"Pendant un demi-siècle, les bourgeoises de Pont-l'Évêque envièrent à Mme Aubain sa servante Félicité.
Pour cent francs par an, elle faisait la cuisine et le ménage, cousait, lavait, repassait, savait brider un cheval, engraisser les volailles, battre le beurre, et resta fidèle à sa maîtresse,—qui cependant n'était pas une personne agréable".
("Per mezzo secolo le borghesi di Pont-l'Évêque invidiarono alla signora Aubain la serva Felicita.
Per cento franchi all’anno, cucinava, puliva, cuciva, lavava, stirava, sapeva sellare un cavallo, ingrassare il pollame, sbattere il burro, e restò fedele alla padrona, che peraltro non era una persona gradevole").
E’ questo l’incipit di Un coeur simple, dai Trois contes di Flaubert, che ho riletto stamattina aspettando dal medico.
E’ lettura che pretende attenzione: la vicenda raccontata è in apparenza priva di avvenimenti importanti e non si può saltare la descrizione, che spesso incorpora la narrazione.
Ma è anche lettura che ottiene l’attenzione che pretende: non c’è chiacchiera da sala d’attesa che ti distragga se ti lasci prendere dalla essenzialità della scrittura, dalla semplicità delle cose e delle parole, dal miracoloso sublime d’en bas che lo scrittore ha saputo ottenere.
Posto qui la mezza paginetta di Italo Calvino (da Perché leggere i classici, Mondadori 1991) che m’ha invogliato a riprendere in mano l’aureo libretto dopo molti anni, sperando che persuada altri alla felicità di una (ri)lettura. (S.L.L.)
Un coeur simple è un racconto tutto di cose che si vedono, di frasi semplici e leggere in cui avviene sempre qualcosa: la luna sui prati di Normandia che illumina buoi sdraiati, due donne e due bambini che passano, un toro che esce dalla nebbia e carica a muso basso, Félicité che gli getta della terra negli occhi per permettere agli altri di saltare una siepe; oppure il porto di Honfleur con le gru che sollevano i cavalli per depositarli nei battelli, il nipote mozzo che Félicité riesce a vedere per un istante e che subito scompare nascosto da una vela; e soprattutto la piccola camera di Félicité gremita di oggetti, ricordi della sua vita e della vita dei suoi padroni, dove un’acquasantiera in noce di cocco fiancheggia un cubo di sapone azzurro, il tutto dominato dal famoso pappagallo impagliato, quasi un emblema di ciò che la vita non ha dato alla povera domestica. E’ attraverso gli occhi stessi di Félicité che noi vediamo tutte queste cose; la trasparenza delle frasi del racconto è il solo mezzo possibile per rappresentare la purezza e la nobiltà naturale nell’accettare il male e il bene della vita.
Italo Calvino
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