Compagni del 21
Tra i vecchi comunisti del mio paese c'era una vena inesauribile di settarismo.
Strano a dirsi, non veniva alla luce soprattutto con me, figlio di un piccolo borghese bottegaio e fascista arrivato al partito chissà perché, ma tra di loro.
Custodivano gelosamente un verbale che rievocava storie di altri tempi. Al tempo della scissione di Livorno nel circolo socialista locale si era votato e ben 36 su 38 avevano scelto la bolscevizzazione e il Partito comunista sulla scia di un grande rivoluzionario agrigentino (di Raffadali precisamente), Cesare Sessa. Uno, un licatese, aveva votato per Filippo Turati. Un altro, probabilmente il più politico della compagnia, si era espresso a favore dei "terzini" di Giacinto Menotti Serrati, quelli che volevano portare tutto il Partito Socialista ad aderire alla Terza internazionale fondata da Lenin. Insieme a un gruppo di compagni avrebbe aderito al Partito comunista d'Italia qualche tempo dopo (credo nel 1924 con Girolamo Li Causi, anche lui in origine "terzino").
Era un contadino alfabetizzato di nome Mariano Micciché ed era destinato nel dopoguerra a diventare Marianu lu sinnacu (fu nominato sindaco dall'amministrazione militare alleata e durò in quel ruolo per quasi tutto il 1945).
Durante il ventennio era stato uno di quelli che i gendarmi chiudevano in camera di sicurezza durante le celebrazioni fasciste e in occasione del Primo maggio, per evitare che arrivasse in piazza con la cravatta rossa. Né in quei venti anni mancarono nei suoi confronti altre attenzioni e persecuzioni.
Benché balbuziente aveva un parlare sentenzioso, condito con una regolata aggressività. Tra i suoi detti ne ricordo solo un paio, di sicuro tra i più banali, tutti e due pronunciati in Consiglio comunale, ove fu eletto dal 1946 e rimase fino al 1966. Al sindaco Giovanni Licata Caruso, un ex comunista passato nel fronte avverso, che si lamentava della maleducazione dei consiglieri comunali del Pci, disse: "I comunisti di educazione ne hanno da vendere, tu da comprare"; all'onorevole democristiano Giglia che di quando in quando annunciava in Consiglio comunale imminenti lavori pubblici o altre provvidenze, diceva: "Questa se la rimetta nel .. fodero".
I più giovani lo chiamavamo 'zzi Marianu, con quello "zio" insieme affettuoso e ammirato che si dava agli anziani meritevoli di rispetto: lu 'zzi Mommu era Girolamo Li Causi; lu zzi Peppi era anche dopo il XX Congresso Giuseppe Stalin. Ma i vecchi conservavano una certa diffidenza e alcuni vantavano e ostentavano la propria qualifica di cumpagni di lu 21 che Mariano non poteva attribuirsi.
Era un contadino alfabetizzato di nome Mariano Micciché ed era destinato nel dopoguerra a diventare Marianu lu sinnacu (fu nominato sindaco dall'amministrazione militare alleata e durò in quel ruolo per quasi tutto il 1945).
Durante il ventennio era stato uno di quelli che i gendarmi chiudevano in camera di sicurezza durante le celebrazioni fasciste e in occasione del Primo maggio, per evitare che arrivasse in piazza con la cravatta rossa. Né in quei venti anni mancarono nei suoi confronti altre attenzioni e persecuzioni.
Benché balbuziente aveva un parlare sentenzioso, condito con una regolata aggressività. Tra i suoi detti ne ricordo solo un paio, di sicuro tra i più banali, tutti e due pronunciati in Consiglio comunale, ove fu eletto dal 1946 e rimase fino al 1966. Al sindaco Giovanni Licata Caruso, un ex comunista passato nel fronte avverso, che si lamentava della maleducazione dei consiglieri comunali del Pci, disse: "I comunisti di educazione ne hanno da vendere, tu da comprare"; all'onorevole democristiano Giglia che di quando in quando annunciava in Consiglio comunale imminenti lavori pubblici o altre provvidenze, diceva: "Questa se la rimetta nel .. fodero".
I più giovani lo chiamavamo 'zzi Marianu, con quello "zio" insieme affettuoso e ammirato che si dava agli anziani meritevoli di rispetto: lu 'zzi Mommu era Girolamo Li Causi; lu zzi Peppi era anche dopo il XX Congresso Giuseppe Stalin. Ma i vecchi conservavano una certa diffidenza e alcuni vantavano e ostentavano la propria qualifica di cumpagni di lu 21 che Mariano non poteva attribuirsi.
Il sindaco Castellino
E' dubbio che sia stato Miccichè il primo sindaco comunista del paese. Fu eletto alla carica nel 1920 Diego Castellino, un contadino istruito. Il Pcd'I non c'era ancora, ma lui era già comunista nell'animo, stava con Lenin, con Sessa e con Bordiga. Io credo debba a riferirsi proprio a lui l'aneddoto, di cui però taluni vorrebbero protagonista lu 'zzi Marianu, altri Giovanni Siracusa che fu sindaco comunista dal 1946 al 1949.
E' dubbio che sia stato Miccichè il primo sindaco comunista del paese. Fu eletto alla carica nel 1920 Diego Castellino, un contadino istruito. Il Pcd'I non c'era ancora, ma lui era già comunista nell'animo, stava con Lenin, con Sessa e con Bordiga. Io credo debba a riferirsi proprio a lui l'aneddoto, di cui però taluni vorrebbero protagonista lu 'zzi Marianu, altri Giovanni Siracusa che fu sindaco comunista dal 1946 al 1949.
Se non mi sbaglio, dunque, toccò a Castellino concludere una affollatissima e commovente riunione dove a centinaia i contadini si giuravano solidarietà reciproca nella lotta contro il latifondo e al privilegio baronale.
Iniziò così: "Mentri ca siemmu tutti nni sta ...chista chista cca, 'nni sintiemmu tutti na ... comusichiama" ("mentre siamo tutti in ... questa questa qui, ci sentiamo tutti una ... comesichiama"). Più per l'emozione che per i pochi studi a Castellino erano mancate le parole, ma l'idea l'aveva comunicata benissimo. Quest'idea che dà forza ai deboli e ricchezza ai poveri quando lottano insieme, che li fa sentire una cosa sola, è il comunismo.
Iniziò così: "Mentri ca siemmu tutti nni sta ...chista chista cca, 'nni sintiemmu tutti na ... comusichiama" ("mentre siamo tutti in ... questa questa qui, ci sentiamo tutti una ... comesichiama"). Più per l'emozione che per i pochi studi a Castellino erano mancate le parole, ma l'idea l'aveva comunicata benissimo. Quest'idea che dà forza ai deboli e ricchezza ai poveri quando lottano insieme, che li fa sentire una cosa sola, è il comunismo.
La via italiana al socialismo
A Canicattì la sezione più combattiva era a Borgalino, il quartiere più in alto, ma anche il più proletario. Il fatto dev'essere accaduto nel 1958 o nel 1959, dopo il lancio del primo Sputnik sovietico che commuoveva e inorgogliva braccianti e operai comunisti. Segretario della sezione era un coraggioso impiegato di banca, tal Ferreri, che aveva anche una laurea in legge ma conservava una popolana spontaneità e comunicativa.
Era stato mandato a Mosca, 20 giorni di viaggio premio per i successi ottenuti dalla sezione nella diffusione de "l'Unità", e doveva raccontare della Russia. Parlò del lavoro che non mancava a nessuno, delle fabbriche ove lavoravano uomini e donne, dell'istruzione per tutti, delle abitazioni dei contadini che vivevano in appartamenti ed avevano una stanza da bagno ogni due famiglie, non come a Canicattì ove spesso toccava fare i bisogni fuori casa e bisognava coabitare con l'asino, disse delle fattorie modello, delle industrie organizzatissime, dei progetti spaziali. Dopo la relazione il primo a intervenire fu un contadino: "Mi piaci sta Russia, cumpagnu Ferreri. Ma cci nn'è putii di vinu?". La domanda sulla presenza in Russia di bettole ("botteghe di vino") sorprese Ferreri, che tuttavia, dopo qualche secondo di imbarazzo, rispose: "No, non ce ne sono. Ma proprio per questo Togliatti ha inventato la via italiana al socialismo".
Era stato mandato a Mosca, 20 giorni di viaggio premio per i successi ottenuti dalla sezione nella diffusione de "l'Unità", e doveva raccontare della Russia. Parlò del lavoro che non mancava a nessuno, delle fabbriche ove lavoravano uomini e donne, dell'istruzione per tutti, delle abitazioni dei contadini che vivevano in appartamenti ed avevano una stanza da bagno ogni due famiglie, non come a Canicattì ove spesso toccava fare i bisogni fuori casa e bisognava coabitare con l'asino, disse delle fattorie modello, delle industrie organizzatissime, dei progetti spaziali. Dopo la relazione il primo a intervenire fu un contadino: "Mi piaci sta Russia, cumpagnu Ferreri. Ma cci nn'è putii di vinu?". La domanda sulla presenza in Russia di bettole ("botteghe di vino") sorprese Ferreri, che tuttavia, dopo qualche secondo di imbarazzo, rispose: "No, non ce ne sono. Ma proprio per questo Togliatti ha inventato la via italiana al socialismo".
La cooperativa "L'Uguaglianza"
Qualcosa ne sapevo, ma i particolari di questa storia me li ha raccontati Giacomino, un compagno del mio paese, un meccanico in pensione. La cooperativa agricola più importante del dopoguerra si chiamava "L'Uguaglianza". Dopo i disordini del 1948 in conseguenza dei quali vennero incarcerati a decine i comunisti, la cooperativa fu una della dodici scelte in tutta Italia come destinatarie dei trattori donati dall'Unione sovietica ai contadini italiani. Il trattore arrivò smontato e collocato in grandi casse di legno su un treno merci. Vennero degli operai a montarlo, credo dall'Emilia Romagna, ma con loro c'era un compagno catanese, che era emigrato in Russia durante il fascismo e che aveva tradotto in italiano le istruzioni di montaggio e manutenzione. Le istruzioni da lui tradotte, scritte a mano, erano rimaste a disposizione della cooperativa. Giacomino, che al tempo aveva quindici o sedici anni ed era sveglio e appassionato di motori, fu messo a guidare il trattore di Stalìn. Aveva il motore metallico, ma la carrozzeria era di legno. Per un anno o due funzionò bene. Per le piccole riparazioni ci si arrangiò con le istruzioni e con la fantasia.
Poi Giacomino dovette lasciare quel lavoro, che faceva un po' per guadagnare qualcosa un po' per comunismo. Il padre lo obbligò a tornare come apprendista dal meccanico per prepararsi l'avvenire. Il suo posto venne preso da un socialista, un po' spericolato, che al trattore ruppe la biella. Poichè non si trovava in paese nè il pezzo di ricambio nè il modo per riparare quello rotto, il trattore sbiellato fu portato a Catania. Si diceva che in un modo o nell'altro lo avrebbero rimesso in moto. In verità nessuno a Campobello ne seppe più niente: i compagni catanesi interpellati davano infatti risposte vaghe e contraddittorie.
"L'Uguaglianza" rimase senza trattore e dopo qualche anno si sciolse, le tavole delle casse di imballaggio rimasero in paese, conservate in sezione. Insieme ad altre tavole venivano usate per costruire il palco per la festa de "l'Unità", che si montava e smontava ogni anno. Pare che una documentazione sulla storia della cooperativa avesse conservato il suo storico presidente, un compagno del 21, e che ne possegga ancora una parte il figlio, che non ho rintracciato. Giacomino mi ha dato anche la copia digitale di una vecchia foto, molto rovinata. In cima al trattore campeggia la faccia simpatica di lu 'zzi Peppi. (S.L.L.)
Poi Giacomino dovette lasciare quel lavoro, che faceva un po' per guadagnare qualcosa un po' per comunismo. Il padre lo obbligò a tornare come apprendista dal meccanico per prepararsi l'avvenire. Il suo posto venne preso da un socialista, un po' spericolato, che al trattore ruppe la biella. Poichè non si trovava in paese nè il pezzo di ricambio nè il modo per riparare quello rotto, il trattore sbiellato fu portato a Catania. Si diceva che in un modo o nell'altro lo avrebbero rimesso in moto. In verità nessuno a Campobello ne seppe più niente: i compagni catanesi interpellati davano infatti risposte vaghe e contraddittorie.
"L'Uguaglianza" rimase senza trattore e dopo qualche anno si sciolse, le tavole delle casse di imballaggio rimasero in paese, conservate in sezione. Insieme ad altre tavole venivano usate per costruire il palco per la festa de "l'Unità", che si montava e smontava ogni anno. Pare che una documentazione sulla storia della cooperativa avesse conservato il suo storico presidente, un compagno del 21, e che ne possegga ancora una parte il figlio, che non ho rintracciato. Giacomino mi ha dato anche la copia digitale di una vecchia foto, molto rovinata. In cima al trattore campeggia la faccia simpatica di lu 'zzi Peppi. (S.L.L.)
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