Vi è qualcosa di
sorprendente nella «Vita Nuova» di Dante: un libro che ha
attraversato secoli di lettura restando tuttavia in qualche modo
ancora misterioso, ancora mirabilmente ambiguo. Indizio, questo, o
segno in genere di alta poesia. Orbene, è recentissima l’edizione
che di quest’opera ha curato un esperto filologo, Domenico De
Robertis, per la Casa editrice Ricciardi (pagg. 247, lire 8.000); il
lettore vi troverà un’acuta introduzione critica e, per la prima
volta, un’ampia serie, veramente preziosa, di note storico
letterarie che lo invoglieranno alla lettura, ma insieme gli
confermeranno quanto qui stiamo dicendo, e cioè che la «Vita Nuova»
ci lancia una scommessa, è testo da cui il lettore a momenti si
sente giocato, per un parlare recondito, per una verità nascosta e
qua e là allusa. Non si può mai, con quest’opera, tagliar corto e
dire: le cose stanno così e così; qualche sospetto inevitabilmente
incombe per lo stratificarsi di vari sensi, per il sovrapporsi di più
livelli o piani di significato, quindi di lettura.
Partendo da quella che si
direbbe, anche con espressione dell’epoca dantesca, la «forma del
libro», ecco che la «Vita Nuova» appare composta di poesie
(sonetti, ballate, canzoni) precedute da prose, che ne spiegano o
commentano la situazione amorosa di origine, e seguite da altre prose
che ne illustrano la struttura poetica. Si tratta di un genere
letterario che in seguito alla sua mescolanza di prosa e poesia viene
chiamato «prosimetro», genere per cui Dante aveva modelli illustri
latini (Severino Boezio, Alano di Lilla ecc.) o provenzali (le
«vidas» e «razos»), da lui profondamente rinnovati al punto che
l’opera dantesca diverrà essa stessa più tardi modello per altre
di rilievo come l’«Ameto» del Boccaccio o l’«Arcadia» del
Sannazzaro.
Cronologicamente, le rime
precedono quasi sempre le parti in prosa; come dire che Dante a un
certo momento della riflessione poetica trascelse, fra le poesie già
composte, quelle adatte a costituire un discorso continuato, a
rappresentare il suo cammino lirico sino agli anni 1293-1294, i più
probabili per la stesura delle prose. Nonostante la genesi separata e
la duplicità di messaggio delle prose e delle poesie, l’opera
risulta profondamente unitaria per l’emergere e l’espandersi,
come mette bene in luce De Robertis, della funzione della prosa, cioè
della riflessione distribuita con stupendo andamento ritmico nel
corso dell’opera sui testi e sull’itinerario poetico. Può essere
significativo un dato concreto offertoci da De Robertis, quasi una
prova indiretta dell’unità dell’opera: non c’è, nella sua
tradizione manoscritta, quella distinzione fra «lettera grossa» per
il testo poetico e «lettera sottile» per il commento, che compare
invece nella tradizione manoscritta del «Convivio».
Si esita molto a definire
dall’interno la «Vita Nuova»: essa è una narrazione
autobiografia o libro della memoria, ma anche parabola esemplare o
«exemplum» fornito di valore simbolico, è un trattato d’amore, è
un manifesto poetico dello Stil Novo, come almeno lo intese Dante. È
proprio tale spessore del testo che genera da un lato la conturbante
ambiguità, ma dall’altro ha sempre prodotto alla lettura
un’impressione di durata, di fonte di arricchimento per il lettore;
insomma lo spessore del testo si è offerto come spessore di vita.
Un libro prismatico, che
ci guida da un livello all’altro di lettura attraverso insensibili
e sottili spostamenti: la storia dell’amore di Dante per Beatrice,
le apparizioni della donna, le lodi di lei appartengono nello stesso
tempo alla realtà del poeta e alla realtà della poesia, dunque a
una dottrina o teoria della poesia. Ma essendo Dante una personalità
così intensa e fortemente accentratrice, teoria della poesia è in
lui teoria della «sua» poesia, cioè di un ideale e di una
soluzione della materia e vicenda amorosa assai diversi, per esempio,
da quelli del Cavalcanti: Dante rifiuta, salvo in fase iniziale, la
drammaticità dell’ amore-passione cavalcantiano a favore di
un’idealizzazione assoluta della donna, sicché si passa senza
soluzione di continuità dalle operazioni dell’anima sensitiva a
quelle beatificanti dell’intelletto che contempla. Beatrice è per
l’appunto contemplata come una creatura angelica: chiari elementi
della tradizione agiografica, mistica e liturgica, precise
espressioni del linguaggio biblico l’accompagnano, le fanno sempre
degno corteggio.
Ma allora fino a che
punto Beatrice è «figura» di una donna e non dello stesso fare
poetico? La domanda urge; la vita «nova» è sì rinnovata
dall’apparizione di Beatrice, ma coincide con l’apparizione della
poesia nell’universo del diciottenne Dante. E così, quando a Dante
sconsolato per la morte di Beatrice appare a una finestra la donna
gentile e pietosa, che lo consolerà, che deve pensare il lettore di
costei, se è Dante stesso a confonderlo col «Convivio», là ove lo
informa che la donna gentile dell’altra sua opera è la filosofia?
È probabile che ancora
molto ci resti da capire su questa e su altre opere di Dante; forse
bisognerà leggere di più i testi latini che Dante leggeva, e non
solo quelli che noi siamo soliti credere che lui leggesse; la sua
biblioteca ci è in parte sconosciuta. Detto questo, il commento di
De Robertis è già un grosso passo avanti, e molte delle citazioni
occulte prendono rilievo sicché veramente ci accostiamo a quello che
Dante vuole dirci su se stesso, sull’amore e sulla poesia. Ma la
«Vita Nuova» può anche essere letta come una mirabile fantasia
sull’amore, come una favola abitabile dall’immaginazione
dell’uomo, come un libro della memoria in cui per l’alleanza di
una mente speculativa e di una sensibilità poetica il reale è
trasfigurato ad ogni momento. Dante non è solo con le sue figure
poetiche, ma allo spettacolo partecipano i «fedeli d’Amore», e
persino le donne da essi cantate: in questo senso l’opera è la
storia di alcuni destini poetici che si intrecciano e creano fra
Firenze e Bologna uno dei momenti più intensi per la storia della
stessa poesia italiana; basti nominare Guido Guinizelli e Guido
Cavalcanti, coi quali Dante sommessamente colloquia in tutta l’opera.
Loro sono i veri destinatari della «Vita Nuova»; noi a secoli di
distanza, tentiamo di cogliere il senso di questo eccezionale
colloquio, tutto sommato abbastanza unico nella letteratura italiana
per l’altezza dei protagonisti.
"la Repubblica", ritaglio senza data, ma 1980
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