Sotto le rosse mura di
Parigi era schierato l'esercito di Francia. Carlomagno doveva passare
in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano li; faceva
caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po' coperto, nuvoloso;
nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è
detto che qualcuno in quell'immobile fila di cavalieri già non
avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l'armatura li
reggeva impettiti in sella tutti a un modo. D'un tratto, tre squilli
di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell'aria ferma come a
uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino
che s'era sentito fin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri
incupito dalle gole metalliche degli elmi. Finalmente ecco, lo
scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che
pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul
pomo della sella. Regna e guerreggia, guerreggia e regna, dài e dài,
pareva un po' invecchiato, dall'ultima volta che l'avevano visto quei
guerrieri.
Incipit de Il
cavaliere inesistente, Einaudi,
1959
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