Alessandra farneti |
Si definisce una
"outsiders”, la docente bolognese Alessandra Farneti, che
insegna psicologia dello sviluppo presso la Facoltà di scienze della
formazione a Bologna. Grazie a lei, Bologna ospiterà il primo corso
di formazione universitaria post-laurea dedicato ai clown girovaghi.
"È la mia piccola rivoluzione personale”, dice al
“manifesto”. Un percorso inaugurato da Pach Adams, il celebre
medico clown che cerca di alleviare il dolore attraverso il riso.
Sulle sue orme, molti clown girovaghi si recano nelle zone di guerra
in "missione di pace”, si moltiplicano corsi e viaggi di
formazione, organizzati dal Gesundheit Institute, la Clinica
della salute del medico americano. Da un viaggio in Russia e in
Siberia, con tanto di naso rosso e palloncini colorati, ha preso
corpo il volume di Alessandra Farneti La maschera più piccola del
mondo (Alberto Perdisa editore). La prefazione è di Renzo
Canestrari, decano della psicologia italiana.
Cosa spinge
un'affermata docente universitaria a recarsi in Siberia vestita da
clown?
Le disillusioni del ‘68,
forse un bisogno mai sopito di utopia - per me quella delle prime
società paleocristiane. A 55 anni mi sento ancora bambina.
L'apparente stupidità del clown mi appare un antidoto alla follia
che ci circonda, al mito del denaro, una traccia d'innocenza e
ingenuità sommersa..
Per Dario Fo, il clown
è un giullare beffardo, per Federico Fellini un Briccone che
riflette l'Ombra dell'uomo perbene e lo spaventa, per Jean
Starobinski, un contrabbandiere che supera le frontiere proibite.
Nelle "missioni di pace" dei clown, invece l'elemento
consolatorio sembra prevalere su quello disturbante e conflittuale.
Con quale spirito ha intrapreso il suo viaggio?
Durante
un seminario, tenuto ai miei studenti da Ginevra Sanguigno,
collaboratrice di Pach Adams, la clown mi ha proposto di andare in
Russia e in Siberia, dove si era recata anche ai tempi della Guerra
fredda. Ho accettato ma, oltre al naso rosso, al costume e ai
giocattoli per bambini che l'organizzazione di Adams ci chiedeva di
portare, ho messo in valigia tutta la mia diffidenza. Nel corso dei
secoli, la maschera del clown ha progressivamente perso gli elementi
graffianti del giullare. Oggi, la si riduce spesso a una comicità
sempliciotta, portatrice di un messaggio bonificato e rassicurante.Mi
chiedevo che senso avesse fare i buffoni nei luoghi in cui la gioia
sembra una bestemmia. Era il 2001. Sono partita pensando a un viaggio
di ricerca sugli aspetti psicologici della clownerie, invece ho
vissuto qualcosa di più... A Mosca il nostro gruppo - persone spinte
dalle più diverse motivazioni personali e provenienti da altre parti
del mondo - è stato accolto con entusiasmo dal popolo che dorme fra
i cartoni e con ostilità dai nuovi ricchi, che vivono arroccati nei
loro privilegi. In Siberia abbiamo visitato luoghi difficili:
carceri, orfanotrofi, ospizi ai confini con la Mongolia. Abbiamo
incontrato persone che, nonostante la miseria, cercano di mostrare la
parte migliore di sé con orgoglio e dignità. I matrimoni misti non
sono numerosi, ma i Mongoli - di religione buddista o sciamanica -
convivono con i russi - prevalentemente cristiani ortodossi - e
condividono le strutture pubbliche senza evidenti contrasti "Quando
ve ne andrete, tutto tornerà come prima - dicevano gli interpreti”.
Forse. E per questo ammiro Miloud Oukili, il clown del sottosuolo,
che - come il pifferaio magico - si porta dietro i bambini che vivono
nelle fogne di Bucarest e cerca di motivarli al futuro.
Nel volume, lei scrive
che le banche o le istituzioni totali non possono dar spazio alla
pericolosità del riso. Come siete stati accolti nelle carceri
minorili siberiane?
Nel maschile è stata
dura. C'era già un un teatro pronto per una recita che non avevamo
preparato. Istintivamente abbiamo cominciato a "provocare” le
guardie carcerarie e l'atmosfera si è distesa. Fra le ragazze,
invece, c'era più voglia di ridere. Mi ha colpito l'organizzazione
degli ambienti. Camerette misere ma curate, con lo stereo e i poster
alle pareti, lasciavano intendere che, almeno all'interno, fossero
garantite alcune piccole cose che contano per le adolescenti. Ma poi,
quando una di loro mi ha scritto l'indirizzo dei genitori perché
mandassi le foto scattate lì, una guardiana lo ha impedito.
Le donne clown - lei
scrive sono sempre più numerose. Perché?
Oggi
le donne si prendono gioco delle loro parti considerate meno
accettabili socialmente, le esibiscono anzi per irridere i modelli
dominanti. Nel mestiere del clown che allevia sofferenze c'è, però,
anche un aspetto tradizionalmente femminile, quello del prendersi
cura. Nel mio corso, le donne sono il 99%, nel viaggio in Siberia ce
n'erano molte, alcune anche anziane.
Cosa ha trasmesso ai
suoi studenti di quel viaggio?
Tra Bologna e Reggio, ai
miei corsi vengono circa 1.200 ragazzi. In gran parte sono acritici,
disillusi, disorientati, tutt'altro che disobbedienti. Se capita,
seguono quelli di Comunione e Liberazione, che si danno da fare in
ogni direzione. L'università è diventata un esamificio in cui la
cultura soccombe. Pochi studenti sanno che nel 1917 in Russia c'è
stata la rivoluzione d'Ottobre. Quella attuale è una generazione che
si nutre di visuale, eppure ancora pochi professori usano le immagini
- il cinema, per esempio - come supporto didattico per parlare di
storia. Io quando posso lo faccio. Al ritorno dalla Siberia, avevo in
mente quei ragazzi capaci di divertirsi con poco, le disparità
sociali che oggi vigono in quei paesi. Ho proposto un analogo viaggio
clowneristico nella nostra città per constatare il livello di
reattività o diffidenza di fronte alla provocazione buffonesca.
Immagini le facce dei colleghi quando mi hanno vista uscire vestita
da clown...
Zazie nel metro,
sguinzagliata dalla penna di Queneau. Risultati?
Siamo riusciti a far
ridere qualche immigrato, a contagiare un vigile, a irritare qualche
carabiniere. In generale non c'è stata chiusura, ma una discreta
bonomia. Gli studenti hanno capito che significato può avere oggi
quel tipo di maschera e quel tipo di messaggio. Il clown è ancora
una chiave particolare di comunicazione. L'autoironia che posso
insegnare, è anche autocoscienza. I miei studenti (che in futuro
saranno educatori, psicologi), forse, la diffonderanno nei loro
ambienti di lavoro, forse andranno nelle carceri come fa il gruppo
dei Barabba's Clown di Don Chiari. Scriveva Apollinaire: "Nella
pianura i saltimbanchi/ si allontanano lungo i giardini/ davanti
all'uscio di grigie locande/ attraverso villaggi senza chiese/ i
ragazzi camminano davanti/ e altri seguono sognando..."
“il manifesto”,
supplemento viaggi, dicembre 2004
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