Le adozioni in Italia
sono in calo costante: quelle nazionali superano di poco il migliaio
l’anno, le internazionali negli ultimi cinque anni sono state circa
1.500 in meno. Il maggiore accesso alla procreazione medicalmente
assistita, cresciuta fino ad attestarsi intorno alle 15mila
gravidanze all’anno, non spiega da sola la curva in discesa. È che
il percorso che porta a diventare genitore adottivo è spesso una via
crucis. E in tanti preferiscono rinunciare.
La legge prevede che il
periodo per effettuare i controlli che portano il tribunale a
decidere sull’idoneità dei genitori non debba superare i 120
giorni. Ma la legge è una cosa, la realtà un’altra. E nella
realtà i due terzi delle coppie impiegano tra uno e due anni. Si
comincia con gli accertamenti medici: prelievi del sangue, test
dell’Hiv e della tubercolosi. Poi arrivano le sedute di
psicoterapia. «Tre solo per lei, tre solo per lui e poi insieme, per
almeno tre o quattro ore», racconta Nilde. Intanto bisogna
presentarsi più volte in Questura per le indagini sul casellario
giudiziale, e fornire la documentazione sulla situazione reddituale.
Alla fine arriva l’ispezione della casa e la compilazione della
domanda.
«Dopo la visita a casa»,
racconta Nilde, «abbiamo aspettato un mese per avere la relazione
che i servizi sociali avevano stilato su di noi». Ma attenzione,
«non ti viene data una copia: la relazione te la leggono al
telefono. E poi te la consegnano in una busta sigillata da portare in
tribunale». Finché arriva la decisione finale: idonei. «A questo
punto siamo stati inseriti nel registro delle coppie. Ma nessuno ci
ha detto quante domande c’erano insieme alla nostra».
Tre anni dopo
Nel frattempo, passano
dieci mesi. Mesi nei quali persino i potenziali nonni sono stati
interrogati dai servizi sociali. «Ci hanno rivoltati come un
calzino», dice Nilde, «ma se questo ti porta all’adozione va
bene». E invece in tre anni lei e Giovanni non hanno mai ricevuto
una chiamata dal Tribunale per i minorenni. Dopo varie
sollecitazioni, è arrivata solo un’email della psicologa
che aveva seguito la pratica: «Mi dispiace confermare che
nell’adozione nazionale, così come nell’internazionale, sono
drasticamente diminuiti gli abbinamenti. Purtroppo la realtà è
questa». Punto. Nilde e Giovanni ora non hanno intenzione di
rinnovare la domanda di adozione che scadrà a breve. «È stato un
duro colpo. Non siamo disposti a ripetere di nuovo il percorso»,
dicono.
In dieci anni (2004-2014)
le domande per l’adozione nazionale sono calate da oltre 13.700 a
9.657. Le sentenze di adozione invece superano di poco il migliaio
l’anno. Nel 2014, a fronte di quasi 1.400 minori dichiarati
adottabili, le adozioni sono state 1.072. Oltre 300 bambini
adottabili, quindi, non sono stati adottati. E solo una coppia su
dieci è riuscita ad adottare. Eppure si stima che i bambini fuori
famiglia in tutta Italia siano anche più di 35 mila. Si tratta di
una stima, perché dati aggiornati non ne esistono. Il Garante per
l’infanzia solo a novembre 2015 ha fatto una prima ricerca,
censendo 19 mila minori in comunità, ma ha specificato che si tratta
di una fotografia incompleta. Da questa cifra mancano i numeri dei
ragazzi collocati nelle famiglie affidatarie, che in base al report
del ministero delle Politiche sociali del 2010 erano più o meno lo
stesso numero di quelli inseriti nelle comunità.
Né si sa in tempo reale
quanti siano i bambini dichiarati adottabili. Manca una banca dati
nazionale che incroci i dati dei minori e delle coppie disponibili,
nonostante siano trascorsi 15 anni da quando avrebbe dovuto essere
operativa. Da qui deriva la difficoltà di garantire a ogni bambino
adottabile la scelta della famiglia migliore, con conseguenti ritardi
negli abbinamenti.
Bambini in comunità
La decisione finale per
l’adozione resta nelle mani dei giudici. E i Tribunali per i
minorenni (di cui è previsto un accorpamento con i tribunali
ordinari nella riforma del processo civile) non sono esenti dai
difetti della giustizia italiana. Solo a Milano arrivano ogni anno 3
mila domande, che si sommano a quelle degli anni precedenti. Tra il
2011 e il 2013, a Venezia, sono state addirittura sospese le
procedure di adozione per problemi di organico. E il presidente del
Tribunale per i minorenni di Bologna ripete da tempo che «è
indispensabile un aumento di personale». Intanto, mentre i servizi
sociali aspettano mesi e mesi per avere notizie sul destino dei
bambini, i piccoli diventano grandi nelle comunità anziché in
famiglia. Il 57% ha tra i 14 e i 17 anni. E più un bambino è
grande, più la speranza di un’adozione si allontana.
L’altra opzione a
disposizione è l’adozione internazionale. «Tante coppie
presentano doppia domanda, ma l’adozione nazionale resta
residuale», dice Monica Ravasi, avvocato dell’associazione Italia
Adozioni. L’Italia ha una lunga tradizione di adozioni dall’estero,
seconda solo agli Stati Uniti. Ma anche qui i numeri sono in discesa.
Gli ultimi dati diffusi dalla Commissione per le adozioni
internazionali risalgono al 2013 (da due anni non viene pubblicato il
report annuale), quando si è registrato un calo del 9 per cento
rispetto al 2012, anno che a sua volta aveva subito una diminuzione
del 22,8 per cento. Le cifre del Dipartimento per la giustizia
minorile parlano di sole 1.969 adozioni di minori stranieri nel 2014.
E anche le coppie che fanno domanda sono in discesa: dal 2007 al
2014, sono passate da poco più di 6.800 a poco più di 3.800. «Da
una parte il calo si spiega con la crisi economica», dice Ravasi.
«Dall’altra molto dipende dalla cultura negativa che si è creata
intorno alle adozioni, dovuta alla diffusione di storie difficili».
Il tempo medio tra
domanda di adozione e autorizzazione all’ingresso del minore in
Italia è di 3,3 anni. Molto dipende dal Paese di provenienza: si va
un minimo di 2,8 anni per la Russia a un massimo di cinque anni e
mezzo per la Lituania. Ma c’è anche chi ha impiegato sette anni
per fare arrivare un bambino dal Brasile.
Dopo il passaggio dal
Tribunale per i minorenni, il percorso per l’adozione
internazionale prevede l’affidamento della pratica a uno dei 62
enti autorizzati. E qui si comincia a batter cassa. I costi fissi
degli enti sono variabili: dai 1.500 euro dell’Associazione bambini
Chernobyl ai 3.600 della Cicogna onlus. A questi si aggiungono i
costi dei viaggi. Per adottare un bambino in Russia bisogna andare e
tornare quattro volte. Per la Bolivia, è necessario trasferirsi lì
per due mesi. Per il Brasile tre. Bisogna mettere in contro poi le
pratiche burocratiche, la traduzione dei documenti, e le fatture da
pagare agli avvocati locali. Il costo finale può variare dai 15 ai
40 mila euro. Tanto che pure le banche hanno creato mutui dedicati
alle adozioni internazionali (vedi box). La normativa italiana
prevede sì la possibilità di dedurre le spese per l’adozione e il
rimborso dal 30 al 50% dei costi sostenuti, ma i soldi tardano ad
arrivare. E anche qui c’è da aspettare.
Giovanna è madre
adottiva di un bambino vietnamita. Nel 2007 ha presentato doppia
domanda, nazionale e internazionale. Dopo un anno ha ottenuto il
decreto di idoneità. Di adozione nazionale inutile parlarne. «Dopo
tre anni la domanda è scaduta e non l’ho rinnovata», racconta,
«nel frattempo l’ente al quale mi ero rivolta mi ha fatto sapere
che si era aperta una possibilità per l’internazionale». Dopo due
anni di attesa, è volata in Vietnam. E dopo un mese, è tornata in
Italia con il suo bambino. Costo totale: 18mila euro.
«Molto dipende dai
Paesi», spiega Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti
all’infanzia (Ciai). «Alcuni Stati, come il Congo e il Kenya, non
riuscendo a combattere la tratta dei bambini, hanno preferito
bloccare le pratiche». Non solo. «Quello che sta succedendo oggi è
che i Paesi di provenienza prima di dare i loro figli all’estero
tentano di collocarli in famiglie locali. Così i bambini segnalati
sono quelli più avanti con l’età o che hanno problemi di salute.
Questo fattore ha influito molto sulla riduzione delle coppie
disponibili». Tant’è che, come ha denunciato il Garante per
l’infanzia, sono aumentate le “restituzioni” dei bambini.
Secondo le ricerche internazionali avviene tra il 10 e il 20% dei
casi. «Se una famiglia adottiva non ce la fa», spiega Crestani,
«viene affiancata dai servizi sociali. Ma se la situazione non è
risolvibile, il bambino viene tolto alla famiglia e inserito in una
comunità italiana».
Commissione
fantasma
Il calo delle adozioni
internazionali però non riguarda solo l’Italia. I Paesi più
colpiti sono negli ultimi dieci anni sono stati in Norvegia (-80%),
Spagna (-79%) e Francia (-67%). Certo, da noi la Commissione per le
adozioni internazionali, presieduta da Silvia Della Monica (che ha
ricevuto la delega da Matteo Renzi), non ha aiutato. Da giugno 2014
non si è mai riunita, né ha organizzato incontri con gli enti e con
le delegazioni straniere. E nelle adozioni internazionali, tutto si
gioca sui rapporti diplomatici tra i Paesi. Non bastano i viaggi
lampo come quello che la ministra Maria Elena Boschi fece in Congo
nel maggio 2014 per portare in Italia 31 bambini adottati. Tant’è
che il 20 gennaio scorso 108 famiglie si sono incatenate davanti alla
Camera dei deputati per chiedere una mediazione diplomatica che
favorisca l’arrivo dei figli legalmente adottati in Congo. Sul sito
del Comitato Genitori Rdc si tiene il conto dell’attesa: a breve
saranno 900 giorni.
Pagina 99, 13 febbraio
2016
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