[…] Non so se questi testi sussisterebbero senza una nostra
aggiunta perpetua, senza prendere dal nostro bisogno di conferma, (e
appunto, di ripetizione e di rito) il sangue, per incarnarsi, che non
avrebbero in sé. Ecco perché la voce che li intona ne diventa tutto
il corpo. L'esecutrice li trascina al di là dei loro limiti. Li
intride di desiderio e oltranza. Ne fa una irresistibile carnale
obiezione alla viltà. Che, almeno dal 1789, a gridare le parole
della libertà sia stata assunta tanto spesso la gola di una donna,
ha una ragione fin troppo chiara: alla giovane strega e alla mènade
chiediamo di soverchiare e calpestare le voci nascoste e materne
della remissione e della sconfitta. Essa avventa il coltello del suo
canto ai nemici visibili della libertà ma più alla repressione
intima che ci umilia.
Da Per un disco (1975) in L'ospite ingrato. Primo e secondo, Marietti, 1985
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