Al mio paese natìo, dove la forte sinistra di un tempo è stata, per colpe soprattutto sue, spazzata via come da uno tsunami, a tenere il punto contro la mafia e contro la destra c’è un giovane che stimo, Giuseppe Sferrazza, il quale da candidato sindaco del Pd ed ora da consigliere comunale di opposizione è nei fatti investito del faticosissimo compito della ricostruzione. Stamani ho trovato su fb una sua brevissima nota a commento dell’elezione della segreteria del Pd e della nomina dei presidenti di forum. “Dove sono i siciliani?” – si chiede. Domanda legittima e angosciante.
I membri della segreteria sono 12. Bersani ha voluto solo quarantenni che vengono da esperienze politiche e amministrative nei territori. Nomi, generalmente, poco noti. Tra loro non conosco che l'umbra Catiuscia Marini. La ricordo generosa combattente nella Fgci. L’ho seguita come sindaco di Todi e gentilmente criticata perché un po’ troppo amica del vescovo (vedi la questione del Todi Festival) e di Luisa Todini. Ma i voti della rielezione sembravano dare ragione a lei. Peccato che, alla fine della sindacatura, non abbia lasciato dietro di sé un gruppo dirigente capace di succedergli senza scannarsi al suo interno. Il centrosinistra ha perso il Comune. E’ un po’ colpa sua. Ma lo è più delle leggi autoritarie (volute a destra e sinistra) che ci hanno regalato sindaci demiurghi, se non addirittura podestà, ed hanno ridotto gli assessori a funzionari del sindaco e i consigli comunali a orpelli (ben retribuiti, ma orpelli). Nessuna divisione di compiti è ammessa, nessuna direzione collegiale. Ovunque si vuole "un uomo solo (o una donna sola) al comando". Con queste regole lo scontro interno si fa durissimo.
Per Catiuscia Marini la chiamata alla segreteria è forse, oggi, un promoveatur ut amoveatur, un togliere dal campo una possibile concorrente dell’attuale zarina dell’Umbria, la presidente della Regione Lorenzetti. Ma credo che Bersani abbia fatto bene con lei e con gli altri 11 a voler sperimentare un gruppo dirigente radicalmente rinnovato. Per la cara Catiuscia, di cui non conosco l’incarico specifico, una speranza e un consiglio. La speranza è che, in segreteria nazionale, ritrovi l’impegno disinteressato, la curiosità per il nuovo e la voglia di cambiare il mondo della sua giovinezza figgicciotta; il consiglio è di tenersi lontana da cardinali, grandi costruttori e poteri forti in genere.
I presidenti di forum sono, ad oggi, 16 quanti i forum (grosso modo le antiche sezioni di lavoro). Sono quasi tutti dirigenti sperimentati o comunque nomi noti, da Martini a Fassino, da Livia Turco a Fioroni, da Rognoni a Bachelet. E’ una nomenklatura per cui (salvo qualche eccezione) non ho molta stima, ma è quella lì. Forse si poteva evitare qualche presenza ingombrante, come lo screditato Violante, l’amico di Mirello Crisafulli. Per vederli in pensione bisogna aspettare, comunque: occorre che i quarantenni crescendo ottenendo qualche successo (contro Berlusconi si spera, e non nelle guerre intestine per il rinnovamento).
Torniamo a Sferrazza e alla Sicilia.
E’ possibile che non ci sia tra i Pd dell’isola un quadro politico quarantenne da sperimentare in segreteria?
E se non c’è un notabile di prestigio cui far presiedere un forum, non se ne poteva fare un diciassettesimo (alla faccia dei superstiziosi) per la legalità e contro le mafie e affidarne la guida a un Crocetta, a un Lumia, a una Rita Borsellino?
Si sarebbe potuto, ma non si è voluto.
Il problema a questo punto non è recriminare contro “il continente”, ma capire ciò è accaduto.
Intanto il regionalismo di tipo feudale che si è venuto affermando con la riforma del Titolo quinto della Costituzione rende sempre più difficile la funzione di “partito della Nazione” che alcune (poche) teste pensanti come Reichlin affidano al Pd. Un partito della nazione, infatti, dovrebbe investire impegno e valorizzare dirigenti proprio nelle zone dove è più debole. Il Pd lo ha fatto poco al Nord e niente affatto Sicilia. Perché? Perché, al di là delle formule e delle ambizioni, il Pd è un partito regionalizzato, in cui il peso delle regioni si misura in iscritti, voti, numero di sindaci, di assessori, di cariche di sottogoverno. Il Pd siciliano, ormai, conta come il due di coppe quando la briscola è a bastoni. E, per di più, il ceto politico che lo rappresenta è in gran parte vecchio, stanco e corrotto. Non parlo, ovviamente, di età o di codice penale (che riguarda solo casi estremi), ma della tendenza diffusissima al consociativismo e al clientelismo, oltre che alla moltiplicazione di cariche, incarichi e prebende. Si spiega così il fatto che, nella crisi in atto alla Regione autonoma, le “mosse” dei Pd siciliani vengano da molti giudicate subalterne alla partita vera. Quella che tra “lombardiani” e “cuffariani”. L’interpretazione è forse malevola ed inesatta, ma il fatto che circoli significa che il Pd siciliano non ha una sua politica leggibile.
Come uscire da questa debolezza? Come far contare il Pd siciliano nell’interesse dei siciliani e dello stesso Partito democratico nazionale?
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