Recensione di un volume
per il quarantennale di “Pubblicità Progresso”, il testo che
segue mi pare rappresentare un utile primo orientamento sui temi
della pubblicità sociale. (S.L.L.)
Pubblicità Progresso ha
compiuto nel 2011 quarant’anni, un arco di tempo nel corso del
quale questa sigla è diventata in Italia una specie di simbolo della
pubblicità sociale, principalmente a causa della modesta attività
sviluppata dallo Stato in tale ambito. Nata come associazione senza
fini di lucro, Pubblicità Progresso da alcuni anni è stata
trasformata in una fondazione, ma il suo principale obiettivo rimane
comunque la realizzazione e la promozione di campagne incentrate su
temi sociali per stimolare individui e organizzazioni ad agire per il
bene comune. Parlare della sua storia può dunque servire per tentare
un bilancio del ruolo effettivamente giocato nel nostro paese dalla
pubblicità sociale dal 1971 ad oggi.
Campagne di
successo
Per celebrare il proprio
compleanno, Pubblicità Progresso ha dato vita a diverse iniziative,
tra le quali una campagna pubblicitaria istituzionale, un convegno e
una mostra E ha pubblicato anche un voluminoso libro, curato da
Roberto Bernocchi e Rossella Sobrero: Pubblicità Progresso. La
comunicazione sociale in Italia (Rai-Eri, pp. 360, euro 16).
Sebbene si tratti di un testo chiaramente celebrativo, esso contiene
informazioni utili per ricostruire un pezzo importante della storia
della pubblicità sociale in Italia che in effetti esisteva nel
nostro paese già prima della nascita di Pubblicità Progresso, ma
che fino ad allora aveva un ruolo marginalissimo. Veniamo così a
sapere che per la creazione di questo organismo, all’inizio degli
anni ’70, fu preso a modello l’Advertising Council statunitense,
nato trent’anni prima nel 1941, su iniziativa delle agenzie di
pubblicità, degli editori e delle grandi imprese. Anche Pubblicità
Progresso venne promossa dalle maggiori organizzazioni professionali
operanti nel settore pubblicitario, con l’intento di migliorare
l’immagine che gli italiani avevano del mondo delle imprese e della
pubblicità Erano infatti anni, quelli, in cui le critiche rivolte al
sistema delle imprese e alla comunicazione pubblicitaria - accusata
di manipolare le coscienze individuali - erano particolarmente forti.
Gli operatori del settore
pubblicitario si ponevano inoltre l’obiettivo di spingere lo Stato
italiano a investire nell’ambito della pubblicità sociale,
naturalmente per poterne ottenere dei vantaggi economici. Obiettivo
in parte raggiunto, in quanto negli anni successivi lo Stato
commissionò alle agenzie pubblicitarie alcune campagne di tipo
sociale, di entità comunque modesta se confrontata con quelle
abitualmente promosse negli altri paesi avanzati.
Con tutti i suoi limiti,
non c’è dubbio che Pubblicità Progresso abbia saputo dare vita a
un modello comunicativo che è servito negli ultimi decenni da guida
per le campagne sociali di numerosi enti pubblici. Ma soprattutto con
i suoi messaggi ha avuto il merito di sensibilizzare gli italiani
rispetto ad alcuni problemi sociali particolarmente rilevanti,
dall’Aids al razzismo, dalla promozione del volontariato alla
prevenzione degli incidenti domestici. Sono però in particolare
alcune sue campagne ad essere rimaste scolpite nella memoria
collettiva - quelle caratterizzate dagli slogan «Donate sangue»,
«Il verde è tuo: difendilo», «Chi fuma avvelena anche te. Digli
di smettere». Si tratta di campagne degli anni ’70 e probabilmente
il loro successo è dovuto almeno in parte alla possibilità di
emergere facilmente in un panorama mediatico decisamente meno
affollato rispetto ad oggi. Ma è soprattutto il carattere innovativo
del loro linguaggio, rispetto al contesto pubblicitario italiano, ad
avere catturato con forza l’attenzione del pubblico.
Di recente Emanuele
Gabardi ha curato un volume (Social advertising. Campagne
pubblicitarie per un mondo migliore, Franco Angeli, pp. 176, euro
21) dove viene analizzata una vasta gamma di campagne sociali uscite
negli ultimi anni in Italia e si affronta sin dall’inizio il tema
della perdita di efficacia dei messaggi firmati da Pubblicità
Progresso. Gabardi ha portato ad esempio un annuncio stampa
appartenente alla celebre campagna contro il fumo uscita negli anni
’70, nel quale il tristissimo sguardo di un bambino fotografato in
primo piano era accompagnato dalla scritta «Qualcuno ha deciso che
un bimbo deve morire. E forse sei stato tu», e ha sostenuto che non
si tratta di un messaggio particolarmente scioccante, ma che
all’epoca ha rappresentato una forte provocazione per gli italiani.
Secondo Gabardi, però, Pubblicità Progresso ha presto esaurito la
forte spinta propulsiva che la caratterizzava all’inizio.
Stimoli emotivi
Le campagne degli ultimi
anni sono state infatti scarsamente efficaci e coinvolgenti. Un
fenomeno legato, oltre che alla qualità notoriamente scarsa della
pubblicità italiana alla mancanza di coraggio dei committenti. Si
continuano infatti a impiegare toni misurati e soft, mentre di solito
all’estero per le campagne su temi sociali si fa ricorso a
linguaggi forti, spesso conturbanti, dal momento che convincere le
persone della bontà di un certo comportamento è decisamente più
difficile che spingerle a cambiare la marca di pasta preferita. È
necessario pertanto impiegare messaggi che siano in grado di scuotere
le coscienze, come insegnano decenni di esperienze condotte a livello
internazionale - fare ricorso, insomma a quello che è stato chiamato
fear arousing appeal. Coloro che rifiutano questa impostazione
partono dal presupposto che una sensazione di angoscia possa
comportare un atteggiamento di rigetto. Un rischio reale, e tuttavia
inferiore a quello di non essere nemmeno presi in considerazione dal
pubblico.
D’altra parte, ancora
Gabardi ha giustamente sottolineato come il linguaggio che colpisce
le persone sul piano emotivo non sia l’unico possibile nell’ambito
della pubblicità sociale. In alcuni casi si può tentare, per
esempio, la via del dialogo, del ragionamento e dell’informazione
concreta sui problemi sociali. Questo comunque non giustifica quanto
è accaduto in Italia e cioè, come nota lo studioso, «le numerose
campagne banali e insignificanti che hanno caratterizzato la
comunicazione degli ultimi decenni».
A questo proposito
Gabardi cita una dichiarazione di Emanuele Pirella, probabilmente il
miglior pubblicitario che la pubblicità italiana abbia avuto negli
ultimi anni: «Ci sono pubblicità di enorme efficacia - in
Inghilterra Svezia o America - che risultano estremamente dure,
forti, apparentemente sgradevoli. In questi casi nessuno si traveste
da giovane, nessuno si mette a fare la paternale, ma si cerca di
portare avanti un discorso più frontale e virile sui rischi che la
droga certe malattie, certe atrocità o certe situazioni fanno
correre. Se mai accettassi un progetto del genere, mi comporterei
dunque in contro-tendenza rispetto a tutto quello che si è visto
finora in Italia».
Quando Pubblicità
Progresso propose negli anni ’70 i suoi primi messaggi, comunicare
non era in ogni caso così difficile come è diventato in seguito.
Numerosi sono infatti gli ostacoli per chi intende comunicare
nell’attuale situazione «ipercomunicativa» della cultura sociale,
che si caratterizza per una elevatissima quantità di messaggi in
circolazione, spesso direttamente concorrenti. Un altro problema
inoltre, come ha scritto la ricercatrice Ariela Mortara nel volume
curato da Gabardi, è che «l’investimento in pubblicità sociale è
raramente sufficiente a raggiungere quell’effetto soglia necessario
affinché il messaggio ottenga l’effetto desiderato e questo
perché, soprattutto in televisione, lo spazio riservato alle
comunicazioni di questo tipo è residuale». Si pensi ad esempio che
nel 2009 gli investimenti in pubblicità so -ciale costituivano
solamente l’l,7% degli investimenti pubblicitari complessivi sui
mezzi classici.
L'influenza della
strada
Che fare dunque per
trasmettere efficacemente messaggi che stimolino le persone ad agire
per il bene comune? Innanzitutto, occorre utilizzare linguaggi in
grado di colpire perché originali e piacevoli, anche per farsi
perdonare quell’intrusione che i messaggi pubblicitari praticano
sempre nella vita quotidiana degli individui. Questo tuttavia non
basta è necessario infatti anche comunicare attraverso un approccio
di comunicazione integrata basato cioè sull’impiego complementare
e coordinato di più strumenti comunicativi. Rientrano in questo
quadro gli strumenti del cosiddetto «marketing non-convenzionale»
(marketing tribale, guerrilla marketing...), molto adatti alla
comunicazione sociale anche perché economici. Essi tuttavia non
possono rappresentare il perno centrale di una strategia comunicativa
perché sono solitamente legati a una specifica situazione o a una
particolare iniziativa e dunque non riescono a costruire con le
persone una relazione duratura indispensabile per chi vuole
comunicare valori e modelli di comportamento.
Nonostante questo, le
forme di comunicazione non convenzionale saranno in grado di
rappresentare in futuro uno strumento significativo per la
comunicazione sociale. Tali forme guardano spesso a quelle che sono
le creazioni «nate nella strada, cioè frutto dell’invenzione di
giovani irregolari, spesso schierati contro il sistema capitalistico,
e dunque non è paradossale che i pubblicitari prendano spesso a
modello quello che ha fatto in Inghilterra un graffitista originale
come Bansky.
Ironici spazi
urbani
Di recente Feltrinelli ha
pubblicato nella collana Real Cinema il film in dvd Exit Through
the Gift Shop, diretto dallo stesso Bansky, autore anche del
volume Wall and Piece, da poco tradotto in italiano
(L’ippocampo, pp. 240, euro 19.90), ma pubblicato in Inghilterra
nel 2005. Si tratta di un volume illustrato che raccoglie i
principali interventi effettuati negli scorsi anni da Bansky e che
mostra come lo stile dell’artista si caratterizzi per la sua
originalità e la sua capacità di sfruttare tutti gli spazi urbani
per comunicare in maniera ironica e sorprendente, inducendo il
passante a riflettere. Non sono cioè graffiti di tipo tradizionale,
ma si configurano come veri e propri messaggi pubblici-tari di tipo
sociale. Ci sono, ad esempio, dei tipici bobby inglesi che si baciano
sulla bocca o dei poliziotti in te -nuta antisommossa che al posto
del volto hanno una disorientante faccia da cartone animato con un
largo sorriso. D’altronde, Bansky è convinto di riuscire a rendere
con il suo lavoro il mondo un luogo dall’aspetto migliore. Quello
che dovrebbero fare anche i messaggi di Pubblicità Progresso e più
in generale i messaggi della pubblicità sociale.
“il manifesto”, 24
dicembre 2011
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