Alla fine dello scorso mese, nell’annuale convegno organizzato a Capri dai giovani della Confindustria, il ministro Tremonti ha rilanciato la questione meridionale. “Ci sono due Italie – ha detto - quella del Nord che tutti gli indicatori economici collocano nettamente al di sopra della media europea, ed una del Sud che sta dietro la Grecia e il Portogallo”. Ha sostenuto, con qualche ragione, che il divario viene aggravato dalla dispersione della spesa pubblica nel Sud e se l’è presa con gli assessori meridionali, specialmente con quelli regionali. Ascoltandone il discorso mi sono chiesto: “Che fine ha fatto l’Italia di mezzo? E io, che vivo a Perugia, abito in un non luogo?”.
Sembrerebbe di sì, a giudicare dal dibattito nazionale sul federalismo. L’arrivo della Lega di Bossi a Gualdo, a Gubbio, nell’Alto Tevere questo esattamente vuole dirci, che l’Umbria, terra di nessuno, diviene terra di conquista. Agli umbri la scelta: potranno farne l’ultima propaggine della Padania o l’avamposto del Meridione, potranno forse dividersi, ma non si illudano di tirarsi fuori.
Forse a questa scelta secca c’è una alternativa: quella di non attendere che il federalismo fiscale entri in vigore e che qualcuno da Roma commissari l’Umbria come si vuol fare con le regioni meridionali.
Qualche cenno sul problema c’era nella mozione congressuale presentata da Stramaccioni ed è stato sollevato nei cosiddetti "stati generali" di Sinistra e libertà dell'Umbria; in giro per televisioni, ne sta fa tema di discussione, seppure con la prudenza dei politici di mestiere, anche il segretario regionale del Prc, Vinti. Insomma, col federalismo alle porte, più d'uno dice che bisogna stringere un legame tra le regioni dell’Italia mediana. E’ una buona idea: potrebbe servire non solo a ridurre i costi, ma a rendere più efficace l’intervento in molti campi. Ci sono due pericoli. Il primo che, in mano al ceto politico, la proposta si trasformi nella costituzione di nuovi enti, società, agenzie interregionali con propri amministratori, apparati etc., insomma un’altra greppia. Il secondo che, affermato il principio di un collegamento, tutto poi vada a rilento, che sui trasporti, la sanità, i servizi per le imprese, le infrastrutture, eccetera, tra localismi ed incertezze, ognuno difenda il suo orticello.
In Umbria non abbiamo un buon retaggio. Da molto tempo ormai non ci sono gruppi dirigenti che guardino all’insieme della regione e la politica regionale si è spesso configurata come mediazione tra contrapposte istanze territoriali. Sarà perciò molto difficile che nel mondo politico, imprenditoriale, sindacale si affermino con la rapidità necessaria gruppi dirigenti che abbiano una visione addirittura sovraregionale. L’esperienza ci dice che, anche all’interno della nostra piccola regione, nella sanità e nei trasporti pubblici ad esempio, il superamento di strozzature, doppioni, inefficienze è andato avanti con difficoltà.
Un esempio. Da perugini giustamente possiamo vantare la conquista del biglietto unico per i trasporti urbani, anche se l’utenza lamenta sovente lo scarso coordinamento degli orari tra bus e ferrovie, ma la mancata costituzione di un’unica società regionale di trasporto tra Apm, Apt, Spoletina e Fcu, con la gelosa difesa di autonomie e orticelli, determina non solo diseconomie, ma veri e propri disservizi. Come reagirà il ceto politico, come reagiranno tutti i detentori di piccoli privilegi, se per realizzare una unica grande ed efficiente rete di trasporto pubblico per l’Italia Centrale si vorrà andare oltre gli stessi confini regionali?
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