8.1.13

L’eleganza della verità. A proposito di un libro di Ian Stewart.

Da “La Stampa” tra 2008 e 2009, la recensione di uno scienziato e l’elzeviro di un filosofo dedicati al libro sulla simmetria di un grande matematico, L'eleganza della verità di Ian Stewart (Einaudi, 2008). S.L.L


Quando le cose «si guardano allo specchio» (Claudio Bartocci)
L'universo nel quale viviamo appare governato dai capricci del caso più che dalle ferree leggi della matematica. Le stelle sono sparpagliate nel cielo senza alcuna regolarità; le nuvole e le montagne assumono le forme più stravaganti; gli spruzzi delle onde contro gli scogli non si ripetono mai una volta uguali. Negli organismi viventi l'arbitrio morfologico regna sovrano e ogni schema geometrico, per quanto perfetto all'apparenza, cela sempre qualche piccolo difetto; per di più, la maggior parte delle molecole organiche è presente soltanto in una delle due forme chimiche che sono immagine speculare l'una dell'altra (dette enantiomeri), sicché il mondo della vita è caratterizzato dalla mancanza di simmetria fra destra e sinistra.
Eppure, fino alla metà degli Anni 50, tutte le teorie fisiche - dalla meccanica classica alla relatività generale, dall'elettromagnetismo alla meccanica quantistica - non prevedevano eccezioni a una sorta di inespressa regola universale, secondo la quale le leggi fondamentali della natura dovevano essere, in qualche senso, massimamente simmetriche. Non poteva sussistere alcuna distinzione sostanziale - erano convinti i fisici - tra destra e sinistra, tra cariche elettriche positive e negative, tra le varie direzioni nello spazio, tra particelle e antiparticelle.
Nel 1956 un esperimento condotto dalla ricercatrice Chien-ShiungWue basato sulle idee elaborate da Tsung-Dao Lee e Chen Ning Yang mostrò che il decadimento beta di un certo isotopo del cobalto viola sia l'invarianza rispetto alla coniugazione di carica (C), sia l'invarianza rispetto alle riflessioni spaziali (P). Nel 1967, in un articolo diventato famoso, Andrej Sacharov avanzò l'ipotesi che la violazione CP, lungi dall'essere una stramberia di poco conto, potrebbe essere la causa del fatto, altrimenti inspiegabile, che nell'universo esiste molta più materia che antimateria. È stato dunque messo in soffitta l'assunto secondo cui le leggi della fisica debbano essere fondate su principî di simmetria? Assolutamente no. Ingegnosi e tenaci, i fisici hanno escogitato una soluzione che permette, per così dire, di salvare capra e cavoli: il meccanismo della rottura spontanea di simmetria, che lascia aperta la possibilità di spiegare tutta l'asimmetria osservata nell'universo attraverso leggi fondamentali che continuano a essere simmetriche.
Il premio Nobel per la fisica di quest'anno è stato assegnato proprio a tre ricercatori – Yoichiro Nambu, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa - che hanno ottenuto, in ambiti teorici diversi, risultati di grande importanza riguardanti il fenomeno della rottura spontanea di simmetria. Storia della simmetria è per l'appunto il sottotitolo dell'ultimo libro di Ian Stewart, L'eleganza della verità, tanto ricco di idee quanto godibile (smagliante e accurata la traduzione di Luigi Civalleri).
Impiegato in maniera non di rado approssimativa nel linguaggio comune, il termine simmetria non designa una disposizione o una forma geometrica: indica invece una trasformazione, cioè una determinata regola per spostare le cose. Se un oggetto mantiene lo stesso aspetto dopo aver subito una certa trasformazione (per esempio, la lettera A riflessa allo specchio), ecco che siamo in presenza di una simmetria. Sebbene sia stata, fin dall'antichità, un'idea cardine nell'arte (questo tema, non trattato da Stewart, è discusso nel classico e bellissimo libro di Hermann Weyl, La simmetria, Feltrinelli), soltanto nel secolo XIX la simmetria viene formalizzata come concetto matematico, attraverso la nozione di «gruppo».
È una storia affascinante quella che ci viene narrata nell'Eleganza della verità, dalle formule inventate dagli scribi babilonesi fino alle audaci intuizioni di Évariste Galois (1811-1832). Una storia che, curiosamente, non ha a che fare con questioni geometriche, ma un con problema algebrico: la risoluzione delle equazioni polinomiali. In pochi decenni, la nozione di gruppo introdotta da Galois si affermò come una delle idee più feconde della matematica. In particolare, grazie soprattutto alle ricerche di Felix Klein e Sophus Lie, divenne chiaro che le varie geometrie, euclidee e non euclidee, si potevano caratterizzare mediante le loro proprietà di invarianza rispetto a diversi gruppi di trasformazioni di simmetria. La nuova concezione della matematica che arrivò a imporsi a fine ’800 si rivelò essenziale per la formulazione delle rivoluzionarie teorie fisiche che segnarono l'inizio del secolo scorso: la relatività di Einstein e la meccanica quantistica di Bohr, Heisenberg, Dirac, Schrödinger.
«Tigre! Tigre! Divampante fulgore/nelle foreste della notte,/ quale fu l'immortale mano o l'occhio/ ch’ebbe la forza di formare/ la tua agghiacciante simmetria?» - così l’incipit celebre di uno dei Songs of experience di Blake. Lo stesso senso del mistero, la stessa emozione di fronte all’ignoto, lo stesso sentimento della bellezza ispirano gli scienziati di oggi - pur ben equipaggiati di potenti strumenti teorici - quando indagano l’«agghiacciante simmetria» dell'universo.

“Tuttolibri - La Stampa” 1 novembre 2008
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Ritorno alla bellezza (di Federico Vercellone)
Verità e bellezza appartengono davvero a mondi separati, come il senso comune suggerisce? In realtà il linguaggio reca ancora memoria di una loro affinita' antica, sia pure passando per il mondo morale: quando si dice di qualcuno che ha compiuto un «bel» gesto, gli si attribuisce un comportamento buono e, in fondo, conforme alla verità. Ma proprio queste tracce incerte ci suggeriscono che abbiamo perso la qualità originaria della bellezza, un tempo, per i Greci, misura adeguata del mondo, oggi vuoto oggetto di un compiacimento solo formale che definiamo estetico. A rammentarci il legame antico della bellezza con la verità viene in soccorso un libro di un maestro della divulgazione scientifica, il matematico inglese Ian Stewart. S'intitola L'eleganza della verità (Einaudi, pp. 328) ed è dedicato alla storia della simmetria. Con uno sguardo che va da Babilonia sino al poeta romantico inglese John Keats, l'autore si interroga sul perché le leggi fisiche rispondano a modelli matematici. Ciò significa che il mondo, nelle sue intime strutture, assente all'esigenza di eleganza e di rigore che e' proprio della dimostrazione matematica. Per un miracolo tuttora inspiegato la verità e' dunque bellezza e la bellezza è verità. La questione non riguarda solo la matematica. Non siamo forse gli ultimi eredi di una cultura che, volendosi «moderna», ha separato la verità dalla bellezza? E che e' pervenuta, su questa via, a fare dell'arte un sistema di valori formali dotati di qualche attrattiva ma svuotati di senso? Sull'opposto versante si è prodotta una conoscenza scientifica che, votandosi all'utile e avendo smarrito la propria qualità contemplativa, non riesce più a interrogarsi sulle proprie finalità. E' diventata la tecno-scienza contemporanea, indispensabile ma potenzialmente molto distruttiva perché priva di un orientamento. E' dunque il caso di tornare alla bellezza. Per imparare a rimettere insieme le tessere del sapere, e riconoscere nuovamente quell'«eleganza della verità» che è anche un modo di chiedersi che cosa stiamo facendo: per esempio se e quanto abbiamo diritto di continuare a sfregiare le forme «intelligenti» del mondo.

“La Stampa”, 12 gennaio 2009

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