Il socialista Riccardo Nencini, nulla rinnegando del suo passato craxista, ha valorizzato il ruolo del Psi di allora che quell’evento aveva favorito appoggiando l’istallazione dei missili e si è detto orgoglioso di essere detentore di un piccolo “salvadanaio di memorie” consegnatogli personalmente da Ghino di Tacco. Per lui “la caduta del muro non ha messo in crisi le socialdemocrazie, che in Europa, dopo l’89, hanno vinto in molti e importanti paesi europei, dimostrando grandi capacità di rinnovamento”. La crisi del socialismo europeo ha altre cause e la crisi del socialismo italiano ha altri responsabili (non li dice, ma li lascia intendere: i capitalisti, i pubblici ministeri e soprattutto gli eredi del Pci).
Achille Occhetto, molto atteso dopo la sua rentrée a venti anni dalla Bolognina, non ha saputo far meglio che rivendicare il merito della “svolta”. Senza la sua tempestività e il suo coraggio – spiega – la forza del Pci si sarebbe dissolta. E invece è rimasta in campo. Gli errori, gravissimi, sono arrivati dopo, con la fine della carovana dell’Ulivo, unico strumento unitario e plurale capace di connettere i riformismi storici e metterli in grado, nella reciproca contaminazione, di affrontare le sfide del dopo muro. La parte più interessante del suo intervento riguarda, ancora una volta, i rapporti con Craxi. Racconta: “C’incontrammo più volte. Il nostro problema era come unire due elettorati che si odiavano. Io non potevo chiedere ai miei una rapida unificazione, mi avrebbero rincorso per strada. Gli suggerii di uscire dalla maggioranza: l’unificazione sarebbe stata favorita da un periodo di opposizione. Mi disse che, se fosse uscito dal governo, lo avrebbero rincorso i suoi”.
Due considerazioni. In primo luogo la denuncia dell’inguaribile provincialismo che spinge i due a considerare l’Italia l’ombelico del mondo (e a considerare se stessi l’ombelico d’Italia) e li porta ad archiviare senza un minimo di ragionamento la storia comunista del ventesimo secolo, una vicenda di ideali, di lotte, di errori ed orrori che ha coinvolto centinaia di milioni di persone. In secondo luogo il riemergere del fantasma di Craxi.
Forse giova ricordare qui alcune caratteristiche rilevanti del craxismo, una “mutazione genetica” del socialismo italiano che non è riducibile a tangentismo e cleptocrazia.
Primo: l’attacco ai salari e al sindacato. L’offensiva contro la scala mobile fu l’inizio di un ridimensionamento del peso degli operai nel movimento sindacale e della divisione tra le confederazioni. Non è un caso che oggi, nel governo Berlusconi, Sacconi e molti altri ex socialisti si considerino, nelle loro politiche di attacco al contratto nazionale e alla Cgil, i veri eredi della tradizione craxiana. Dal momento dell’abolizione dei due punti di scala mobile è cominciato, infatti, un gigantesco spostamento di risorse economiche dai redditi dei lavoratori dipendenti in direzione delle rendite e dei profitti, una vera controrivoluzione che ha riportato i salari italiani ai livelli più bassi d’Europa (processo che neppure i governi Prodi e D’Alema hanno saputo o voluto contrastare). Molti anni fa Vittorio Foa, in polemica con Lama, sostenne che, se il salario non è una variabile indipendente, esso tuttavia misura i rapporti di forza tra capitale e lavoro nel processo produttivo. Con il craxismo è iniziata, allora, un’offensiva dei ceti proprietari che ha sottomesso il lavoro e che, togliendo ai lavoratori poteri, ha iniziato a ridurre diritti e protezioni sociali per tutti i gruppi sociali subalterni.
Secondo: la tendenza a concentrare i poteri nell’esecutivo ed alla semplificazione autoritaria della politica. Certo al tempo di Craxi si era ai primi passi di un cammino, ma gli stivaloni del “cinghialone” anticipavano lo strapotere mediatico del Cav.
Terzo: la deriva securitaria. Forse pochi lo ricordano, ma la legge Jervolino-Vassalli (poi abolita con referendum), che introduceva una linea proibizionista sulla marijuana, fu voluta da Craxi appena tornato dall’America ove s’era incontrato con Reagan ed era rimasto ammirato della “tolleranza zero di Giuliani”.
Su tutto questo i due hanno taciuto, ugualmente incapaci di ragionare sul “socialismo reale” di Stalin e Brezhnev come sul “socialismo reale” di Bettino Craxi.
Nessun commento:
Posta un commento