Duchcov, Boemia nordorientale. La facciata del "castello".
«Oggi sono venuto a
sapere da una persona che è appena arrivata da Duchcov che il nostro
Casanova è veramente lì». Con ciò J.F. Opitz, uno degli amici più
stretti degli ultimi anni, confermava la notizia del conte Lamberg di
Brno che Casanova si era stabilito a Duchcov, nel castello del conte
Waldstein, di cui era diventato bibliotecario. Giacomo Casanova,
veneziano, irresistibile amante, avventuriero, imbroglione, ma nello
stesso tempo filosofo, diplomatico, scienziato e scrittore,
conoscente e amico di tutti i potenti e di tutte le personalità
dell’Europa di allora, trascorse prima della sua partenza
definitiva per la Boemia, nel 1785, un lungo periodo a Vienna, come
segretario dell'ambasciatore di Venezia, Foscarini. Con la sua morte
improvvisa perse però il protettore, nonché il datore di lavoro.
Una situazione che aveva già vissuto. ma questa volta si rendeva
conto del peso degli anni e dello sfavorevole andamento degli eventi.
Così Casanova cominciò
a carezzare l’idea di entrare in monastero. Presto però
l’abbandonò e si mise alla ricerca, di un nuovo posto, questa
volta a Berlino, dove sperava di ottenerlo presso la biblioteca
dell’Accademia.
Durante il viaggio verso
il nord. Casanova sostò a Brno dal suo amico, conte Lamberg,
conosciuto a Parigi. Da lui ricevette una lettera di raccomandazione
per J.F. Opitz di Càslav, che si trovava sulla strada. Volendo
raggiungere in breve tempo la principessa Lubomìrskà, che allora
soggiornava a Karlove Vary e sulla quale nutriva delle speranze.
Casanova promise a Opitz di fermarsi ancora da lui al ritorno,
precauzione che testimonia della sua poca fiducia nel successo del
viaggio. A Teplice si incontrerà col conte Waldstein. Si erano
conosciuti un anno prima dall'ambasciatore Foscarini, dove Casanova
aveva attirato l’attenzione di Waldstein con la sua dottrina in
fatto di cabala e magia. Forse fin d’allora gli venne offerto il
posto di bibliotecario a Duchcov, ma Casanova non aveva ancora alcun
motivo di accettare.
Ora Casanova stava
esaurendo le forze, ma anche i soldi, aveva sessantanni, sentiva che
l'età non gli avrebbe permesso la vita che aveva condotto finora.
Forse nutriva qualche speranza su Waldstein, ma non era sicuro della
buona riuscita del loro incontro. Duchcov, sede del castello di
Waldstein, era una piccola cittadina che non arrivava al centinaio di
case, né al migliaio di abitanti. Casanova divenne bibliotecario in
questo luogo così diverso dalle grandi città nelle quali aveva fino
ad ora dimorato; il castello di Duchcov, per la vita di società, era
fuori mano, anche se si animava durante i soggiorni del conte.
La querela del
maggiordomo
Waldstein, al tempo
dell’arrivo di Casanova a Duchcov, aveva trent’anni. Era un
grande amante della vita mondana, un giramondo, uno sportivo, un
appassionato di cavalli. Sembra che per Casanova avesse una
straordinaria simpatia, un'affinità e forse anche un certo rispetto.
Di natura romantica e incline all’avventura egli stesso, aveva
indubbiamente della comprensione per gli avventurieri. A Duchcov
viveva anche un tal barone Maximilian Josef Linden, di undici anni
più giovane di Casanova, che gli sopravvisse per molti anni ancora.
Come Casanova e lo stesso Waldstein, era membro della massoneria.
Linden si interessava di alchimia e pubblicò nel 1801 a Praga
un’opera su argomenti riguardanti la fisica, la tecnica e la
chimica. Il libro è dedicato al conte Waldstein e dalla dedica
abbiamo notizie della vita a Duchcov, ma soprattutto dell'alto e
bruno veneziano, che amministrava la biblioteca del castello.
Per quanto Casanova non
prendesse molto sul serio le sue responsabilità di bbliotecario, la
sua vita non era facile. Al castello di Duchcov era circondato da
persone che non simpatizzavano con lui. Non passava giorno che
l’attempato Casanova non avesse una lite a causa del caffè, del
latte, o per un piatto di maccheroni; lo scudiero gli aveva assegnato
un cocchiere incapace, il cuoco gli aveva rovinato la polenta, non
era stato presentato a un ospite straniero di riguardo. Parlava
tedesco e non lo capivano; lui si arrabbiava e loro sghignazzavano.
«Cospetto!» diceva, «siete dei furfanti, siete tutti giacobini,
offendete il conte e il conte offende me perché non vi punisce!»
Il Principe Charles de
Ligne, zio di Waldstein, che viveva nella vicina Teplice, nel suo
«Fragment sur Casanova» menziona una di queste scaramucce con il
personale del castello. Tutta la faccenda finì in tribunale per una
denuncia di Casanova; tra le sue opere postume è stata ritrovata una
bozza in latino da lui scritta: «Tutta la servitù del castello
afferma di avere visto il mio ritratto appeso a una parete del
gabinetto, imbrattato di escrementi. Perché l’ignominia fosse
maggiore, Karel Viderol, servitore del conte Waldstein, ha scritto il
mio nome sul ritratto e ha ammesso di averlo appeso lì per offendere
la mia persona. Ho in mano il corpo del reato. Questa è un'offesa di
prim’ordine. Chiedo alla giustizia che egli venga punito seconda
la legge».
Casanova, abbandonato,
dava sfogo alla sua indignazione nelle lettere, molte volte nemmeno
spedite, ma che sarebbero diventate importanti documenti sui fatti
che gli avevano reso la vita difficile. Uno dei destinatari di queste
lettere era il maggiordomo Feldkirchner, che, a quanto pare, era
l’ideatore delle molte malignità che avevano infastidito Casanova
nel periodo di Duchcov. Ma le lettere servivano solo al loro autore
che si risarciva cosi dei torti subiti, e soprattutto dei cupi stati
d’animo dovuti alla solitudine spirituale e intellettuale.
Dalle lettere non
inviate, ma anche dai dialoghi dedicati alla persona di Jakub
O'Reilly, irlandese, medico di Duchcov, coinvolto nelle controversie
di Casanova con il personale del castello, è evidente che i
servitori del conte erano dei maliziosi tormentatori, ma anche che
Casanova li provocava con la sua suscettibilità e i suoi sospetti, a
volte sconfinanti nella paranoia. Sicuramente la servitù del
castello non era una piacevole compagnia, ma in fin dei conti
Casanova interpretava ogni sguardo bieco o anche solo qualche piccolo
caso come un complotto contro la sua persona, o come un’offesa al
suo onore.
Casanova in viaggio
verso Praga
Le eterne liti e i
malintesi con il personale del castello, cresciuti con l’assenza
del conte, costringeranno Casanova a fuggire da Duchcov per Horni
Litvinov, altra residenza di Waldstein, e ad attendere che gli venga
fatta giustizia col ritorno del conte. E vincerà: Wiederholt, così
in realtà si scriveva il cognome del servitore del conte, e
Feldkirchner furono licenziati. Ma ciò non bastò a congedare le
angustie di Casanova.
Pur con l’opportunità
di frequenti viaggi a Teplice, ma anche a Praga, dove soggiornerà
per un certo periodo, pensava continuamente a una partenza definitiva
da Duchcov. Approfittando dell’assenza del conte, si fece
rilasciare delle lettere di presentazione dal principe Charles de
Ligne, e si recò a Weimar e a Berlino, in cerca di un lavoro
migliore. Incontra il duca di Weimar, tuona contro i tedeschi e la
letteratura tedesca, contro Goethe e Wieland, protetti del duca; a
Berlino, poi, contro gli ebrei, dai quali peraltro si fa prestare
danaro dietro cambiali addebitate al conte. Nonostante tutto, una
volta saldati i debiti, il conte riaccoglieva Casanova a braccia
aperte.
Le frequenti crisi
depressive che angustiavano Casanova gli fecero anche prospettare il
suicidio: «La mia vita è un fardello insopportabile. Qui è
l'essere metafisico che mi impedisce di togliermi la vita? E’ la
natura?... Qui non potest vivere bene, non vivat male», scrive in
uno dei suoi manoscritti, la «Courte réflexion d’un philosophe
qui se trouve dans le cas de penser à se procurer la mort».
Il conte non si
interessava più troppo né di Casanova, né del suo lavoro di
bibliotecario. Anche se era chiaro che non avrebbe mai mantenuto la
promessa di scrivere l’«Albertiade», poema epico in onore di
Albrecht Waldstein, un parente lontano del conte, distintosi nella
guerra dei Trent’anni, non si può dire che Casanova stesse in
ozio. Si dedicava alla corrispondenza con amici e conoscenti e
soprattutto al lavoro letterario.
Quando Casanova arrivò a
Duchcov era già conosciuto come scrittore, anche se si assicurò
l’immortalità nella storia della letteratura con le «Memorie».
Il libro storico-politico «Confutazione della Storia del Governo
Veneto di Amelot de la Houssaie», scritto a matita nelle prigioni
spagnole in 42 giorni, a memoria, senza annotazioni e punti di
riferimento, gli aveva permesso di tornare a Venezia dopo tanti anni,
ma il libello «Né amori né donne, ovvero la stalla ripulita» fu
la causa della sua definitiva partenza dalla città natale. Il
Casanova autore di opere storico-scientifiche, utopistiche,
filosofiche, ma anche di trattati matematici, si distingue dal
Casanova autore di lettere e di dialoghi, per la leggerezza
stilistica. Con la stessa leggerezza aveva rimaneggiato il brano del
secondo atto del «Don Giovanni» di Mozart sulla base del libretto
dell’altro veneziano Da Ponte, che Casanova frequentò anche
durante il suo soggiorno praghese. Non esistono prove che Casanova
abbia partecipato alla stesura del libretto o che questo sia stato
rappresentato con una sua elaborazione, ma l’interesse di Casanova
all’opera di Mozart indica un’identificazione col Don Giovanni,
considerato anche lui una vittima delle seduzioni femminili:
«M’astrinse a
mascherarmi
Egli di tanti affanni
È l’unica cagion.
Colpevole non son
La colpa è tutta quanta
Di quel femineo sesso
Che l’anima gl’incanta
E gl’incanterà il cor.
O sesso seduttori
Sorgente di dolor!
Lasciate andar in pace
Un povero innocente
.........»
Non sappiamo se Casanova
fosse presente al successo di Mozart del 29 ottobre 1787, quando
l’opera fu accolta così calorosamente dal pubblico praghese.
L’amico di Casanova, Da
Ponte, alla vigilia della prima fu richiamato a Vienna con una
lettera di Salieri, direttore dell’Opera viennese. Da Ponte nelle
sue memorie non ne fa menzione, ma sappiamo che Casanova si trovava a
Praga in quel periodo ed è difficile immaginare che disertasse
quella serata al teatro degli Stati.
I benefici raggi
dei mega-micro
L’ambiente del castello
di Duchcov, che aveva procurato a Casanova tante pene, era pur sempre
meno dispersivo di quello della Vienna imperiale. Quanto più
Casanova sfuggiva il mondo, tanto più dava mano alla penna. Non
erano solo lettere agli amici, ma anche memorie degli anni trascorsi.
Tutta l’Europa conosceva la sua evasione dai Piombi, le prigioni
veneziane. Ora era più che mai lontano dai salotti in cui aveva
raccontato all’infinito la sua fuga. Per questo si concentra sulla
narrazione scritta di quel successo, che lo aveva reso cosi celebre.
La «Histoire de ma fuite de prison» uscì per la prima volta nel
1787 presso Schònfeld di Praga, anche se nel frontespizio figura la
città di Lipsia. Mistificazioni di quel genere erano allora
piuttosto correnti, e per altro non si tratta del primo libro di
Casanova stampato in una città diversa da quella indicata. Già un
anno dopo uscì a Vienna la traduzione in tedesco, che ebbe
ugualmente uno straordinario successo. I lettori conoscevano già
questa storia, o ne avevano almeno sentito parlare. Ora trovavano una
versione scritta, una vera e propria prova.
I Piombi erano noti in
tutta Europa, accompagnati dalla stessa pessima fama dello Spielberg
di Brno e della Bastiglia di Parigi, che fu demolita solo un anno
dopo. Allora racconti con un simile contenuto erano di moda. Quasi
contemporaneamente fu pubblicata «La Fuga» del barone Friederich
Trenck, che, come Casanova, figura nella propria storia come una
vittima degna di compassione del dispotismo assolutista, ma anche
come un eroe temerario, che ha dedicato la sua vita alla libertà.
La seconda opera di
Casanova pubblicata a Praga è l'«Icosameron». «Sono trascorsi tre
anni dal mio allontanamento da Venezia. È lì che mi è venuta la
tentazione di diventare l’ideatore di un nuovo mondo, di un nuovo
genere umano, di un nuovo codice civile, di una diversa religione, di
una concezione nuova del guadagnarsi la vita, del vivere e convivere,
procreare dei discendenti e conquistarsi gli elogi di tutto il
mondo». Casanova informa il conte Lamberg ancora da Vienna della sua
idea di scrivere un romanzo utopistico. Lo scrive a Duchcov e quando
l’opera sarà pubblicata, il suo nome risulterà non a titolo
d’autore, ma di traduttore dall’inglese. In questo lavoro
Casanova aveva riposto molte speranze, ma ne ricavò non pochi
dispiaceri. Non riuscendo a mettersi d’accordo con l’editore
praghese, lo finanziò per la pubblicazione dei cinque volumi che
formavano l’intera opera.
«Icosameron ou Histoire
d’Edouard et d’Elisabeth,...»: i due fratelli Eduardo ed
Elisabetta appaiono nella casa dei loro genitori nel febbraio del
1615, 81 anni dopo la loro scomparsa, quando misteriosamente erano
penetrti nell'impero dei Megamicro, aU’intemo della Terra...
Casanova per il suo stato
ideale non cerca un posto né nell’Universo, né sulla superficie
della Terra; punta al suo cuore per costruire un mondo utopico nel
quale non vi siano notti, e in cui raggi, portatori di benessere,
ricadano verticalmente sulla testa di ogni individuo.
Il romanzo era noioso,
così non stupisce la totale mancanza dì interesse con cui fu
accolto. Casanova si affrettò a spedirlo a tutti gli amici di
Vienna, Venezia e Praga perché lo aiutassero nella vendita. Egli
stesso partirà per la Germania nel tentativo di venderlo a Lipsia.
Era pieno di debiti, il romanzo non si vendeva, a Jena venne
pubblicata una critica negativa non solo dell’«Icosameron», ma
anche della «Storia di una fuga». L’autore si infuria, si sfoga
con un altro scritto, prepara un opuscolo che dovrebbe spiegare ai
lettori lo spirito dell’«Icosameron». L’opuscolo però non
venne mai stampato e dai libri contabili del conte Waldstein sappiamo
che a Casanova furono versati 2000 fiorini, utilizzati poi
probabilmente per saldare i debiti con i tipografi. Ma Casanova si
dedicava già ad altri problemi, polemiche di carattere politico,
alla matematica e alla critica letteraria.
Che delizia
ricordare le proprie delizie
L’idea di scrivere le
memorie di tutta la sua vita era diventata più concreta già
probabilmente mentre si dedicava alla «Fuga», la cui prefazione era
scritta con uno stile che faceva pensare a un’opera di contenuto
molto più ampio.
In tutto ciò che faceva
Casanova si impegnava con la stessa brusca intensità. La sua
capacità di divertirsi, mangiare, dedicarsi agli amici e alle amiche
era pari all’energia che metteva nello scrivere e nel lavoro
letterario. Probabilmente avvertiva una stanchezza nel raccontare una
volta di più le sue avventure, e vi accennava già nella prefazione
alla «Fuga», ma la sua anima di vecchio leone non si era certo
spenta: «Scrivo ogni giorno per tredici ore, che mi volano via come
fossero tredici minuti. Il lavoro alle Memorie sostituisce il
riposo. Mentre scrivo ringiovanisco e ritorno uno scolaro. Spesso
scoppio a ridere, cosa che mi fa passare per pazzo, dato che gli
stolti non credono che un uomo possa ridere da solo. Che delizia
ricordare le proprie delizie».
Casanova sapeva che le
«Memorie» sarebbero potute uscire solo dopo la sua morte. Non gli
importava sapere se avrebbero riscosso successo o meno, né se
sarebbe diventato famoso.
Scriveva del tutto
liberamente, ma quanto più si inoltrava nel lavoro, tanto più si
persuadeva che la sua creazione fosse destinata a finire alle fiamme.
Scrivere non era certo per Casanova solo un piacevole divertimento.
Tornava al suo passato, riviveva anni ormai cosi lontani, si rendeva
sempre più conto che nella piccola Duchcov era circondato da persone
e da un ambiente che non si era scelto, e stava per di più
trascorrendo gli ultimi anni della sua vita, la vecchiaia, alla quale
non poteva ancora rassegnarsi.
Per ironia della sorte,
tutte le opere sulle quali egli aveva riposto le sue speranze, ad
eccezione della «Fuga», che è una parte delle «Memorie», sono
state presto dimenticate. Casanova è diventato famoso, e anzi
proverbialmente celebre.
Ma l’immagine che si è
conservata è spesso molto lontana dalla sua reale figura, o limitata
a un solo aspetto della sua personalità: conquistatore di cuori di
leggiadre fanciulle e dame, donnaiolo e seduttore. Il suo modo di
narrare le avventure di cui è stato protagonista sta al fragile
limite della letteratura erotica, senza mai oltrepassarlo. Ma
indipendentemente dalle accuse che hanno reso le «Memorie» così
celebri, è certo che alcune delle figure femminili sono frutto della
fantasia di Casanova. Viceversa, nelle «Memorie» scopriamo un
eccezionale documento sulla seconda metà del XVIII secolo. Basti
pensare a tutti i luoghi visitati da Casanova, al numero infinito di
persone che conobbe o alle quali venne presentato.
Nelle «Memorie»
scorrono l'Italia, la Turchia, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra,
l’Olanda, l’Impero romano-germanico, la Prussia, la Polonia, la
Russia, la Svizzera, i territori austriaci. E poi i nomi dell’Europa
più potente di allora: papa Benedetto XIV, Ludovico XV, Giuseppe II,
Caterina II, Federico II, e poi quanti uomini di stato, ministri,
generali, studiosi e professori universitari, filosofi, e ancora
quanti cantanti, attori, artisti della sua epoca. Conobbe le loro
mogli e amanti, e a volte con loro le condivise, ottenendone anche di
vedere l’altra faccia di fatti e avvenimenti, conoscerne più vere
cause.
È stato giustamente
detto che, anche se andassero perdute tutte le altre pubblicazioni
che rappresentano il XVIII secolo, le «Memorie» da sole
basterebbero a rimpiazzarle. Altrettanto fondate sono le critiche:
Casanova ha in qualche modo taciuto una serie di vicende, oppure ne
ha falsato completamente il racconto, o vi gioca un ruolo del tutto
diverso. Secondo Goethe esse sono «Dichtung und Wahrheit», Poesia e
Verità, mai interamente verità, mai interamente poesia.
Sul tempo in cui vennero
terminate le «Memorie» vi sono solo supposizioni. La prima versione
fu certamente ultimata già tra il 1792 e il 1793. Casanova stesso si
augurava di finire di scrivere la storia della sua vita fino ai 50
anni, «dato che in seguito non avrei da narrare altro che tristi
vicende; ho scritto le ’Memorie’ solo per potermi divertire con i
lettori, ora li affliggerei e francamente non ne vale la pena».
Dalle sottili variazioni dei manoscritti, depositati presso la casa
editrice Borkhaus, che pubblicò l’opera per prima a vent’anni
dalla morte dello scrittore, possiamo supporre che la prima versione
ebbe un carattere più filosofico, ma anche più spontaneo. Nel corso
degli anni Casanova rielabora il manoscritto, ma alcune parti saranno
ultimate solo pochi mesi prima della morte. Una malattia incurabile
alla vescica, che lo costrinse a letto, gli impedì di lavorare oltre
e la morte il 4 giugno 1798 pose fine alla sua opera.
Casanova morì al
cospetto del conte Waldstein e del principe de Ligne, il quale
scriverà di questa morte nel «Fragment sur Casanova»: «Poiché
ogni giorno di più andava perdendo il suo appetito, rimpiangeva poco
la vita, ma la concluse nobilmente rivolgendosi a Dio e all’umanità:
Buon Dio e voi testimoni della mia morte, ho vissuto da filosofo
muoio da cristiano».
Casanova fu seppellito
con gli onori dovuti alla presenza di quasi tutti gli abitanti di
Duchcov, vicino alla cappella di Santa Barbara. Erano tempi agitati e
ci si scordò presto di Casanova. Per un lungo periodo non si seppe
nemmeno dove fosse sepolto e a quanti anni fosse morto. A ciò
contribui anche l’errore del compilatore del registro di Duchcov,
che segnò la morte di Casanova all’età di ottantaquattro anni,
mentre ne aveva settantatré. Quando un secolo dopo il cimitero fu
chiuso, scomparvero anche le ultime tracce della tomba di Casanova.
Sparì anche la sua lapide, supponendo che ve ne fosse stata una. Ma
dato che erano numerosi i visitatori che cercavano la tomba di
Casanova, fu posta sulle mura del cimitero una lapide con la scritta:
Giacomo Casanova Venedig 1725 - Dux 1798.
Nel febbraio 1922 riprese
vita la vecchia leggenda di Duchcov, secondo la quale Casanova, per
sua volontà, era stato seppellito nel parco del castello, e non nel
cimitero. Gli operai, al lavoro nel parco dietro al castello di
Duchcov, avevano ritrovato la pietra sepolcrale, ma non la tomba di
Casanova, come scrissero i giornali. Era una lapide modesta e assai
strana, in cui nome e data presentavano degli errori: Cassanova
XDCCLXXXXIX.
Molti storici non ebbero
alcun dubbio sulla sua autenticità, anche se si trattava di una vera
e propria falsificazione, cosa della quale erano al corrente solo gli
abitanti di Duchcov. Era successo che gli scalpellini che lavoravano
al restauro delle statue del parco, avevano scolpito una semplice
iscrizione. La fecero dissotterrare da altri operai, e quando la
notizia si propagò clamorosamente, non ebbero il coraggio di
confessare. I dubbi furono del tutto sfatati grazie
all’interessamento di Viteslav Tichy, studioso di Casanova, che
conobbe personalmente uno degli scalpellini e descrisse poi tutta la
vicenda nel libro «Casanova in Boemia». Come che sia la lapide è
conservata nel castello di Duchcov.
Da “Fine Secolo”,
Supplemento di “Reporter”, 16 novembre 1985 - Traduzione di
Susanna Florio
|
Nessun commento:
Posta un commento