo sguardo terribile e penetrante,
la sua inconfondibile frezza di capelli bianchi, il suo look sciatto
da intellettuale tormentata, ne è la supeiprotagonista, Annie
restando, in realtà, la maggior parte delle volte, dietro
l'obiettivo della macchina fotografica. C'è, all'inizio, un'immagine
di Susan in viaggio, sullo sfondo delle tenebre che stanno per
avvolgerla del deserto giordano. E c'è, a un certo punto, lei appena
sveglia su un letto sfatto, e ancora pieno di passione, dell'hotel
Quisisana di Capri: Annie s'è appena alzata per fermare il ricordo
di un momento speciale. C'è la foto simbolo - per loro due - della
collezione di sassi di Susan, che Annie vide subito nell'appartamento
della scrittrice dov'era andata la prima volta per fotografarla «e
per ovvie ragioni è rimasta come un simbolo del nostro incontro».
Poi, ci sono un'infinità di foto legate a servizi della Leibovitz in
giro per il mondo in cui Susan doveva, anche contro la sua volontà,
accompagnarla per infonderle sicurezza, foto di attori e attrici e
scrittori, personaggi, amici e personaggi del loro lavoro: Demi Moore
e Arnold Schwarzenegger, Andrew Wylie, l'agente letterario, a
passeggio con Susan sulla spiaggia di Southampton, e l'assistente
Karla Eoff, sullo sfondo dell'enorme libreria dello studio della
scrittrice, nel suo appartamento newyorkese di West 24 Street.
C'è una foto di Susan
nuda e felice, abbandonata in estasi tra le lenzuola. Innamorate,
inseparabili, litigiose, com'è
facile immaginare in due personalità e due caratteri come i loro,
«eppure - spiega Annie - non avremmo mai accettato di considerarci
compagne o partner, queste parole non facevano parte del nostro
vocabolario. Ci siamo sempre considerate amiche». Anche se poi,
spiega chi le ha conosciute insieme, la loro storia è sempre stata
una specie di match, un continuo saliscendi, tra Annie che amava far
baldoria e Susan che si è sempre considerata una letterata seria e
che ha fatto della serietà il suo tratto distintivo, salvo proporre
a sorpresa, magari all'ultimo minuto, di andare a vedere un film
comico di Keanu Reeves.
Annie aveva 39 anni
quando la vide per la prima volta, e Susan 55: ma dalle immagini,
anche a dispetto dell'interessata, esce tutto l'aspetto vulnerabile
del carattere della Sontag. «Per me - racconta oggi Annie - Susan
era proprio la persona che speravo di incontrare. Quando ci siamo
viste, è stato un momento meraviglioso, era come se una spingesse
l'altra a dare il meglio di sé». Susan è una scrittrice «cult»,
di fama mondiale. Annie è già una fotografa famosa. Viene da una
famiglia middle class, padre nell'aviazione, madre insegnante
e casalinga con sei figli, ha studiato a San Francisco fotografia, ha
esordito a Rolling Stone nel momento magico della rivista, e
dopo 13 anni è approdata a Vanity Fair. Per lei, che ha
sempre lavorato da sola, lo studio affollato di assistenti che il
nuovo editore le ha messo a disposizione è più che altro un
impaccio. Mentre a poco a poco, dopo aver conosciuto Susan, si
accorgerà di non poter fare a meno della sua presenza, per superare
l'ansia che si porterà sempre dietro sul lavoro.
Il momento in cui la
storia è messa a dura prova è quando Susan scopre i primi segni
della malattia e Annie si accorge di desiderare un figlio. Forse
all'inizio Susan sarà stata «ambigua», questo almeno è il ricordo
di Annie, rispetto all'idea della sua maternità, ma alla fine la
sosterrà. La fotograferà, nuda, incinta, di profilo, poco prima del
parto - ed è una delle rare presenze della Leibovitz nel libro. E
Sarah, la sua prima figlia, nascerà quasi ai piedi del letto di
ospedale su cui Susan è adagiata per il primo ciclo di cure.
Qui le immagini della
scrittrice, piegata dalla malattia, cominciano a essere dure da
vedere. «Ci sarà qualcuno - ammette Annie -che giudicherà
discutibile la scelta di pubblicarle, anche se io, prima di farlo, ho
consultato la cerchia dei nostri amici più cari». Si vede Susan
seduta con un'infermiera che le attacca la flebo della chemioterapia.
La si rivede magrissima, invecchiata e con i capelli molto corti.
Ancora lei su una barella che sta per essere caricata su un piccolo
aereo, per tornare a casa. «E dai suoi occhi, dallo sguardo, emerge
tutto il suo coraggio, il senso della sfida, il desiderio di vivere e
scrivere altri libri», annota malinconicamente la Leibovitz.
Siamo agli ultimi giorni.
Annie si divide tra Susan, alla fine, e suo padre anche lui in gravi
condizioni in Florida. L'ultimo giorno di terapia di Susan decide di
partire. «La baciai e le dissi "Ti amo", lei rispose: "Ti
amo anch'io"». Sulla porta chiede a David, il figlio di Susan,
se pensa che avrà il tempo di tornare e rivederla viva: «Ce la
farai», dice David. Ma già la sera, nell'ultima telefonata dalla
Florida, le notizie sono sconfortanti. Susan muore mentre Annie cerca
di prendere un aereo per raggiungerla, il mattino dopo. La troverà
distesa sul feretro, le mani giunte, un piede allungato sull'altro.
Annie estrae dallo scrigno dei suoi ricordi un dettaglio disperato:
«Non ho voluto nessun moke up, nessuna merda su di lei».
Due anni dopo, questo
libro di Annie su Susan e su loro due è un omaggio al desiderio
della scrittrice di vedere in qualche modo raccolto il diario della
propria esistenza, e insieme, come sempre quando una persona se ne
va, il tentativo di farla durare nella memoria. Leibovitz ha avuto
altri due figli, con la fecondazione artificiale, l'aiuto di un
compagno disponibile e di un utero in affitto. «Sono stata un po'
incosciente - confessa -, non pensavo che sarebbero arrivati due
gemelli». Ma adesso che «il momento più difficile è passato», il
pensiero è a questo libro e a «Susan che mi dà ancora molto. Ogni
giorno».
“La Stampa”, 11
ottobre 2006
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