3.2.16

Aborto in Europa. A Nord più farmaci che bisturi (Sara Civa)

Il ricorso all’aborto farmacologico è garantito dalla legislazione di quasi tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Fanno eccezione paesi come la Polonia, l’Irlanda e Malta dove l’aborto è soggetto a pesanti restrizioni o è illegale. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – che nel 2006 ha inserito la pillola abortiva (Ru486) nell’elenco dei farmaci essenziali per la salute riproduttiva – evidenzia un trend in crescita costante anche negli Stati in cui la procedura farmacologica è di più recente approvazione, nonostante permangano disparità all'interno dello spazio europeo e dei singoli ambiti nazionali.
La Francia, nel 1988, è stato il primo paese in Europa a dare alle donne la possibilità di scegliere tra l’aborto medico e quello chirurgico, seguita dal Regno Unito (1991) e dalla Svezia (1992). Dal 1999, la pillola è stata commercializzata anche in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia e Paesi Bassi. Nella maggior parte dei Paesi europei, la somministrazione della Ru486 può avvenire unicamente entro i 49 giorni dal concepimento, mentre Svezia e Regno Unito la posticipano al 63° giorno di gestazione. Più della metà delle interruzioni di gravidanza in Francia viene eseguita facendo ricorso alla pillola abortiva (il 58% nel 2013). Confrontando i dati più recenti sull’aborto farmacologico in Europa, emergono le percentuali basse di Italia (15,1% nel 2013), Germania (16,6%) e Spagna (27%) e quelle maggioritarie di Scozia (80%) Svezia (83%), Norvegia (84%) e Finlandia (94%). Una panoramica che, fatta eccezione per la Germania, ripropone anche in questo campo un’Europa a due velocità.
Se la procedura comunitaria di reciproco riconoscimento ha infatti favorito la registrazione del farmaco in quasi tutti i Paesi europei, è nelle successive fasi interne di approvazione e regolamentazione che si sono verificate le maggiori resistenze.


Pagina 99, 12 gennaio 2016

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