È uscita per Feltrinelli
a fine marzo scorso una Storia del Limbo di Chiara
Franceschini. “La lettura” aveva pubblicato un articolo
dell'autrice – quello qui postato - che del libro anticipava alcune
conclusioni. (S.L.L.)
Andrea Mantegna, Discesa al Limbo |
Tra gli anniversari che
si celebrano in questo 2017 – dal cinquecentenario della supposta
affissione a Wittenberg delle tesi di Martin Lutero (1517) al
centenario della Rivoluzione d’Ottobre (1917) – vale la pena
ricordarne uno minore: il decennale della cosiddetta «abolizione»
del limbo (2007), quell’ambiguo luogo dell’aldilà cristiano per
gli innocenti non battezzati che per circa dieci secoli fu discusso
dai più importanti teologi e filosofi occidentali, da Tommaso
d’Aquino allo stesso Lutero fino a Leibniz, descritto e reinventato
da poeti come Dante Alighieri o John Milton e rappresentato nelle
forme e sui supporti più diversi da miniatori, pittori, scultori e
artisti di diversa abilità e provenienza nei secoli del tardo
Medioevo, del Rinascimento e dell’età moderna. La natura, la forma
e la stessa esistenza di questo luogo non furono mai riconosciute
come dogma della Chiesa cattolica. Eppure, come qualcuno ricorderà,
nel gennaio del 2007 Papa Benedetto XVI approvò la pubblicazione di
un documento della Commissione teologica internazionale che invitava
i fedeli a «lasciar cadere» l’«ipotesi teologica» del limbo o,
più brevemente, «l’ipotesi limbo».
La domanda riguardo al
perché il primo Papa del XXI secolo, concludendo un lavoro iniziato
già sotto il suo predecessore Giovanni Paolo II, avesse sentito la
necessità di esprimersi sulla desueta faccenda del limbo, suscitò,
allora, l’attenzione di chi, come me, si interessava alla storia
delle immagini e al rapporto tra arte e religione nell’epoca
premoderna. Mentre La nascita del Purgatorio era stata narrata
nel 1981 da Jacques Le Goff – il medievista francese sulla scia del
quale si mossero in seguito anche molti storici delle immagini –
nessuno si era mai occupato di quella che, in un libro dedicato alla
storia di un infanticidio e delle sue implicazioni, Adriano Prosperi
aveva definito la storia «nascosta» e «apparentemente secondaria»
del limbo (Dare l’anima, Einaudi, 2005). La notizia che nel
2007 il Papa aveva deciso di pronunciarsi in maniera definitiva
proprio su questo argomento confermò che la questione del limbo,
lungi dal rappresentare una vicenda marginale nel contesto della
storia della formazione dell’aldilà cristiano, toccava alcuni
problemi centrali del cristianesimo, e in particolare del
cristianesimo occidentale.
La storia del limbo come
luogo dell’aldilà cristiano per i non battezzati è durata quasi
un millennio: da quando l’espressione limbus inferni
(«l’orlo» o «il margine dell’inferno») cominciò a essere
usata dai teologi occidentali alla fine del XII secolo, fino al
pronunciamento della Chiesa romana nel 2007. Perché, a differenza di
altri luoghi o stati dell’aldilà, il limbo, ovvero un luogo del
quale ci parlano molte e diverse fonti durante questi dieci secoli,
rimase sempre allo stato di «ipotesi teologica»? Come e perché il
corpo dei fedeli fu incoraggiato a credere per tutto questo tempo che
la vastissima massa delle anime degli innocenti morti prima del
battesimo fosse destinata a questo luogo? È possibile studiare
l’effettiva credenza in questa nozione? E, soprattutto, quante
diverse immagini e modi di intendere il limbo sono esistiti nel
tempo?
Il documento vaticano,
dedicato al problema socialmente rilevante, per i cattolici, dei
bambini morti prima del battesimo e quindi anche dei feti abortivi,
parla solo del limbo dei bambini. Tace, invece, riguardo a tutti gli
altri gruppi umani che la cultura cristiana aveva associato in
diversi momenti della sua storia al destino intermedio del limbo: non
solo i patriarchi e i profeti dell’Antico Testamento, ma anche i
filosofi antichi, i non cristiani virtuosi e le popolazioni scoperte
dagli europei nel Nuovo Mondo a partire dalla fine del Quattrocento.
Che cosa avevano in comune, dal punto di vista cristiano, tutti
questi gruppi umani così eterogenei? Da dove nacque e come si
sviluppò l’idea di collocarli tutti sull’immaginario bordo
dell’inferno? E quale fu il contributo degli artisti nel dare forma
a un’immagine che evocava idee antiche dell’aldilà, sfidando il
confine cristiano tra natura e grazia?
La Storia del limbo
oggi pubblicata dall’editore Feltrinelli prova a dare una prima
risposta a questa serie di domande, ponendosi come obiettivo non
quello di offrire un semplice inventario tematico di testi e
immagini, ma quello di ricostruire lo sviluppo di questa nozione e
delle sue rappresentazioni nei lunghi secoli della sua storia, da
Agostino a Dante, da Mantegna a Michelangelo, da Lutero a Federico
Borromeo, fino ad oggi, concentrandosi soprattutto sui secoli del
tardo Medioevo, del Rinascimento e dell’età moderna.
Se le basi del dibattito
teologico furono poste soprattutto tra XII e XIII secolo, fu nei tre
secoli successivi, tra il Trecento e l’inizio del Seicento, che si
assistette alla più grande concentrazione di immagini diverse e
opposte del limbo. Accanto all’analisi dei testi letterari,
teologici e filosofici, il lavoro sulle immagini visive si è
rivelato centrale proprio a causa dell’incerta natura dottrinale
del limbo. Storia del limbo ricostruisce così la genesi e la
diffusione di immagini del limbo di diversa qualità, genere e
provenienza, dalle pagine dei molti esemplari illustrati dello
Speculum Humanae Salvationis e della Divina Commedia,
alle pareti di chiese rurali in aree alpine fino ai graffiti
carcerari di prigionieri dell’Inquisizione romana, dai mosaici
bizantini dell’Anastasis ovvero della resurrezione e
vittoria di Cristo sulla morte e sull’inferno fino alle Discese
al limbo dipinte da Andrea Mantegna, Domenico Beccafumi o Alonso
Cano.
La parte centrale del
libro si sofferma sull’analisi di un tema che, a partire da spunti
offerti già da alcuni teologi medievali, fu sviluppato da alcuni
predicatori (tra questi Savonarola), scrittori e artisti
rinascimentali: l’idea che la vita ultraterrena dei non battezzati
e dei pagani innocenti e virtuosi potesse essere immaginata non come
un destino grigio e infelice, se non doloroso, ma come un’esistenza
eternamente collocata in un mondo di beatitudine naturale,
equidistante dalla grazia così come dalla dannazione. La tesi del
libro è che questa idea di un mondo di felicità naturale per i
pagani abbia non solo offerto materia di discussione a scrittori e
filosofi come Giovanni Pico della Mirandola, Marsilio Ficino o
Machiavelli, ma abbia anche costituito una fonte di ispirazione per
tutti quegli artisti che si interessavano al rapporto tra antichità
e cristianesimo: da Donatello come inventore dell’immagine del
putto all’antica da utilizzare in contesti battesimali ad Agostino
di Duccio (che rappresentò una serie di giochi di putti alati in una
delle cappelle del Tempio Malatestiano), da Mantegna ad Andrea
Riccio, che antichizzarono la discesa al limbo, da Michelangelo a Fra
Bartolomeo, che immaginarono mondi popolati da uomini nudi sul bordo
di rappresentazioni sacre, rispettivamente nel Tondo Doni degli
Uffizi e in una pala d’altare con l’apparizione della Vergine a
San Bernardo, dipinta per un nobile di Besançon (pala Carondelet).
Queste diverse immagini
di un mondo a parte, posto al di fuori della grazia e da un rapporto
diretto con Dio, eppure buono, naturale e felice, furono il punto
massimo al quale si poté spingere la riflessione cristiana sul
drammatico e irrisolvibile conflitto tra giustizia e misericordia
divine che si apriva ogni volta che un innocente moriva senza essere
battezzato. Non fu un caso se questa riflessione ebbe il suo massimo
sviluppo proprio durante i secoli che furono poi etichettati come
quelli del Rinascimento. In questo periodo, la riflessione sul
rapporto tra mondo cristiano e altri mondi antichi e contemporanei si
intensificò in ogni campo, da quello artistico a quello filosofico,
da quello letterario a quello teologico, e forse persino nel senso
comune, se consideriamo che le ossa dei bambini morti senza battesimo
venivano chiamate in questo periodo «ossa pagane» – ossa che,
secondo le norme ecclesiastiche, non potevano ricevere sepoltura in
terra consacrata, ma dovevano essere confinate ai bordi dei cimiteri.
Successivamente, con
l’inasprimento delle controversie dottrinali che travolsero
l’Europa della Riforma e della Controriforma, sia le idee che
potevano indurre a immaginare un limbo di beatitudine naturale, sia
le posizioni che avevano cercato di sdrammatizzare la morte dei non
battezzati, come quella sostenuta da Tommaso de Vio, generale
dell’ordine dei Predicatori, relativa alla validità di un
battesimo attraverso il desiderio e le speranze dei genitori, furono
abbandonate, quando non censurate (come accadde appunto all’idea di
de Vio).
Eppure, almeno
all’interno della Chiesa cattolica, il problema della morte senza
battesimo e del destino incerto delle migliaia di anime innocenti di
bambini e di adulti era lungi dall’essere risolto. Mentre le
immagini di un limbo felice di beatitudine naturale venivano
abbandonate, crebbe nel corso del Seicento e fino al Settecento il
ricorso a pratiche sostitutive del battesimo, che furono tollerate a
lungo dalla Chiesa romana, prima fra tutte il diffusissimo
pellegrinaggio delle famiglie ai cosidetti «santuari della
resurrezione» dove i bambini morti senza battesimo venivano
«resuscitati» per i minuti necessari a impartire loro il battesimo
d’acqua e dunque consentire la sepoltura in terra consacrata.
Ponendo fine alla
secolare storia del limbo, il documento approvato da Joseph Ratzinger
nel 2007 si fonda su un aspetto sorprendente, se non paradossale: pur
collocandosi con decisione sul terreno della «speranza», insistendo
sul tema della misericordia divina e tornando all’originaria
immagine della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte (immagine
che è anche all’origine di tutta la storia iconografica del
limbo), il documento invita ad abbandonare non tanto le immagini più
oscure e infernali del limbo (che pure erano state sviluppate nei
secoli sulla base di alcuni pronunciamenti di Agostino), quanto
soprattutto quell’«ipotesi teologica» del limbo come «un destino
intermedio e naturale, guadagnatoci dalla grazia di Cristo».
La principale ragione per
cui, secondo Benedetto XVI e i suoi teologi, questa ipotesi è
«problematica» e «superata alla luce di una maggiore speranza
teologica», è che, «di fatto, nessuna esistenza umana viene mai
vissuta in un tale ordine», perché «l’ordine attuale è
soprannaturale». In un tale ordine gli esiti possibili di
un’esistenza umana sono solo due: «O la visione di Dio o
l’inferno». Tertium non datur. Secondo questo documento,
sebbene ci possa essere speranza per le anime dei bambini innocenti
morti prima del battesimo (che, riprendendo un’idea premoderna, un
passaggio del testo associa ai Santi Innocenti massacrati da Erode),
non ce n’è davvero nessuna per coloro che sono considerati alla
stregua dei loro «carnefici», ovvero i genitori ritenuti colpevoli
in caso di aborto.
Vista da questo punto di
arrivo, la lunga e complessa storia del limbo può forse contribuire
a riaprire la discussione non solo sul tema dell’aborto, ma anche
sul più vasto problema, connaturato al cristianesimo e forse da esso
inscindibile, di una Chiesa basata su un messaggio di tipo
universalistico al quale, tuttavia, si può accedere solo attraverso
il passaggio di nettissime linee di confine.
La Lettura – Corriere
della sera, 26 marzo 2017
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