In due articoli (31 agosto e 6 settembre) Ettore Mo sul Corsera ha raccontato la storia dei militari Usa fuggiti dalla guerra in Iraq, che hanno cercato rifugio in Canada. Ne riprendoo qui un estratto. La vicenda è molto interessante: la guerra irakena comincia ad apparire sempre più sporca di quanto non sembrasse perfino a noi, oppositori dichiarati. Chissà che non ci sia in giro qualche documento sull'indottrinamento dei soldati Usa in partenza per l'Iraq. (S.L.L.)
Una combriccola di vecchi lievemente anarchici
Molti li definiscono, sbrigativamente, «disertori», altri preferiscono chiamarli «war resisters» (cioè resistenti, obiettori di coscienza contro i conflitti attualmente in corso in Iraq e in Afghanistan): sono circa 220 i soldati americani che, rifiutando di combattere per «una guerra ingiusta» hanno trovato rifugio in Canada, a Toronto. Ma di loro solo il 50 per cento ha fatto richiesta al governo di Ottawa di residenza permanente nel Paese, non avendo alcuna intenzione di rimettere piede negli Stati Uniti. Il primo incontro è il soldato Jeremy Hinzman, nel pub Einstein, frequentato da una combriccola di goliardi e vecchi lievemente anarchici: "82esima Airborne Division. Ho firmato un contratto di 4 anni con l’esercito e sono stato subito destinato all’Iraq, dove c’era quel mostro di Saddam Hussein e dove c’erano anche, nascoste, centinaia di armi di distruzione di massa. Quest’ultima, una notizia falsa, gonfiata dalla propaganda. Io sono un quacchero e la mia coscienza non mi consentiva di combattere più a lungo in una guerra che lo stesso presidente Obama ha definito 'stupida' e 'ingiusta'. E così, nel gennaio del 2004, ho passato il confine insieme a due compagni".
Sulla vicenda dei «disertori» americani l’atteggiamento delle autorità canadesi è ambiguo. Dopo il ’69 e negli anni più ruggenti della guerra in Vietnam circa 55 mila soldati arruolati nell’esercito degli Stati Uniti varcarono la frontiera (lunga 8.891 chilometri) e si rifugiarono in Canada, accolti a braccia aperte dai canadesi e dal governo liberale di Pierre Trudeau, felice di offrire "un porto di pace" a quei ragazzi usciti incolumi ma avvelenati nell’intimo per aver combattuto una guerra in cui non credevano.
Non c'è nessuna scusa
Di tutt’altro parere è il ministro dell’Immigrazione Jason Kenney e del suo governo presieduto da Stephen Harper. Insieme a Hinzman, definito dai suoi superiori «un soldato esemplare», altri sono stati colpiti dall’ordine di espulsione e vivono nell’ansia, in attesa che venga loro comunicata la data del provvedimento. Dal tempo dell’invasione in Iraq, nel 2003, più di 25 mila soldati americani hanno disertato l’esercito Usa — un aumento dell’80 per cento rispetto al periodo 1998-2003 — e che la maggioranza ha scelto il Canada come rifugio permanente.
Il caso che più appassiona l’opinione pubblica a Toronto è quello di Kimberly Rivera, che tutti chiamano Kim: una signora texana di 27 anni, madre di tre figli, l’ultima — Katie — di appena otto mesi. È stata la prima donna-soldato ad abbandonare l’esercito che l’aveva arruolata nel marzo del 2006 e l’aveva subito spedita in Iraq a svolgere mansioni di controllo e vigilanza a un posto di blocco militare: "Me ne sono andata proprio in segno di protesta contro quella guerra. E non s’illudano che, deportandomi e mettendomi di fronte a un Tribunale militare, io cambi idea: che rimanga in Canada o ne venga cacciata, quella è la mia opinione e la griderò ai quattro venti".
Come tanti altri, Kim era partita per l’Iraq con entusiasmo e speranza: "In quei tre mesi a Bagdad mi sono chiesta quale aiuto potevamo dare a quella povera gente. Mi faceva male vedere l’arroganza dei nostri militari. Non avevo scelta. Sono arrivata qui il 18 febbraio del 2007". L’avvocatessa che si occupa del suo caso non si fa troppe illusioni: "Non credo che il fatto che la sua bimba più piccola, Katie, sia nata in Canada favorisca il tentativo di ottenere la residenza permanente. Il suo rientro negli States comporterebbe problemi molto gravi. Con l’accusa di diserzione potrebbe finire in carcere per un paio d’anni. Neanche Obama potrebbe farci niente. La Corte marziale è inflessibile coi disertori".
Alcuni dei profughi militari vengono dall'Afghanistan. Commovente il racconto di Jules Tindungan, che è stato in Afghanistan dal gennaio 2007 all’aprile 2008: "Ho combattuto nei distretti di Gardez e di Khost. I talebani ci attaccavano anche due volte al giorno. Lassù tra quelle montagne c’era poco da mangiare e anche l’acqua scarseggiava. Il 20 settembre del 2007 ho avuto conferma di aver ucciso un uomo. Erano passati sei giorni dal mio ventunesimo compleanno. Trascorsi una notte d’angoscia". Anche Chris Vassey ha combattuto per tre mesi in Afghanistan contro i talebani e racconta di avervi incontrato un giovane poco più che ventenne che s’era appena arruolato nell’esercito per avere, con l’ingaggio, la somma necessaria (30 mila dollari) al ricovero in ospedale della madre.
Nel suo libro The Deserter’s Tale (Racconto del disertore) che il "Los Angeles Times" qualifica come "un sostanziale contributo alla Storia", l’autore, Joshua Key, che dopo l’11 settembre s’era arruolato nell’esercito per difendere il suo Paese da Al Qaeda, scrive: "All’inizio io credevo nella missione in Iraq. Saddam Hussein era un mostro che andava tolto di mezzo e bisognava privarlo delle armi di distruzione di massa che erano nelle sue mani. Ma erano tutte balle. Non è stato trovato niente, in Iraq". Nel 2003 Key ha partecipato col suo plotone a 75 raid, irruzioni nelle case private col pretesto di snidare i terroristi, furti e rapine a mano armata, ed è stato testimone di un numero incalcolabile di delitti. A un certo punto racconta che, passeggiando per Bagdad, si è trovato di fronte a una "scena terribile": "Tutto quello che potevo vedere erano corpi decapitati e tra i corpi e le teste c’erano dei soldati americani. Ho visto due soldati prendere a calci una di quelle teste come fosse un pallone". E conclude: no, non c’è nessuna scusa per quel che ho fatto in Iraq.
Una guerra ingiusta e illegale
Glissa Manning, celebre avvocatessa che da anni difende i disertori, qui eufemisticamente definiti War Resisters (resistenti alla guerra), spiega: "Per il Vietnam c’era l’arruolamento obbligatorio. Arrivava la cartolina precetto e dovevi presentarti al Comando: mentre l’esercito americano in Iraq è costituito in gran parte da volontari che confluiscono per motivi economici o ideali. Solo che molti di loro, disgustati dalle nefandezze commesse in Iraq dai soldati americani, hanno abbandonato il campo senza abbandonare il Paese. È stato un problema di coscienza. Non potevano più a lungo tollerare la continua violazione dei più elementari diritti umani » .
La maggior parte dei "resistenti" viene dall'Iraq e non ha mai combattuto in Afganistan. In generale tendono a distinguere tra quella guerra "giusta", "voluta dall'Onu" e quella in Iraq, nata dalla menzogna. Non si sa se ciò rientri nella strategia della piccola "legione straniera" per ottenere dal governo di Ottawa una risposta positiva. In effetti il fenomeno della diserzione è cominciato dopo l’invasione dell’Iraq: su questo sembrano concordare tutti, politici e militari. "Molti dei nostri soldati che s’erano arruolati prima — fa notare Michelle Rubidoux, portavoce dei War Resisters — contavano di rimanere nell’esercito e rispettare la clausola del contratto, che di solito li impegnava per quattro anni. Poi ci fu il patatrac. Si scoprì che i vertici militari avevano sfornato un sacco di menzogne. Delle armi di distruzione di massa strombazzate dalla propaganda, neanche l’ombra. Infine venne alla luce la vicenda sul comportamento dei soldati americani in Iraq. Ignobili. Tu che hai appena intervistato una dozzina di reduci dalle sponde dell’Eufrate sai di cosa parlo".
In questo momento, mentre il Governo conservatore di Stephen Harper (Centro-destra) si attiene alla linea dura (deportazione negli Usa), il 64 per cento della popolazione è favorevole alla richiesta di "residenza permanente " avanzata dall’avanguardia dei Resistenti- Disertori. Ma neanche la (sommessa) ammissione di Barack Obama che, riferendosi all’Iraq, continua a parlare di «dumb war», una guerra «stupida » e decisa «in fretta», e la denuncia dei falsi allarmi sulle armi di distruzione di massa e sull’alleanza fra i terroristi di Al Qaeda e il regime di Bagdad sono riuscite ad «ammorbidire» il governo. Il ministro dell’Immigrazione Jason Kenney è da sempre convinto che i War Resisters non sono «autentici profughi o rifugiati politici come intendono far credere» e «non subiscono affatto persecuzioni nei loro Paesi». Affermazione smentita dalle cronache più recenti da cui risulta ad esempio che Robin Long, 25 anni, accusato di diserzione, è stato deportato negli Stati Uniti, dove sta scontando 15 mesi d’isolamento in un remoto accampamento militare.
Negri di sabbia
A Toronto, i giudici canadesi si rifiutano di affrontare in Tribunale i processi contro i disertori, cominciati nel 2004. "Essi ritengono — spiega il legale dei War Resisters — che non sia loro compito intervenire, dal momento che non si tratta di un’azione giuridica, destinata ad esaminare caso per caso, ma di un processo essenzialmente politico che riguarda, appunto, la politica estera degli Stati Uniti. La sola nostra speranza è un riesame della situazione da parte del Governo Federale nei suoi rapporti con la Casa Bianca".
Nella sua aspra requisitoria, l’ex combattente Joshua Key dedica ampio spazio alla propaganda americana e al suo tentativo di demonizzare e demolire gli iracheni, che «non sono uomini» ma semplicemente «sand niggers», negri di sabbia. Gente che non ha niente in comune con il genere umano, dal momento che «tutti i musulmani sono terroristi e tutti i terroristi sono musulmani » . Bisogna dunque eliminarli: questo è il messaggio di pace che i soldati yankee, addestrati ed educati in caserma nello spirito della concordia universale, portano nelle giberne volando verso Bagdad. Chi si augurava, come milioni di pacifisti in tutto il mondo, che George W. Bush finisse in prigione, schiacciato dalle proprie responsabilità, è rimasto deluso. Insieme a Joshua, sono in molti a chiedersi ora quale potrebbe essere la reazione dei Padri Fondatori di fronte allo spettacolo odierno della loro America. Sgomento è forse la parola giusta.
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