7.1.13

Courteline e gli imbecilli (di Luciano Lucignani)

George Courteline e il suo busto
Georges Courteline ha goduto d' un privilegio, quello di aver conosciuto da vicino l'imbecillità; e di averla incontrata molto presto, fin da ragazzo, a tredici anni, nel collegio di Meaux (cette caserne pour garconnets, dirà poi, rievocando quegli anni penosi).
E' l' imbecillità sadica, oppressiva, feroce del suo insegnante di francese, tale Grangé.
Costui ha preso di mira il piccolo Georges e si diverte a farlo oggetto delle sue bassezze. Una volta il ragazzo si è voltato, per dire una parola a un compagno, nel bel mezzo della lezione e subito è scattata la sentenza: mille versi da copiare. Cioè, un sabato e una domenica senza uscire dal collegio, chino sul quaderno.
Ma il lunedì, quando riceve il pensum, Grangé scuote la testa: “Avevo detto mille versi in latino. Rifate daccapo”. Un altro sabato e un' altra domenica passati a copiare dieci volte i primi cento versi dell' Eneide.
Il lunedì successivo, nuovo verdetto implacabile: “Avevo detto mille versi latini differenti, non dieci volte gli stessi cento”. Daccapo, un' altra volta.
Per tutta la vita Courteline ricorderà questo esempio di sadismo imbecille, dice Emmanuel Haymann, autore d' una recente biografia dello scrittore (Flammarion). Ma questo Grangé, aggiunge, non è soltanto un torturatore, è anche il primo ad aver intuito il talento del futuro narratore e commediografo. E' accaduto a proposito d'un tema sulla passione per i viaggi; il ragazzo Courteline ha fatto una specie di novella, dalla chiusa abbastanza spiritosa: “...Viaggerà fino alla morte e quando questa verrà, se il destino lo farà morire a casa sua, una clausola del testamento esprimerà il suo desiderio di essere sepolto in Cina. Perché? Per fare un viaggio in più”.
L'allievo Courteline ha senza dubbio una fantasia brillante, nutre un precoce interesse per le arti in genere e per la poesia e il teatro in particolare (suo padre, Jules Moinaux è un famoso autore di vaudevilles; e Georges, quando comincerà a scrivere, si sceglierà uno pseudonimo, Courteline, appunto per distinguersi dal genitore). Con tutto ciò, però, i suoi conti con la scuola saranno spesso in rosso e alla maturità sarà respinto.
A ventun anni è chiamato a fare il servizio militare che, a quel tempo, ha una durata varia, da uno a cinque, stabilita per sorteggio. A Courteline tocca il periodo più lungo ed entra come recluta nel 13° reggimento dei Cacciatori a cavallo. Il giovanotto è desolato, non sa che il destino gli sta spianando la strada. E' al suo secondo appuntamento con l'imbecillità: dopo la scuola, l'esercito.
Debole di costituzione, del tutto inadatto alla vita militare (non sa andare a cavallo, non sa suonare uno strumento, non sa fare assolutamente nulla), dopo un tentativo, abortito, di farlo riformare, lo confinano in caserma per deficienza organica. Per il coscritto Courteline niente sveglia all' alba, niente pulizia delle latrine, niente addestramento a cavallo. Per un paio di mesi se ne sta disteso sul pagliericcio, guarda, osserva e riflette. Un'ispezione improvvisa mette fine a quella noiosa vacanza. Un capitano trova che il giovane ha bisogno d'un po' di moto, e subito gli fa fare una marcia forzata. Ma la recluta Courteline, che fino a quel momento si era allenato soltanto sul tragitto letto-refettorio e viceversa, non ce la fa, dopo qualche chilometro si accascia a terra. Ricoverato in infermeria, vi resta ben quattro mesi. Per curarsi? No, semplicemente perché i medici militari si sono dimenticati di lui e lo hanno abbandonato lì, insieme agli altri (veri e finti) ammalati. Alla fine l'esercito si arrende, Courteline è congedato e può tornare a Parigi.
Dei temuti cinque anni di servizio militare ha fatto appena sette mesi (riuscendo a non avvicinare mai, neppure una volta, un cavallo). Anche questa si rivelerà, più tardi, come un'esperienza non inutile: i frutti saranno infatti le famose scene di vita militare raccolte col titolo Les Gaités de l' escadron (1886) e, in certa misura, i racconti de Le Train de 8 h 47 (1891).
Il ritorno alla vita civile è bello, ma pone dei problemi. Uno, in particolare: che fare? Il giovane Georges ha già manifestato la sua vocazione per la poesia, ma dovrà trovarsi un lavoro per vivere. A questo penserà suo padre, che ha amicizie influenti. E dopo qualche mese ecco Courteline sistemato, entra come spedizioniere alla Direzione generale dei culti. Un edificio buio, decrepito, polveroso; tavoli ricoperti di pratiche che sanno di muffa e seggiole munite dell' inevitabile, simbolico, rond-de-cuir (la ciambella di cuoio per sederi troppo provati).
Il futuro scrittore ricomincia a copiare lettere e documenti, dalle dieci del mattino alle quattro del pomeriggio: reclami e richieste di parroci, sacrestani, cantori e organisti. Qui Courteline scopre il mondo assurdo, allucinante, grottesco della burocrazia. E' il terzo incontro con l'imbecillità e sarà anche il più significativo perché gli ispirerà quello che è giustamente ritenuto il suo capolavoro narrativo, Messieur les ronds-de-cuir (1893).
L' impiegato e l' ufficio: quale dei due era il frutto naturale dell' altro, la sua naturale secrezione? Ecco ciò che non si sarebbe potuto precisare. Il fatto è che si completavano a vicenda, che si facevano valere l'un l'altro, in reciprocità, entrambi allo stesso modo sordidi e miserabili. E' un ritratto orrendo, disegnato al vetriolo, d' una comicità atroce. In quelle stanze buie, lambite dalla pallida luce a gas, lungo quei corridoi deserti vive e si muove un campionario d'umanità che sembra tolto da una corte dei miracoli. Sono larve umane, fantasmi, cadaveri viventi, esseri disperati, maniaci, folli, tenuti insieme soltanto dall' invidia, dall' odio, dalla sopraffazione. Ma quella di Courteline non è una satira. Le tinte esasperate dei suoi cartoni hanno un solo scopo, del resto perfettamente raggiunto, quello di produrre comicità; nascono dall' osservazione, non dall'indignazione. Siamo in pieno naturalismo, Zola è il maitre à penser a cui tutti guardano, ma Courteline non è animato da nessuna etica (in una lettera a Zola dichiara la sua perplessità a proposito dell'affare Dreyfus); lui osserva il piccolo mondo che lo circonda e lo ritrae col segno deciso ed eloquente del grande caricaturista.
Malgrado l'impiego, che del resto anche lui trascura, al pari del protagonista del suo racconto, riesce a frequentare gli scrittori più significativi del momento: da Catulle Mendès, suo maestro e amico, a Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Tristan Bernard, Alphonse Daudet. Conosce Antoine, il battagliero animatore del Théatre Libre e per lui scrive il suo pezzo di teatro più bello, Boubouroche, ritratto d' un uomo debole, innamorato d' una donna che lo tradisce, ma che lui continuerà a ritenere innocente, contro ogni evidenza.
Le donne sono un' altra fonte di ispirazione per Courteline; le ritiene costituzionalmente, biologicamente infedeli (e una piccola antologia di infedeltà sono i racconti riuniti col titolo Les Femmes d’amis, 1888), ma in fondo le ama proprio per come sono, con le leggerezze, le vanità e i capricci che le distinguono. Il milieu femminile che lui predilige è quello, di basso livello ma pittoresco, delle prostitute, delle cocottes e delle ballerine (sia la prima che la seconda moglie erano ballerine di vaudevilles). Intorno ai quarant'anni Courteline è ormai famoso, l' impiego non lo ossessiona più, perché è stato trasformato in una sinecura (e questo la dice lunga sull' impegno moralizzatore dello scrittore) e può dedicarsi, come pare preferisca, alla scena.
Ad ogni stagione fornisce un certo numero di atti unici sempre accolti con grande successo; qualcuno, come L'article 330, conserva, accanto alla sempre eccezionale vis comica, tracce evidenti dell'antica ferocia caricaturale; qui il tema è l'amministrazione della giustizia, il caso d'un individuo solo contro lo Stato. E, com'è logico, viene la condanna che il giudice giustifica sostenendo che se i giudici si mettono a dar causa vinta a tutta la gente che ha ragione non si sa più dove si va a finire.... Arrivano in scena anche le riduzioni delle opere narrative, da Les Gaités de l' escadron (1895) a Le Train de 8 h 47 (1910) e Messieur les ronds-de-cuir (1911). Ma il culmine della gloria viene nel 1905, quando la Comédie Francaise gli rappresenta l'atto unico in versi La conversion d'Alceste, scritto per il tradizionale omaggio a Molière, in occasione dell' anniversario della sua nascita. E' una novità, anche per la critica, abituata a un Courteline divertente; questo seguito del Misanthrope è piuttosto drammatico; Alceste, ingannato dalla donna che ama, ridicolizzato dagli amici, dà l'addio al mondo. Courteline è felice del successo, dell'entusiasmo dei critici; finge una certa noncuranza, ma si sa che ha dichiarato di voler essere sepolto non in Cina, come diceva quel suo tema di ragazzo, ma in compagnia del volume che contiene il suo omaggio a Molière. Morirà venticinque anni più tardi, nel 1929, lo stesso giorno e lo stesso mese della sua nascita; dopo una vita, che, per quanto se ne può dire, dev'essere stata abbastanza soddisfacente. Un'ultima nota, che mi pare indispensabile. In Italia Courteline è pressoché uno sconosciuto, in libreria sono (forse) disponibili un volumetto della Bur di Rizzoli, Quelli dalle mezze maniche e Il treno delle 8 e 47, stampato da Lucarini. E' un po' poco, per uno scrittore di così sicuro successo (e per giunta, libero dai diritti d'autore). Che concludere, se non che lo scrittore è obbligato a continuare, anche dopo morto, la sua guerra agli imbecilli?

“la Repubblica”, 3 agosto 1990

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