Da “pagina 99” recupero gran parte
di un articolo di Giuliana De Vivo, a mio avviso utilissimo per
orientarsi su un importante problema sociale. (S.L.L.)
«Perché non scendiamo a protestare in
piazza? Forse perché siamo impegnati a nuotare per restare a galla».
Mirko Ramacciotti ha 34 anni, fa il geometra a Pietrasanta da dieci.
Dice di sentire «di non arrivare mai, ma almeno sono partito».
Marianna Violato, 31enne di Ercolano, una laurea in Giurisprudenza
con 110 e lode, da quattro anni fa quello che ha sempre sognato:
l’avvocato. Eppure l’anno scorso ha partecipato a un concorso
pubblico. Mirko e Marianna sono due delle oltre 100 mila nuove
partite Iva under 35 aperte ogni anno. Avamposto della generazione
più segnata dalla crisi.
I trentenni come loro non hanno
recuperato occupazione nell’anno del Jobs Act, e ora fanno i
conti con il nuovo Statuto del lavoro autonomo: per capire se
contiene armi vincenti nella guerra quotidiana per reddito, malattia,
pensione.
Mirko e Marianna hanno conosciuto un
prima e un dopo: sono stati adolescenti speranzosi, che sognavano
condizioni più agiate di quelle dei genitori, e hanno visto la
Grande Recessione prendere a picconate il castello. Vivono sulla
propria pelle un mondo del lavoro in perenne trasformazione, hanno
fatto il callo a entrarci più tardi, con più difficoltà, pagati
meno. Rispetto ai tempi del suo tirocinio, Mirko constata che quello
del geometra «non è più un mestiere in cui ci si arricchisce: oggi
devi essere tu a trovare la soluzione, navigare tra le difficoltà».
L’edilizia è stata investita in pieno dalla crisi Lehman, adesso
con la paura legata agli scandali bancari si subodora un po’ di
ripresa: «La gente torna a investire sulle case», così lui,
fresco di separazione, un bimbo di 5 anni e il mutuo sull’ufficio
da pagare, si barcamena.
Marianna, invece, di barcamenarsi si è
un po’ stancata. «Devo fare i conti col fatto che se voglio una
vita mia, senza fare la mantenuta di un futuro marito, mi serve
qualcosa di più stabile», ammette. «Amo il mio lavoro, e rifarei
lo stesso percorso di studi, ma la verità è che siamo nati nella
generazione sbagliata: noi avvocati siamo davvero troppi rispetto
alla domanda. E l’incertezza non mi faceva dormire la notte». Per
tornare a poggiare serenamente la testa sul cuscino ha tentato il
concorso al ministero dell’Economia: è andato bene, ora aspetta di
essere chiamata («ma ci vorrà tempo, visto il blocco del turn
over per riassorbire i dipendenti pubblici in esubero dopo
l’abolizione delle province»). Intanto continua a girare tra aule
e cancellerie, e nella sua città ha messo su con un collega anche
uno sportello per la consulenza gratuita a chi ha redditi bassi. «Non
riuscirei a fare nulla di tutto questo», prosegue, «se non potessi
contare sull’aiuto dei miei genitori. E secondo me non è vero che
i giovani non sognano più il posto fisso: ai concorsi vedo
tantissimi avvocati. L’idea dello stipendio sicuro, alla fine,
attira tutti».
Mille euro
I mileuristas, come li definì
per la prima volta il quotidiano spagnolo El País nel 2006, dieci
anni fa in Italia avevano un reddito medio di 22.121 euro lordi
all’anno, oggi di 23.586. Passi tanto piccoli da essere irrilevanti
al netto dell’inflazione, che ci collocano in basso nella
classifica europea: l’indagine condotta a maggio 2015
dall’osservatorio JobPricing incrociando dati Eurostat e Ocse
rivela che nella fascia di età 25-34 un coetaneo svizzero porta a
casa il doppio (48.100 euro), uno svedese 36.200 euro, un olandese
29.400 euro. Inglesi, tedeschi e francesi guadagnano tra i duemila e
i mille euro in più, mentre più esigue delle retribuzioni degli
under 35 italiani sono quelle spagnole, greche, portoghesi, ceche,
polacche e ungheresi. Per chi un lavoro ce l’ha, s’intende:
nell’anno in cui le imprese hanno ricevuto incentivi corposi alle
assunzioni, il lavoro giovanile non è cresciuto; l’Eurostat
racconta che nella fascia d’età 25-34 anni l’Italia quanto a
occupazione sta messa peggio di Germania, Francia e Spagna. Al
contrario, gli incentivi sembrano aver avvantaggiato le generazioni
successive – insieme all’allungamento dell’età della pensione.
Le magnifiche sorti del contratto a tutele progressive, per ora,
riguardano molto di striscio i trentenni. Che in più si sono sentiti
vaticinare dal presidente dell’Inps Tito Boeri che andranno «in
pensione a 75 anni e con assegno ridotto del 25%».
A partita Iva
Per quelli come Mirko e Marianna è
ancora più difficile. Non percepiscono lo stipendio a fine mese:
sono lavoratori autonomi, per necessità o per orgogliosa scelta di
vita. Puntini nella galassia delle Partite Iva, in cui rientrano
anche piccoli imprenditori artigiani o agricoli e commercianti. Su
circa 4 milioni e 780 mila autonomi in Italia, negli ultimi anni il
record delle nuove aperture appartiene agli under 35: tra gennaio e
agosto 2015 sono state 109.680, quasi un terzo del totale (347.315).
Aggrappati al regime dei minimi, che prevede l’aliquota sostitutiva
del 5% entro la soglia massima di reddito di 30 mila euro. E quasi la
metà sono liberi professionisti. Che difendono i nostri diritti
nelle aule di tribunale, progettano le case in cui andiamo ad
abitare. Traducono i libri che leggiamo, scrivono le sceneggiature
dei film che guardiamo. Oppure sono le mani a cui ci affidiamo se
abbiamo problemi di salute, persino quelli che richiedono interventi
ben più complessi che mandar giù una pillola.
Il nuovo statuto
Il loro mondo è investito per la prima
volta da una riforma che lo riguarda nello specifico: il cosiddetto
Jobs Act del lavoro autonomo, disegno di legge approdato in
Consiglio dei ministri giovedì 28 gennaio come collegato alla legge
di stabilità. Frutto di un confronto tra la politica e le principali
associazioni dei professionisti autonomi, contiene misure a lungo
attese: la nullità di clausole che allunghino i tempi di pagamento
oltre i 60 giorni, la possibilità di partecipare ai bandi pubblici e
dei fondi strutturali Ue e di dedurre le spese di formazione, anche
presso enti non accreditati. E soprattutto, riconosce ai freelance
alcune tutele sanitarie. La maternità, senza vincolo dell’astensione
obbligatoria: le professioniste autonome potranno percepire
l’indennità continuando a lavorare, organizzandosi sui tempi di
consegna. Dopo essere entrata e uscita più volte dalle bozze, mentre
scriviamo risulta confermata anche la norma che riconosce la malattia
grave, sebbene solo sotto il profilo dell’esenzione dalla
contribuzione: se un freelance, per esempio dopo una seduta di
chemioterapia, torna a casa e non ha la forza di lavorare, avrà il
diritto di sospendere il pagamento dei contributi previdenziali. «In
linea generale è un buon primo passo per garantire tutele di base ai
lavoratori», commenta Anna Soru, presidente di Acta, l’associazione
dei professionisti che non appartengono ad alcun ordine. Restano
altre questioni aperte, sul fronte contributivo («vorremmo essere
allineati a commercianti e artigiani, con un’aliquota al 24%,
mentre noi oggi siamo al 27,72% e ogni anno ci troviamo a dover
chiedere il blocco dell’aumento progressivo previsto dalla legge) e
degli ammortizzatori sociali. «Sono 10 anni che verso alla gestione
separata dell’Inps, non mi sembra giusto che se resto senza lavoro
non ho diritto a un’indennità di disoccupazione», sbotta
Francesca Rossi, grafica editoriale. E aggiunge: «Io non mi sento
affatto precaria, lavoro anche 12 ore al giorno. Ma non credo che
quanto previsto dal nuovo Statuto basti a decidere di fare un figlio:
se uno dei due della coppia non è dipendente, oggi è dura».
Professionisti liberi?
Lo statuto cambierà assai poco la vita
di quelli come Mirko e Marianna. Il Jobs Act degli autonomi si
rivolge anche ai professionisti iscritti agli ordini, ma li esclude
sul fronte previdenziale, per il quale restano in vigore le regole
delle singole casse di appartenenza. Che pesano, specie sul bilancio
di un professionista a inizio carriera: la Cassa forense – alla
quale ora è obbligatorio iscriversi per esercitare – per la fascia
di reddito fino a 10 mila euro chiede almeno 850 euro all’anno,
garantendo sei mesi di anzianità contributiva. Non una cifra da
nulla, specie se, come mostra una ricerca dell’Isfol (si veda il
grafico a pagina 2), ormai i redditi degli autonomi sono quasi
allineati a quelli di un dipendente medio: i grossi avvocati, medici,
architetti sono relegati a una nicchia.
La realtà ha più spesso il volto di
Leonardo, neurochirurgo di 32 anni che ha tenuto il bisturi in decine
di sale operatorie. Laureato in medicina a 23, in cinque anni e una
sessione, si è specializzato tra Pozzilli – vicino Isernia, dove
sorge uno dei più grandi istituti di neurochirurgia italiani –,
Milano, Roma, Manchester e Los Angeles, dove con un suo progetto di
ricerca ha vinto – unico italiano tra altri nove medici da tutto il
mondo – una fellowship internazionale. «Il cognome non scriverlo,
se un paziente sa che lavoro a partita Iva lo percepisce come
dequalificante», dice, «ho fatto anche un corso su come gestire la
mia immagine». I clienti se li procura da solo, li opera in ospedali
pubblici – «dove sono moltissimi i medici a partita Iva, giovani
ma anche 50enni» – o in cliniche private: in questo caso guadagna
una percentuale sull’equivalente del Drg, il rimborso della sanità
pubblica. Di spese, anche nei mesi in cui guadagna bene, ne ha: oltre
all’Iva c’è l’Enpam (la Cassa dei medici), e l’assicurazione
obbligatoria contro le denunce «per cui se ne vanno altri mille euro
al mese». Leonardo il posto fisso non ce l’ha perché negli ultimi
10 anni per la sua specializzazione non è stato bandito nessun
concorso. Tranne uno a fine gennaio, a Trieste: «Era per un solo
posto, quasi certamente già assegnato; tra costi di viaggio e
permanenza non mi sarebbe convenuto andarci». Ha avuto altre
proposte di lavoro allettanti, una a Sheffield, per 35 mila sterline
all’anno, «ma voglio restare in Italia, non subire gli eventi e
basta». E allora la domanda torna: cosa fanno i 30enni per non
subire gli eventi e basta? «Purtroppo penso che ognuno si preoccupi
solo del proprio orticello, sia tra avvocati, sia nelle altre
categorie», riflette, amara, Marianna. Leonardo è più filosofico:
«Nel nostro sistema ci sono quelli che stanno molto bene e quelli
che stanno molto male. Ma quelli che stanno molto male non vogliono
fare la rivoluzione, che è sempre un’incognita, vogliono prendere
il posto di quelli che stanno molto bene. E ci provano in tutti i
modi, anche furbi e illegali».
Pagina 99 we, 30 gennaio 2016
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