Il covo copertina de "l'Asino", 4 gennaio 1903
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"La Repubblica" di stamane pubblica a firma Carmelo Lopapa un'inchiesta dal titolo L'otto per mille destinato allo Stato finisce a parrocchie e monasteri.
( http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/otto-per-mille/otto-per-mille/otto-per-mille.html )
L'autore, dopo una accurata ricognizione, è in grado di stabilire che dei circa 44 milioni che dall'otto per mille i contribuenti hanno destinato allo Stato perchè fossero destinati a finalità umanitarie e di volontariato laico ben 29 milioni sono spesi per parrocchie e luoghi di culto.
La vicenda ha dell'incredibile. Questa regalìa infatti si aggiunge a un meccanismo che è stato costruito apposta per favorire la Chiesa cattolica e che qui mi proverò a spiegare.
Nel 1984 il governo italiano (Craxi) e la Segreteria di Stato vaticana (Casaroli) trattavano per un nuovo Concordato che, in coerenza con la Costituzione repubblicana, cancellasse per il culto cattolico la denominazione di Religione di stato, risalente allo Statuto albertino, ed eliminasse così lo sconcio dello stipendio statale ai sacerdoti ("congrua").
Si decise che, in sintonia con la legislazione di altri paesi, i contribuenti cattolici potessero devolvere una quota delle imposte sul reddito, appunto l'otto per mille, alla Chiesa, che a sua volta avrebbe provveduto a tutte le esigenze del culto, compreso il mantenimento dei preti. Il Vaticano manifestò tuttavia il timore che l'entità dei trasferimenti fosse ridotta da due fenomeni: il crescente distacco dalla religione dei ceti più abbienti e la possibilità che molti contribuenti non effettuassero la scelta tra Stato e Chiesa (gli altri culti riconosciuti entrarono nella distribuzione alcuni anni più tardi). Fu Giulio Tremonti, allora abilissimo consulente del ministro delle Finanze Rino Formica, a rassicurare la controparte che i contributi non sarebbero diminuiti, semmai aumentati, attraverso un meccanismo assai preciso.
Propose che ogni contribuente non decidesse sulla destinazione del proprio otto per mille, ma che la sua opzione incidesse in quota parte sulla destinazione dell'intero ammontare. L'indicazione sulla dichiarazione dei redditi diveniva così una sorta di referendum, in cui il voto del ricco industriale valeva quanto quello dello scopino. Indi suggerì che l'otto per mille di chi non effettuava la scelta fosse attribuito alla Chiesa o allo Stato (più tardi anche ad altri culti) secondo le stesse proporzioni di chi aveva scelto.
Era un'offerta vantaggiosissima che il Vaticano accettò, ponendo tuttavia una clausola di salvaguardia: che ogni due anni ciascuna delle parti potesse chiedere una rinegoziazione.
L'operazione alla gerarchia ecclesiastica andò benissimo, sia per le capacità di persuasione tra i contribuenti che effettuano la scelta sia per il crescere continuo della imposizione sui redditi. I dati delle ultime verifiche complete, quelle del 2003, ci dicono che la Chiesa cattolica ha ottenuto l'87% delle preferenze (contro l'82,5% di tre anni prima) e che intanto la quota di otto per mille da versare alla Chiesa è cresciuta assai più dell'inflazione. Infatti, calcolandone l'ammontare in euro si era passati dai 449 milioni del 1995 ai 1016 del 2003. Da quel che se ne sa la tendenza per gli anni successivi è confermata. Per tutto questo tempo mai i governi italiani di qualsiasi colore hanno chiesto una rinegoziazione per riallineare il contributo ai livelli precedenti.
Ragionandoci su ci è venuto un sospetto. Nel 2001, quando Berlusconi firmò il cosidetto contratto con gli italiani, promise una riforma fiscale di tipo reaganiano che riducesse a due o tre le aliquote, abbassando considerevolmente le più alte. La promessa, in altri termini, era: abbasserò l'Irpef per tutti, specialmente per i più ricchi. Nel suo quinquennio provò ad attuarla, ma venne stoppato. Il suo nuovo governo, per ridurre le tasse ai ricchi, ha scelto una via diversa: prima abolire per tutti l'Ici già abolita da Prodi per i redditi bassi e mediobassi; poi ridurre l'Irap. Di toccare l'Irpef, quella che interessa ai preti, non si parla più. Non ci sarà dietro qualche intervento cardinalizio?
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