Il raduno a Capri dei giovani di Confindustria era quest’anno dedicato al tema Mediterraneo. Dall'Europa al Golfo, la rotta verso nuovi orizzonti. Tanti i partecipanti e di ogni genere (geografi, storici, economisti, ministri nordafricani), ma alla fine, come ogni anno, e nonostante il tema un po’esotico, il maggior motivo di interesse era costituito dagli esponenti della politica italiana.
Venerdì 30 è stato il giorno delle vecchie glorie: un Bassolino sempre più servizievole ed umile verso industriali e governanti, un Veltroni che volava alto. Sabato 31 il piatto forte: uno dietro l’altro i due destrieri di razza del gran cavalcatore, da sempre candidati alla sua successione, non sempre in sintonia con lui, ma soprattutto rivali tra loro, Gianfranco Fini e Giulio Tremonti.
L’uno e l’altro non sono certo in grado di gareggiare con il Cavaliere per la forza di persuasione corporea, spontanea, quella verve che prorompe da gesti, ammiccamenti, mossette, promesse, minacce e silenzi, specie quando parla in casa, a un pubblico di industrialotti, non importa se vecchi o giovani. Alla mancanza di questo tipo di carisma entrambi cercano di contrapporre la forza della “visione”, che a Berlusconi manca e che dovrebbe animare ogni vero “statista”.
Della contesa Tremonti ha vinto la prima partita quando, con il libro sulla paura e sul coraggio, ha riproposto la triade “Dio, Patria e Famiglia” come perno ideale di ogni futura destra, occupando quello che, anche per le sue ascendenze, avrebbe potuto essere lo spazio del rivale. Fini ha cercato di correre ai ripari, dandosi la fisionomia dell’uomo forte di una destra moderna: autoritaria e decisionista quanto basta, ma legalitaria; pronta all’uso della forza quando occorre, ma aperta alla ricerca scientifica, inclusiva verso i “nuovi italiani”, laica.
Berlusconi diffida di entrambi. Prima con l’uno poi con l’altro ha tentato di recente di assestare il colpo di grazia, ma i tentativi sono per ora falliti: dentro il Pdl il seguito di Fini è forte, nonostante la defezione di alcuni colonnelli anisti, e a sostenere l’antipatico Tremonti c’è Bossi e la sua Lega. Il Cav è comunque persuaso di poter accompagnare i funerali politici di tutti e due e per adesso non intende preparare successioni.
A Capri il duello di cui si parlava e che qualcuno sperava comunque non c’è stato. Ognuno ha recitato il proprio monologo con poche interlocuzioni con l’altro.
Fini ha irriso quanti, nei decenni trascorsi, pensavano di trasportare l’Italia oltre le Alpi e si è trovato a suo agio a disegnare la missione italiana verso il mondo arabo e, poi, verso tutta l’Africa. Non solo un mercato, ma un mondo con cui dialogare e su cui esercitare una egemonia anche attraverso una immigrazione integrata e italianizzata. Non ha parlato di “quarta sponda”, ma poco ci mancava.
Tremonti ha esposto il paradosso di un’Italia che importa manodopera dal Nordafrica e vi esporta capitali: “Le rimesse degli immigrati in Italia verso i paesi d’origine rivelano che è lì che essi pensano il proprio avvenire, non qui da noi”. Sarebbe da chiedergli come potrebbe essere altrimenti, viste le discriminazioni verso gli immigrati anche perfettamente regolari, specie di religione musulmana, le difficoltà di accesso al voto amministrativo e alla cittadinanza, le vere e proprie campagne xenofobe.
Per conquistare la scena, Tremonti ha però cambiato subito registro, fornendo una sua lettura della “questione meridionale” di ieri e di oggi e proponendo alcune ricette. Il Sud, ha spiegato, meriterebbe un risarcimento per una unità che lo ha sacrificato, che ha declassato la terza capitale europea, Napoli, in prefettura sabauda, spingendo all’emigrazione le migliori forze di lavoro e di intelletto; e invece l'Italia è sempre più duale, con un Nord tra le aree più sviluppate d’Europa e un Sud a livelli di Terzo Mondo. Ciò accade anche perchè le risorse destinate al Sud dalla Unione europea e dallo Stato hanno fatto la fine degli aiuti ai paesi poveri: hanno arricchito oligarchie parassitarie senza promuovere alcuno sviluppo. Tremonti individua un punto di origine per l'accentuarsi del dualismo: la nascita e l’affermazione delle Regioni. Di prima non parla, ma lascia intendere che la Cassa del Mezzogiorno in qualche modo funzionava, mentre con le Regioni ogni intervento italiano ed europeo ha finito per alimentare clientele non sempre legali.
Le proposte tremontiane non sono in apparenza nuove: il federalismo che responsabilizza elettori ed eletti, un Cnr riscoperto e rilanciatolo e collocanto a Sud, lo Stato e la pubblica amministrazione che si ritirano dalla sfera economica, occupandosi di garantire legge e ordine e della realizzazione di grandi opere. Lo Stato dovrebbe anche sostenere le imprese del Mezzogiorno, specie nel turismo e nell’agricoltura, con i crediti d’imposta, con la nuova Banca per il Sud e altre provvidenze. Tutto questo andrebbe fatto con “fondi meridionali”, escludendo le Regioni e gli enti locali (Tremonti dice con sprezzo “gli assessori”) e centralizzando gli interventi.
Insomma al dualismo economico il ministro pensa di sopperire con una sorta di dualismo istituzionale, con un federalismo che al Nord significa autogoverno e al Sud vuol dire tutela e dirigismo, comportando una specie di commissariamento duraturo.
Tremonti sa che, con l’eccezione della Sicilia, le Regioni del Sud hanno governi di centrosinistra, ma sa anche che in alcune è molto probabile un cambio. Eppure non si fida neanche dei suoi. La sua denuncia coglie attraverso queste allusioni un aspetto importante della “nuova questione meridionale”: il peso economico non solo delle mafie, ma anche di un ceto politico trasformista e famelico, per cui destra e sinistra sono diventate parole vuote. Chiunque conosca anche superficialmente ciò che accade in Regioni, Province, Comuni del Sud sa di che cosa parlo: i frequentissimi passaggi da uno schieramento o da un gruppo all’altro, gli appannaggi, la moltiplicazione degli incarichi, le consulenze, le società di comodo eccetera.
La terapia proposta da Tremonti non può funzionare perchè velleitaria e poco credibile. Come si può credere a chi grida “legge e ordine” e intanto fabbrica il cosiddetto scudo fiscale? E tuttavia l’uomo, nella rappresentazione del Sud, espone verità che la sinistra farebbe bene a non rimuovere come ha fatto finora.
1 commento:
Interessante la proposta che ti viene fatta nel commento precedente
e... meritata.
Tremonti parla di "legalità", ma
quando la Guardia di Finanza si è dichiarata pronta ad acchiappare alcuni grandi evasori fiscali dopo lunghe e complesse indagini facendo loro pagare quanto dovuto, ecco la legge! Confezionata su misura per accontentare tutti: lo Stato (che dovendo favorire la ripresa per ridurre la disoccupazione dovrebbe indebitarsi ulteriormente), gli imprenditori (pronti a far rientrare legittimandoli i profitti d'impresa, a pagare poche imposte e a evitare il ricorso alle banche) i cittadini (che trarrebbero beneficio dalla ripresa economica).Per quanto riguarda i cittadini l'analisi dovrebbe tener conto di altri elementi.
Si chiama "Scudo fiscale", ma non ci proteggerà dall'ingiustizia...
E Tremonti che sbraita contro le banche, non lo fa per tutelare le piccole imprese o i cittadini bisognosi di credito, ma per asservirle alla politica, favorendo alcuni imprenditori (quali mai saranno?)a danno di altri. E le banche che, come abbiamo appena visto, hanno la forza sufficiente per ricattare i governi, non ci stanno. Per questo motivo il nostro Tremonti attacca le banche.
Bocca, giornalista che amo molto, mi ha insegnato "a seguire la via dei soldi" per scoprire la verità.
Il consiglio si è rivelato prezioso nella terra dei "gattopardi" dove tutto è diverso, ma nulla o quasi è cambiato.
A risentirci e complimenti per l'articolo.
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