Due imperatrici sorelle, la più vecchia maritata a un imperatore più giovane autorizzato a tenersi accanto una fidanzata titolare. L' imperatore Romano III che fa un bagno in piscina, ma "i cortigiani presero a pigiargli tutti insieme il collo e così lo tennero a lungo; poi lo lasciarono e uscirono dalla vasca. E sulle acque mosse il corpo asfittico di lui, portato a galla dall'aria rimastagli dentro, fu visto ondeggiare come un sughero impazzito... Poi, in un improvviso conato di vomito, gli fuoriesce dalla bocca un fiotto di materia nerastra e rappresa; al che, dopo altri due o tre rantoli, si diparte da questa vita". L' imperatore Michele IV che quando tiene udienza "ai due lati di lui si drappeggiavano velari di porpora e coloro ai quali era demandato l' incarico di sorvegliarlo e proteggerlo, non appena vedevano ch'egli principiava a torcere un poco l'occhio o ad annuire col capo o a manifestare le altre avvisaglie tipiche del sopraggiungere della crisi, impartito a quanti erano entrati ordine di sgombero immediato, facevano scorrere le cortine e gli prodigavano in privato le debite cure"... E intorno, quei "cerimoniali bizantini" che ci sono forniti in ogni dettaglio dal manuale di Costantino Porfirogenito: i silenziari, gli ostiari, i sacellari, i drongari, i demarchi, i turmarchi, gli eparchi e gli apoeparchi, gli excubiti, i protospatari, i topotereti; e le formule rituali ripetute centinaia di volte fra i Blu e i Verdi, e fra queste la più frequente è "pollà pollà pollà" (cioè tante, tante, tante occasioni fauste). E tutto questo, in un regime che si basa funzionalmente sui pilastri dell'evirazione e dell' accecamento di quasi tutti i propri membri...
Questa Cronografia di Michele Psello (Imperatori di Bisanzio, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, pagg. 464+488, lire 45.000, splendida prefazione erudita di Dario Del Corno) si legge come un reportage sbadato, a perdifiato. Anzi, si ascolta come uno sterminato "commèrage", grazie alla traduzione di Silvia Ronchey, che riproduce le chiacchiere di quella gran comare dell'undicesimo secolo in un vivacissimo italiano contemporaneo dove però nessun termine "moderno" stride per anacronismo. Asino pomposo quando parla di se stesso, vantandosi con un'auto-piaggeria che rasenta la smargiassata - "Quella sapienza che trovai morente, io ravvivai con le mie sole forze", "La maggior parte degli uomini mi onora d' una stima più alta di quanto io per mia intrinseca virtù non meriti", "Era quello il tempo della mia fioritura retorica, e l' eloquenza, più che la nascita, mi rendeva insigne" - Psello risulta un Joseph Mankiewicz da Cleopatra e anche un Eisenstein da Ivan il Terribile quando muove i suoi personaggi fra masse e potere, passando dai campi di battaglia dove si affrontano eserciti esotici ai palazzi cremlineschi dove si tessono le trame in cui trionfano quasi sempre le dame. E dove i meccanismi di successione al trono, fra adozioni e co-optazioni, presentano congegni e colpi di scena da grande feuilleton gotico, mentre giù in piazza ecco i film guitti sulla Rivoluzione francese, con la ghigliottina e le tricoteuses.
Sovrane resistenti, durevoli, per cui la vita comincia a cinquant'anni oppure la vita è sogno, e assistono indistruttibili al passaggio di figure che non appena entrano in luce si mostrano in tutto il loro orrore. L'imperatore viene fatto prigioniero dal re dei Persiani? Questi "conforta il prigioniero, lo fa sedere alla sua tavola, gli concede ogni onore, gli assegna un seguito, ecc.". A Bisanzio, invece, "parve a tutti opportuno lasciare per il momento al suo destino il sovrano, prigioniero o morto che fosse, e fondare il potere su di lei ed i suoi figli". La sua alta posizione a Corte poteva fare di Psello un Saint-Simon. Ne viene fuori invece uno Sternberg, uno Stroheim. "L'imperatrice mi fece convocare, quindi scoppiò in lacrime: "Come potrà lo Stato evitare la catastrofe?". Ed io, che nulla sapevo di quel che stava accadendo, che il nuovo imperatore era alle porte della reggia: "La questione non è delle più semplici", risposi, "ma di quelle che richiedono ponderata riflessione. Oggi domanda, domani ti sarà risposto: tale è il detto". Ed ella, con un lampo di riso: "Rifletti", fece, "su qualcos' altro, perché su questo si è già meditato e deciso. Romano, figlio di Diogene, è stato insignito dell' impero e prescelto sugli altri". Udii ciò e all' istante mi feci di pietra, senza saper che contegno tenere. "Suppongo", dissi, "d'essere anch' io invitato per domani alla cerimonia". E lei: "No, non per domani, caro" mi fece. "Sei invitato per subito"". Ed ecco un' inquadratura da grande cinema muto: "Quanto all' imperatrice, era assolutamente irrefrenabile: scopertasi il capo, s'era diretta a precipizio a un sotterraneo segreto; ed ella era scomparsa, inghiottita in quella tana, ed io ero rimasto in piedi all'imboccatura d'accesso, senza saper che fare né dove andare".
Musicalmente, Psello è vicino alle pratiche di Boulez e di Stockhausen: "Le acclamazioni non si levavano insieme: la prima schiera, con l' ultima battuta, dava il segnale alla successiva, e questa alla seguente, e ciò produceva uno strano effetto di dissonanza. Poi, quando l' ultimo cerchio ebbe levato il suo grido, subito tuonarono tutti insieme all'unisono, quasi assordandoci".
Didatticamente, per gli imperatori giovinetti, i suoi programmi coincidono con quelli del Dams a Bologna: "Libri di varia dottrina, esempi di stile raffinato, aforismi laconici, gnomologi, e poi l' eleganza della composizione, la sfaccettatura del modulo stilistico, il continuo mutare delle figure retoriche, il neologismo, insomma il trattamento artistico della lingua, e prima ancora che tutto questo, l'amore per i contenuti, l'anagoge che nobilita, l' allegoria che trasfigura, e, in breve, gli altri tropi".
Psello ama descrivere e biasimare le ambiguità; le doppiezze, gli inganni, i sotterfugi, le predilezioni insane e le avversioni maniacali - e possibilmente la volubilità scandalosa degli animi - almeno quanto adora discorrere di un' arte retorica nella quale si ravvisa, commosso, quale unico e supremo artefice (qui diventa addirittura secentesco, nel periodare e nell' argomentazione). Ma soprattutto gli piace il disfacimento degli umori e degli organi; e le macchie macabre, i gonfiori abnormi, le tumefazioni, l' idropisia coniugata a pustole, la gotta resa più micidiale dai reumatismi, "i piedi che si ritraggono su se stessi, mentre il ginocchio sporge all' infuori come una sorta di gomito".
Anche con un suo piccolo tòcco "casual" di occultismo e magia: e c' è del Bunuel nel suo gusto delle piaghe purulente in ambienti di fasto oscuro: "La coglie una malattia davvero crudele: essendolesi degradata la funzione defecatoria, l' appetenza fu compromessa ed ella andava sgravandosi per via orale. Poi, colta da diarrea improvvisa, tale che per poco non espulse tutte le viscere, ella fu ridotta allo stremo". "Sua Maestà aveva un animo ilare e giocoso e sempre avrebbe voluto essere ricreato, ma non lo dilettavano né l' armonia dell' organo né il suono dei flauti né una voce intonata né danza né balletto né altro di simile. Se viceversa taluno era per natura balbuziente e non riusciva a parlare in modo corretto o se talaltro ciarlava insulsamente, dando fiato a qualsiasi cosa gli venisse alle labbra, tutto ciò gli procurava un godimento straordinario e insomma il deforme era la sola cosa seriamente in grado di divertirlo".
Gli piacciono anche gli eremiti e gli stiliti. Disapprova, invece, la volgarità: "Presso di noi si è rimossa e disprezzata una così buona norma e i nobili natali non contano nulla: per costume atavico - fu Romolo la prima origine di questa confusione - il senato si è imbastardito e la cittadinanza è data a chiunque la voglia. Davvero, se ne scoprirebbero parecchi da noi, di bifolchi ripuliti; col risultato che spesso ci facciamo comandare dai medesimi che comprammo dai barbari"... "E i più dei Macedoni - popolo cui impudenza e tracotanza non fanno certo difetto, avvezzo più che alla sobrietà militare al baccano della politica di piazza - scendevano da cavallo, si univano in aperti girotondi e improvvisavano a dileggio dell'imperatore stornelli mimati, pestando ritmicamente il suolo col piede a ritmo di musica. Sua Maestà, che tutto ciò in parte vedeva, in parte solo udiva - ed io gli stavo ritto accanto, ora a indignarmi dei loro detti, ora a cercar di confortarlo coi miei - non sapeva che fare, dovendo sopportare oltre agli insulti anche la sconcezza dei gesti".
Loda amabilmente, piuttosto, la signorilità e la finezza. "Se un giorno decideva di far spuntare un boschetto o recintare un giardino o spianare un viale carrozzabile, non faceva solo ciò che aveva in origine deciso, ma anche il resto: prati si ricoprivano di terra, altri prati fatti spuntare venivano recintati, vigne e filari erano sradicati ed altri trapiantati già con le loro frutta. Poniamo che l'imperatore volesse trasformare una nuda landa in un prato lussureggiante: il suo volere era subito fatto realtà". "Ora, se qualcuno non avvertito che il prato era interrotto nel mezzo avanzava spensieratamente per spiccare una mela o una pera, cadeva in acqua, andava a fondo, tornava a galla ed era costretto a nuotare, e tutto ciò era motivo di sollazzo per l'imperatore".
"La Repubblica", 3 novembre 1984
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