Il ricorso all’aborto
farmacologico è garantito dalla legislazione di quasi tutti gli
Stati membri dell’Unione europea. Fanno eccezione paesi come la
Polonia, l’Irlanda e Malta dove l’aborto è soggetto a pesanti
restrizioni o è illegale. L’Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) – che nel 2006 ha inserito la pillola abortiva (Ru486)
nell’elenco dei farmaci essenziali per la salute riproduttiva –
evidenzia un trend in crescita costante anche negli Stati in cui la
procedura farmacologica è di più recente approvazione, nonostante
permangano disparità all'interno dello spazio europeo e dei singoli
ambiti nazionali.
La Francia, nel 1988, è
stato il primo paese in Europa a dare alle donne la possibilità di
scegliere tra l’aborto medico e quello chirurgico, seguita dal
Regno Unito (1991) e dalla Svezia (1992). Dal 1999, la pillola è
stata commercializzata anche in Austria, Belgio, Danimarca,
Finlandia, Germania, Grecia e Paesi Bassi. Nella maggior parte dei
Paesi europei, la somministrazione della Ru486 può avvenire
unicamente entro i 49 giorni dal concepimento, mentre Svezia e Regno
Unito la posticipano al 63° giorno di gestazione. Più della metà
delle interruzioni di gravidanza in Francia viene eseguita facendo
ricorso alla pillola abortiva (il 58% nel 2013). Confrontando i dati
più recenti sull’aborto farmacologico in Europa, emergono le
percentuali basse di Italia (15,1% nel 2013), Germania (16,6%) e
Spagna (27%) e quelle maggioritarie di Scozia (80%) Svezia (83%),
Norvegia (84%) e Finlandia (94%). Una panoramica che, fatta eccezione
per la Germania, ripropone anche in questo campo un’Europa a due
velocità.
Se la procedura
comunitaria di reciproco riconoscimento ha infatti favorito la
registrazione del farmaco in quasi tutti i Paesi europei, è nelle
successive fasi interne di approvazione e regolamentazione che si
sono verificate le maggiori resistenze.
Pagina 99, 12 gennaio
2016
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