Come anteprima di Umbrialibri 2009 si è svolto stamani (martedì 10 novembre) un incontro alla Sala dei Notari per presentare un documentario di Goti sul 20 giugno 1859 a Perugia e gli elaborati di alcune classi delle scuole medie cittadine.
Il documentario colloca quella pagina di storia dentro la più ampia vicenda della città, del suo rapporto con il papato e con il Risorgimento nazionale. Inevitabile un po' di retorica, ma sobria ed efficace.
Interessante, per varie ragioni, anche l'esposizione delle ricerche degli studenti.
Molto è dipeso adagli insegnanti. Dai ragazzi di una classe del Classico, per esempio, si è potuta ascoltare una rievocazione accurata e non trionfalistica delle vicende della Perugia risorgimentale, conclusa dalla lettura di un sonetto carducciano. Da quelli di un'altra classe si sono ascoltate, quasi sovrapposte, la narrazione laico-massonica e la negazione papalina, come se si trattasse di uno di quei dibattiti televisivi in cui due "verità" antitetiche possono solo cozzare l'una contro l'altra, senza alcuna possibilità di verifica. Una ragazza di un istituto tecnico ha poi convintamente parlato di Guardabassi màssone, come se fosse sàssone: evidentemente l'insegnante le ha corretto una tesina scritta, ma di massoni e massoneria non ha mai parlato.
La cosa più interessante, per certi versi divertente, è stata la ricerca di un gruppo di studenti del Classico, guidati da Alba Cavicchi, su documenti conservati nell'archivio della scuola e relativi a una delle prime celebrazioni della "data gloriosa", quella del 1864. Non la racconterò oggi, spero di procurarmi copia dei documenti per darne un'idea più diretta e precisa. Qui troverete una rievocazione del 20 giugno di Sandro Portelli (da "il manifesto") e un mio intervento su "micropolis" sul mito del 20 giugno.
Perugia, Palazzo dei Priori, Il Grifo e il Leone |
Sangue e saccheggi
I papalini a Perugia
Sandro Portelli
Non volevo far passare il
Giubileo senza raccontare questa storia.
Io non ne sapevo niente,
finché qualcuno non mi ha segnalato una poesia di John Greenleaf
Whittier (poeta americano di metà '800, notevole per le sue poesie
contro la schiavitù), intitolata From Perugia: "Cos'è
questo stridore di pifferi e battito di tamburi? Guarda - gli
Svizzeri della Chiesa tornano da Perugia, angeli militanti che con la
sciabola ribadiscono le missive del buon Padre e i 'lo dice Iddio!'
ai malcontenti, maledetti e aborriti, e prestano alla sua logica la
punta della spada... Eccoli lì, pugnalatori mercenari, il sangue
ancora fresco schizzato come vino rosso dal loro raccolto di carne
umana...".
Che diavolo era successo,
a Perugia? E' il 14 giugno del 1859. Ottocento giovani perugini sono
già partiti per il Nord, volontari nella guerra d'indipendenza. Alle
undici di mattina, "tra le acclamazioni della folla che gremiva
il Corso", un gruppo di liberali "s'inoltrarono decisamente
nel palazzo dei Priori" per comunicare al delegato apostolico
"che Perugia voleva essere una città italiana e che si sarebbe
staccata dal Papa qualora questi non intendesse aiutare Vittorio
Emanuele e Napoleone a cacciare gli austriaci dalla penisola"
(Uguccione Ranieri, Perugia della bell'epoca).
Il delegato apostolico
lascia la città, senza colpo ferire. Arrivata la notizia a Roma, il
segretario di stato cardinale Antonelli ordina alle truppe svizzere,
duemila uomini al comando del colonnello Schmidt, di marciare su
Perugia. Ci vogliono cinque giorni di marcia. I soldati papalini si
fermano a Narni: "nelle osterie si erano mostrati allegrissimi
alla notizia che Perugia, anziché arrendersi, si preparava a difesa.
Schmidt infatti per incoraggiare i suoi a marciare aveva promesso...
il saccheggio della città. I mercenari discutevano addirittura della
lunghezza del periodo di saccheggio... e ai narnesi esterrefatti
spiegavano: 'A Perugia stare tutti priganti'" (Ranieri).
Arrivano a Perugia la
mattina del 20 giugno. Gli insorti sono poco più di un migliaio,
hanno archibugi da caccia e 400 fucili, in parte inservibili,
arrivati da Arezzo (Perugia è una città di confine, accanto alla
liberale Toscana). Resistono sulle mura e sulle porte, poi nelle
strade strette, nelle case, sui tetti. Ci sono i primi morti. Il
contingente pontificio infine entra in città, "inferocito per
la imprevista resistenza dei perugini e imbaldanzito dalla vittoria"
(Luciano Radi, 20 giugno 1859).
Piove furiosamente, le
strade sono deserte, c'è il rischio dei cecchini; i saccheggiatori
hanno fretta. I soldati del Papa irrompono nel Monastero di San
Pietro, non trovano bottino e si sfogano devastando l'archivio e la
biblioteca. Invadono i negozi e le case, la gente gli tira tegole dei
tetti e qualche colpo di fucile, loro sparano indiscriminatamente
alle finestre, ci sono altri morti e feriti, "per lo più
donne". "I soldati cominciarono ad assaltare i portoni
delle case rimasti chiusi ed, entrati, fecero scempio di cose e
persone. Alcuni che coraggiosamente si opposero alle rapine degli
oggetti più preziosi e cari, furono selvaggiamente aggrediti ed
uccisi. Visto che i negozi degli artigiani e dei commercianti non
erano in grado di arricchire il loro bottino, passarono ad
incendiarli. Fu il finimondo". Un episodio fra tanti: "la
casa del fabbro Mauro Passerini, cittadino di eccellente reputazione,
fu saccheggiata, e Passerini stesso e sua moglie Carolina, furono
barbaramente assassinati, come pure Candida, cognata del Passerini,
che abitava là vicino" (H. Nelson Gay, in "Archivio
Storico del Risorgimento Umbro", 1907).
L'ambasciatore degli
Stati Uniti in Vaticano, Stockton, scrisse al suo governo: "Una
soldatesca brutale e mercenaria fu sguinzagliata contro gli abitanti
che non facevano resistenza; quando fu finito quel poco di resistenza
che era stata fatta, persone inermi e indifese, senza riguardo a età
o sesso, furono, violando l'uso delle nazioni civili, fucilate a
sangue freddo". Il cappellano delle truppe pontificie riferì
"con entusiasmo" che "i nostri soldati massacravano
quanto trovavano in queste case". Giuseppe Porta, segretario del
comune, va per negoziare sventolando una bandiera bianca, ed è
abbattuto a fucilate. Alla fine, il conto dei cittadini uccisi è di
ventisei. I feriti sono innumerevoli, i danni incalcolabili. "Il
sentimento [del cardinale] Antonelli alla prima notizia della
repressione dell'incipiente rivoluzione in Perugia, era stato di pura
e semplice contentezza. Il Papa, 'onde manifestare la somma sua
soddisfazione' aveva immediatamente promosso il colonnello Schmidt,
che comandava gli svizzeri pontifici vincitori, al grado di generale
di brigata" (Nelson Gay). Bava Beccaris non è dunque il primo
massacratore decorato della nostra storia. “È costui Pio Nono il
misericordioso, al cui avvento cantammo osanna e illuminammo Roma",
chiede retoricamente Whittier, "e sognammo l'inizio di una nuova
era?". Non è un caso che siano Whittier e Stockton a
protestare. Infatti la soddisfazione del cardinale Antonelli e del
Papa è guastata da un incidente diplomatico. In un albergo di
Perugia soggiorna in quel momento una famiglia americana, i Perkins,
che sta facendo il classico grand tour europeo; quando gli
svizzeri vi fanno irruzione uccidendo il proprietario e un domestico,
i Perkins vengono malmenati, derubati, minacciati. Sarebbero stati
tutti massacrati, scriverà poi il nuovo delegato apostolico, se un
soldato di nome Conrad Wellauer ("più degli altri umano"
scrive Gay: antenato del "tedesco buono" di tanti racconti
sulla seconda guerra mondiale) non si fosse messo in mezzo dicendo
che era da vigliacchi uccidere delle donne. Mentre i soldati del Papa
saccheggiano e distruggono, i Perkins devono nascondersi in un
soffocante stanzino. Il giorno dopo, uscendo per mettersi in salvo,
scavalcano cinque o sei cadaveri abbandonati in strada. L'aggressione
agli stranieri fa uscire la vicenda dai confini dello Stato
Pontificio: se ne parla sul Times, diventa un caso
diplomatico, l'America la prende a cuore. Gli Stati Uniti democratici
sono fortemente critici verso i governi dispotici europei, e sono
assai attenti alla sicurezza dei loro cittadini all'estero (più di
una volta, ne faranno casus belli coi loro vicini).
In questo momento, sono
alle prese sia con una virulenta campagna anticattolica di movimenti
nativisti secondo cui gli immigrati irlandesi sono per lingua e
religione inassimilabili alla democrazia americana (come gli islamici
nell'Italia del cardinale Biffi e della giunta del Friuli), sia con
le campagne antischiaviste che mettono all'ordine del giorno le
questioni di libertà (sui fatti di Perugia si pronuncia anche
Harriet Beecher Stowe, autrice de La Capanna dello zio Tom).
Infine, l'Italia è da
sempre sotto gli occhi di scrittori, artisti, intellettuali. Pochi
anni prima Margaret Fuller, protagonista del primo femminismo
americano, ha partecipato attivamente alla repubblica romana e ne ha
informato i lettori delle riviste trascendentaliste con appassionati
reportage. "Da oltre il mare - scrive Whittier in un'altra
poesia intitolata "Italy" - nelle pause del vento e
delle onde ho sentito i gemiti delle nazioni. Il loro sangue, le loro
ossa gridavano sotto la tortura, schiacciate dai troni, succhiate da
preteschi cannibali". Dopo una prima risposta arrogante, il
cardinale Antonelli si affretta perciò a risarcire i Perkins e
chiudere il caso.
Tuttavia, il danno
all'immagine internazionale della Santa Sede resta; sono anche gli
anni di un altro scandalo internazionale, il caso Mortara, il bambino
ebreo rapito e convertito a forza. Adesso sarà più difficile per le
potenze europee difendere il potere temporale dei papi. Un anno dopo,
arrivando a Perugia, la scrittrice francese Louise Colet nota che per
strada si vedono solo "mendicanti, soldati svizzeri e austriaci,
preti e monaci" e l'unica voce è quella di un sergente che
impartisce ordini in tedesco.
"Ogni giorno," annota, "i soldati papalini insultavano i cittadini, tutto era pretesto per le loro brutalità"; infastidiscono le ragazze, picchiano chi porta i baffi in fogge sovversive, si scontrano con i pochi carabinieri italiani che non hanno disertato per unirsi alla lotta per l'indipendenza (Alberto Sorbini, Perugia nei libri di viaggio dal Settecento all'unità d'Italia). L'ordine è tornato a Perugia, come scrisse il Giornale di Roma, "con soddisfazione dei buoni". In un'assemblea scolastica sui libri di testo, ho raccontato questa storia di cui i libri di testo (accusati di faziosità comunista) non parlano mai. Un ragazzo mi ha contestato - sono cose di tanto tempo fa, non hanno rapporto con il presente. Più tardi, un altro gli ha ricordato che il Papa che promosse generale il colonnello Schmidt è lo stesso che è stato promosso beato appena pochi mesi fa, nell'anno del giubileo.
"Ogni giorno," annota, "i soldati papalini insultavano i cittadini, tutto era pretesto per le loro brutalità"; infastidiscono le ragazze, picchiano chi porta i baffi in fogge sovversive, si scontrano con i pochi carabinieri italiani che non hanno disertato per unirsi alla lotta per l'indipendenza (Alberto Sorbini, Perugia nei libri di viaggio dal Settecento all'unità d'Italia). L'ordine è tornato a Perugia, come scrisse il Giornale di Roma, "con soddisfazione dei buoni". In un'assemblea scolastica sui libri di testo, ho raccontato questa storia di cui i libri di testo (accusati di faziosità comunista) non parlano mai. Un ragazzo mi ha contestato - sono cose di tanto tempo fa, non hanno rapporto con il presente. Più tardi, un altro gli ha ricordato che il Papa che promosse generale il colonnello Schmidt è lo stesso che è stato promosso beato appena pochi mesi fa, nell'anno del giubileo.
"il manifesto", 6 gennaio 2001
Perugia, il Palazzo dei Priori |
La battaglia delle idee
Il mito del 20
giugno perugino
Salvatore Lo Leggio
Una bella rievocazione
del 20 giugno del 1859 perugino dal titolo I papalini a Perugia fu
pubblicata da “il manifesto” il 6 gennaio 2001 (e ripubblicata da
“micropolis” nel giugno 2002). L’autore, Sandro Portelli, così
la introduceva: “Non volevo far passare il Giubileo senza
raccontare questa storia”. In quel Giubileo si era beatificato Pio
IX, il Papa re sotto le cui bandiere i mercenari svizzeri in quei
giorni fatidici fecero scempio della città umbra. Il testo può
ritrovarsi ora, senza indicazione della fonte, in due siti della
tifoseria calcistica: grifovunque.com e perugianelcuore.myblog.it. Il
secondo non segnala neppure il nome dell’autore, ma alla fine
dell’articolo aggiunge: “Forza Grifo, ricordati cosa tieni sotto
gli artigli” (la tiara pontificia, N.d.R.).
La storia, nota ormai
solo a pochi, racconta della ribellione dei perugini, dell’arrivo
dei papalini cui è stato promesso un lungo saccheggio, delle
distruzioni, le ruberie e le uccisioni indiscriminate che compiono
dopo aver piegato l’eroica resistenza. La presenza a Perugia di
americani, testimoni involontari e vittime di maltrattamenti, dà
risonanza mondiale alle “stragi di Perugia”, emblema della
sciagura di quei popoli europei che sono ancora “schiacciati dai
troni” e “succhiati da preteschi cannibali”.
Il Papa beato, dal canto
suo, conferisce una medaglia ai soldati svizzeri e nomina generale il
colonnello Schmidt che li ha guidati. L’Associazione culturale
perugina di Porta Santa Susanna sul tema ha organizzato una serie di
incontri che, inaugurata a settembre, si concluderà nel giugno 2009,
in coincidenza con il 150° anniversario delle stragi. In quella sede
ha trovato linfa un dibattito che, a partire da un saggio di Franco
Bozzi, pubblicato nel 2007 sul numero 6 della rivista “Diomede”,
ne ha impegnato alcune pagine dei numeri successivi.
Bozzi racconta le
celebrazioni del 1959, contrassegnate da vive polemiche e perfino
dalla circolazione di opuscoletti di orientamento papista, e riporta
due intense testimonianze sul 20 giugno come ricorrenza costitutiva
del civismo perugino. La prima, di Aldo Capitini, così si chiude:
“L’ammirazione per il coraggio, l’avversione alla crudeltà, la
diffidenza verso l’oppressione e insieme la tenerezza per il
silenzio a cui erano scesi quei morti, mi fecero germogliare e
confermavano ad ogni atteso anniversario, nel fiorente, pieno giugno,
il sentimento civile”. La seconda, di Walter Binni, così tra
l’altro proclama: "Mi sembrava bello essere perugino
soprattutto per merito di quella data gloriosa”.
Nel 20 giugno Bozzi vede
un vero e proprio “mito di fondazione” della Perugia
contemporanea, di cui studia le fasi e documenta la diffusione;
lascia intendere come in esso si esprima l’egemonia di una
borghesia massonica, prevalentemente impegnata nelle “professioni
liberali”, che ha saputo legare a sé gruppi di artigiani,
impiegati e operai specializzati. Una fortunata coincidenza coopererà
più tardi a fare del 20 giugno una ricorrenza compiutamente
“repubblicana”, cara anche alla sinistra socialista e comunista:
è in quello stesso giorno che nel 1944 gli inglesi liberano Perugia.
Da allora nell’identità cittadina cui la “data gloriosa”
allude, alla componente laica e anticlericale può, senza
stemperarla, accompagnarsi quella dell’antifascismo e della
giustizia sociale. Su questo punto invero Bozzi ha qualche dubbio e
amare sono le conclusioni sulla Perugia attuale, multietnica, ove la
memoria civica sembra non reggere all’incalzare dei tempi: “Resta
il costume di utilizzare la data per l’inaugurazione di opere
pubbliche… ma si tratta di povera cosa”.
Delle reazioni al saggio
di Bozzi alcune facilmente si inquadrano nel clima di “revisionismo
storico” di segno reazionario che imperversa nella seconda (o
terza?) repubblica e che di volta in volta attacca il Risorgimento,
Garibaldi, la Resistenza etc.. Non sorprende perciò che taluni
(anche tra i cattolici democratici e perfino tra i sedicenti “laici”)
vedano nelle celebrazioni del 20 giugno il segno di un “laicismo
integralista”, cui si opporrebbe la “sana laicità” propugnata
da Benedetto XVI. Ben pochi del resto si sono stupiti (o indignati)
dell’impudenza con cui “il pastore tedesco” è andato il dì
l’altro nella Campania massacrata dalla camorra a indicare
nell’anticlericalismo il pericolo numero uno. A noi sembra però
che la realizzazione del sogno di Bozzi, “far ridiventare Perugia
la città del 20 giugno”, abbia altri impedimenti che lui stesso
intuisce. I miti hanno quasi sempre un contenuto gnomico, trasmettono
una morale; vale anche per quelli di fondazione la formula di Esopo:
o mythos deloi, “la favola insegna”.
Sotto questo aspetto il
mito del 20 giugno funziona ancora, lo dimostrano perfino i siti dei
tifosi. E’ la città che non è più quella, specie nel suo centro,
ove dominano jenserie, commerci impersonali, traffici e spacci d’ogni
sorta, mentre mancano i residenti storici (dispersi anche da scelte
urbanistiche folli) e nessuno c’è a tramandare ai nuovi residenti,
studenti e immigrati che siano, la favola bella di una città libera
e aperta, ribelle a un potere dogmatico, ottuso e crudele.
Funzionerebbe egregiamente, anche come supporto a quelle politiche di
integrazione che sarebbe saggio praticare, ma occorrerebbe una
comunità di cittadini, una civitas, e non una conurbazione
atomizzata. Il mito va bene, è la città che va rifatta. Rifondata
diremmo, se la parola non portasse male.
"micropolis",
settembre 2008
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