Con il n.1 de “Il
Ponte”, la prestigiosa rivista fiorentina, è stato diffuso nelle
librerie un volumetto dei Classici della casa editrice della Rivista
che contiene due scritti di Aldo Capitini, Attraverso due terzi di
secolo e Omnicrazia: il potere di tutti, gli ultimi,
credo, di una vita operosa. Contemporaneamente, nella collana Grandi
Opere dello stesso editore, con il titolo Un'alta passione,
un'alta visione esce una corposa selezione che copre il periodo
dal 1935 al 1968, l'anno della morte del pensatore perugino.
È una scelta coraggiosa
e importante che, nelle intenzioni dei promotori, non dovrebbe
soltanto sollecitare l'attenzione degli studiosi e riaprire il
dibattito su Capitini, ma orientare una nuova stagione di impegno
politico rivoluzionario, in un tempo in cui il massiccio ritorno
delle oligarchie e della guerra sembra riportare il mondo indietro.
Curatori di entrambi i
volumi sono Lanfranco Binni e Marcello Rossi, dei quali riprendo qui
la prima parte della prefazione al volumetto dei Classici. (S.L.L.)
Nell’agosto 1968, due
mesi prima dell’operazione chirurgica che ne provocherà la morte
il 19 ottobre, Capitini affida allo scritto autobiografico Attraverso
due terzi del secolo la sintetica ricostruzione del suo percorso
esistenziale, intellettuale e politico. Tra la primavera e l’estate
dello stesso anno ha tentato una sintesi del suo pensiero politico
nello scritto Omnicrazia: il potere di tutti, riproponendosi
di lavorarci ulteriormente dopo l’operazione; non potrà farlo, ma
lascerà un testo tutt’altro che incompiuto che è il risultato di
un’esperienza quasi quarantennale di elaborazione teorica e di
organizzazione politica, dall’antifascismo «liberalsocialista»
degli anni trenta agli esperimenti di democrazia dal basso
nell’immediato dopoguerra, alla decostruzione dell’ideologia
cattolica, alla «rivoluzione nonviolenta» negli anni cinquanta,
alla teorizzazione della «compresenza», della democrazia diretta e
dell’«omnicrazia» negli anni sessanta.
I temi di Capitini,
rimossi e deformati già nell’immediato dopoguerra, sono oggi
attuali, da conoscere, da studiare e da sviluppare. Sono da
riprendere le sue ricerche sulla «complessità» della realtà,
sulla «compresenza» delle molte dimensioni del reale (il presente e
il passato, la vita e la morte) in ogni singola esistenza; i suoi
esperimenti di «nuova socialità» per una società di massimo
socialismo e massima libertà, oltre le derive stataliste-staliniste
e le imposture liberal-proprietarie; la sua costante polemica
anticattolica per liberare la dimensione spirituale-mentale dai
poteri confessionali; la sua prospettiva del «potere di tutti» come
orientamento politico per il presente, contro i poteri oligarchici,
politici, economici e culturali.
Al centro dell’intera
esperienza umana, intellettuale, poetica, pratica di Capitini c’è
la politica, una concezione della politica come intreccio di etica e
creazione del valore, tensione alla trasformazione, alla liberazione
rivoluzionaria della realtà. Tutti gli scritti di Capitini sono
intimamente politici: è politica la sua elaborazione filosofica
della «compresenza», è politica la sua poesia che nomina la realtà
liberata qui e subito, è politica la sua libera ricerca religiosa, è
più che politica la sua concezione della politica, è più che
socialista la sua concezione del socialismo, è più che libertaria
la sua concezione della libertà.
Questa concezione della
politica prende corpo alla fine degli anni trenta quando Capitini dà
vita al movimento liberalsocialista. Ma “liberalsocialismo” oggi
è concetto “ambiguo”, di difficile interpretazione in quanto
evoca due idee opposte: “liberalismo” e “socialismo”. Sono
idee che possono convivere? Sì, se si torna agli anni del fascismo,
agli anni, cioè, in cui dichiararsi “liberali” era un modo per
affermare il proprio antifascismo (e al proposito la lettura di Kant
è sintomatica); no, se con “liberale” si vuole mettere in luce
l’affermarsi, nella storia dell’Occidente, delle teorie del
capitalismo. Nel liberalsocialismo, alcuni vorrebbero che il
socialismo intervenisse a temperare la durezza delle leggi del
capitale; altri che il liberalismo temperasse la durezza del
socialismo. In definitiva, che si tratti di “moderare” il
liberalismo o il socialismo, il liberalsocialismo sarebbe comunque un
movimento “moderato”. Ma non è questa l’idea di Capitini: in
lui quel “liberal” di liberalsocialismo non deriva da “liberale”
ma da “libertà”. Lo aveva già intuito Walter
Binni che poneva al
centro del liberalsocialismo la «libertà nel socialismo»: un modo
per affermare l’equivalenza tra liberalsocialismo e socialismo
libertario.
Ma non è stata questa
l’interpretazione degli storici i quali, invece, sulla scia di
Bobbio, hanno fatto coincidere il liberalsocialismo con il socialismo
liberale di Carlo Rosselli e con la storia del Partito d’Azione.
Socialismo liberale e liberalsocialismo sono divenuti così una
variante puramente etimologica, ma con lo stesso contenuto e lo
stesso impianto filosofico.
Eppure già Paolo
Vittorelli, che fu membro attivo di Giustizia e Libertà a
Parigi e in Italia, ricordava, a proposito delle differenze tra
socialismo liberale e liberalsocialismo, che furono fili tenui quelli
che legarono Giustizia e Libertà al liberalsocialismo,
invisibili anche a chi abbia vissuto le esperienze di quegli anni.
“Quando [...] ricevetti
il mandato, a Parigi nel ’38, dai miei compagni [...] di venire in
Italia a ristabilire certi contatti, i nomi che mi furono dati erano
i nomi dei vecchi giellisti, ma non erano i nomi dei nuovi
liberalsocialisti. Quelli li scoprii in Italia, li scoprii
indirettamente, quando purtroppo ero già bruciato e sul punto di
essere arrestato dalla polizia. Non potei quindi andarli a trovare
per non far loro subire la stessa sorte. Ma di Guido Calogero, di
Aldo Capitini ne sentii parlare qui nel 1938, perché a Parigi, con
Rosselli già morto (ed anche lui non ne aveva mai sentito parlare),
non se ne sapeva nulla: né Lussu, né Cianca, né Garosci, né
Venturi”.
Capitini comunque non ha
dubbi sulla valenza del liberalsocialismo: è la forma più consona
al socialismo del XX secolo. Lo puntualizza ripercorrendo la nascita
del movimento: “Dopo qualche mese che i miei Elementi erano
usciti (nel dicembre 1936) Walter Binni mi disse: «Perché, sulla
base di ciò che hai scritto negli Elementi, nell’ultima
parte specialmente, e indipendentemente dal lato religioso, non
cerchi di stabilire una collaborazione precisa di vero e proprio
Movimento?». Riflettei sulla proposta, e concretai alcuni punti
schematici, che erano fondati sull’esperienza che avevamo fatto
durante il fascismo, che poteva riassumersi cosi: siamo socialisti,
ma non possiamo ammettere il totalitarismo burocratico statalistico;
siamo liberali, ma non possiamo ammettere il dominio del capitalismo
che è nel liberismo. [...] Questa vita della «libertà» era da
vedere come intrinseca al socialismo stesso [...]. Socialismo voleva
dire l’avanzare della classe lavoratrice con i suoi giovani e la
sua sete di cultura; insomma doveva venire, al posto dello Stato
cattolico-borghese, uno Stato intellettual-popolare”.
E Walter Binni è sulla
stessa lunghezza d’onda: “Per Capitini e per alcuni di noi,
diversamente da altri, il liberalsocialismo non era un
contemperamento di liberalismo e socialismo, ma la strutturazione di
una società radicalmente socialista entro cui riemergesse una
libertà anch’essa nuova e ben diversa dalla libertà formale e
ingannevole dei sistemi liberal-capitalistici. Il nostro
liberalsocialismo aveva al centro il problema della «libertà nel
socialismo» e non quello social-democratico del «socialismo nella
libertà»”.
Dunque in Capitini
liberalsocialismo non è un incontro neutro tra liberalismo e
socialismo ma è socialismo che finalmente supera le posizioni
stataliste e amministrativo-burocratiche del passato. “Secondo me
il liberalsocialismo deve essere il lievito della trasformazione
sociale e una luce critica gettata sulle posizioni di sinistra; per
la trasformazione sociale, in quanto la sintesi continuamente voluta
di libertà e di socialismo è l’elemento dinamico che sovverte
ogni irrigidimento e conservatorismo e arresto nel privilegio e nel
pregiudizio (e assolutismo, imperialismo, capitalismo); critica dei
partiti di sinistra, perché questi, come sono attualmente, risalgono
a principi e a mentalità non più sufficienti e adeguate al punto
storico di maturazione della civiltà. Non sentono, i socialisti e i
comunisti stessi, che bisogna tendere al «partito nuovo», che
bisogna essere diversi da come l’ideologia e la prassi sono state
nel passato o sono altrove? E ancora, quando si attuassero
politicamente, ecco il liberalsocialismo a dire che il rinnovamento è
più che politico, e che la crisi odierna è anche crisi
dell’as-solutizzazione della politica e dell’economia. Se lo
spirito del liberalsocialismo è questo, [...] la sua differenza con
la democrazia è evidente. [...]
Il liberalsocialismo
[...] dovrà far di tutto per portarsi in mezzo alle moltitudini e
volgerle [...] alla libertà. Per far questo bisogna assimilare
pienamente l’esigenza socialista, cioè la compresenza reale
dell’umanità lavoratrice, come soggetto della storia, come
proprietaria dei mezzi di produzione, come avente nei suoi membri
uguali possibilità di benessere, di sviluppo, di cultura, di
fruizione dei beni della civiltà. Assimilata in pieno questa base
socialista, non si deve restare in essa, che può correre il rischio
di stabilire un totalitarismo amministrativo, e bisogna perciò far
vivere il valore della libertà, cioè intima tensione alla
produzione dei valori, del Bello, del Vero, del Buono, quella
tensione a uno sviluppo non semplicemente fisico, ma nel dramma del
miglioramento, nell’affisarsi agli atti di bontà, di verità, di
bellezza, in cui l’umanità lavoratrice si eleva e si fa eterna. II
socialismo, presenza effettiva del coro; la libertà, continuo punto
di arrivo, cioè melodia del coro stesso. Il socialismo come
effettiva democrazia non solo politica, ma anche economica; la
libertà come liberazione spirituale”.
È la «libertà nel
socialismo» l’elemento fondante del liberalsocialismo, ed è
ancora la libertà nel socialismo che darà corpo all'omnicrazia:
quel “potere di tutti” che rappresenta l’ultima elaborazione
politica di Capitini.
Nella fase attuale della
crisi della «democrazia liberale» (il sintomo) e della crisi
strutturale del capitalismo (la malattia), della guerra globale e
della devastazione del pianeta, i temi di Capitini («democrazia
diretta, omnicrazia, compresenza, realtà liberata») affermano oggi
la loro urgenza teorica e di orientamento per la prassi
rivoluzionaria.
Da Attraverso due
terzi di secolo – Onnicrazia: il potere di tutti, Il Ponte
Editore, 2016
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