Nel 1760, mentre Giovanni
Battista Piranesi incideva le sue famose vedute architettoniche di
Roma, una grande tartaruga dalla forma strana ebbe la sventura di
arenarsi sul litorale di Ostia. Il rettile spiaggiato venne portato
in dono a Papa Clemente XIII, il quale a dirla tutta non sapeva che
farsene e lo spedì a sua volta al Gabinetto di Storia naturale
dell’Università di Padova, a quel tempo alloggiato nel Palazzo del
Bo. Qui l’animale venne analizzato e misurato dal figlio del medico
e naturalista Antonio Vallisneri, per poi essere disegnato dal
poliedrico cartografo modenese Domenico Vandelli nel 1761. Fu così
che, cinque anni dopo, il padre stesso della classificazione
scientifica dei viventi, Carlo Linneo, ricevendo a Uppsala i disegni
di Vandelli, descrisse la nuova specie di tartaruga nella dodicesima
edizione del Systema Naturae.
Oggi si può ancora
ammirare l’originale settecentesco di Dermochelys coriacea,
la più grande delle tartarughe marine, al museo di Zoologia di
Padova. In virtù della bellissima silhouette idrodinamica, con
creste longitudinali e carene, questa specie viene volgarmente
chiamata «tartaruga liuto», ma siccome sia il carapace sia il
piastrone inferiore dell’animale sono coperti da una pelle dura,
liscia e flessibile, gli inglesi preferiscono chiamarla «tartaruga
di cuoio». La sua anatomia è una combinazione unica di potenza e di
eleganza natatoria: lunga quasi due metri in età adulta, per un peso
che può variare dai 500 ai 700 chili, sfreccia in acqua a 35
chilometri orari grazie alla propulsione di due arti anteriori enormi
a mo’ di pinne. Secondo il Guinness dei primati, è il rettile più
veloce al mondo. A differenza delle altre tartarughe marine, la sua
colonna vertebrale e le costole non sono fuse con il carapace e la
struttura ossea è composta da tante piccole placche poligonali
incastrate tra loro come tessere di un mosaico.
Benché i suoi antenati
vagassero per tutti i mari aperti della Terra già 110 milioni di
anni fa, al tempo dei dinosauri, adesso è in pericolo (status
«vulnerabile» nella Lista rossa mondiale delle specie a rischio, ma
con diverse sottopopolazioni sull’orlo dell’estinzione). Il suo
punto debole è la necessità di migrare ogni due o tre anni, per
migliaia di chilometri, fino ai territori di riproduzione e
nidificazione ai Tropici. Fra i numerosi predatori che banchettano
con le sue uova, c’è anche un mammifero molto vorace di nome Homo
sapiens, soprattutto nel Sudest asiatico. Dei suoi piccoli appena
usciti dall’uovo, poi, uno su mille ce la fa. I cefalopodi e le
meduse di cui si ciba assomigliano troppo ai sacchetti di plastica
che infestano gli oceani e che, ingeriti per sbaglio, ostruiscono i
suoi canali digestivi. Si stima che vi siano ancora circa 50 mila
tartarughe liuto in giro per il mondo, per fortuna in leggera
crescita grazie alle recenti politiche di protezione.
Non va altrettanto bene
per altre sue cugine tartarughe marine, falcidiate dalle reti da
pesca, come la tartaruga embricata, la tartaruga comune Caretta
caretta, i cui siti di nidificazione nel Mediterraneo e in Italia
restano ancora troppo pochi, la tartaruga olivacea e la piccola
tartaruga di Kemp, le cui femmine si rifugiano a nidificare ormai
soltanto in due spiagge del Messico e del Texas, dopo essere
eroicamente sopravvissute a sversamenti petroliferi, inquinamenti,
cacciatori di frodo, reti a strascico e spazzatura galleggiante.
La Lettura Corriere della
sera, 26 marzo 2017
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