5.2.16

Pubblicità Progresso. Il marketing della bontà (Vanni Codeluppi)

Recensione di un volume per il quarantennale di “Pubblicità Progresso”, il testo che segue mi pare rappresentare un utile primo orientamento sui temi della pubblicità sociale. (S.L.L.)

Pubblicità Progresso ha compiuto nel 2011 quarant’anni, un arco di tempo nel corso del quale questa sigla è diventata in Italia una specie di simbolo della pubblicità sociale, principalmente a causa della modesta attività sviluppata dallo Stato in tale ambito. Nata come associazione senza fini di lucro, Pubblicità Progresso da alcuni anni è stata trasformata in una fondazione, ma il suo principale obiettivo rimane comunque la realizzazione e la promozione di campagne incentrate su temi sociali per stimolare individui e organizzazioni ad agire per il bene comune. Parlare della sua storia può dunque servire per tentare un bilancio del ruolo effettivamente giocato nel nostro paese dalla pubblicità sociale dal 1971 ad oggi.

Campagne di successo
Per celebrare il proprio compleanno, Pubblicità Progresso ha dato vita a diverse iniziative, tra le quali una campagna pubblicitaria istituzionale, un convegno e una mostra E ha pubblicato anche un voluminoso libro, curato da Roberto Bernocchi e Rossella Sobrero: Pubblicità Progresso. La comunicazione sociale in Italia (Rai-Eri, pp. 360, euro 16). Sebbene si tratti di un testo chiaramente celebrativo, esso contiene informazioni utili per ricostruire un pezzo importante della storia della pubblicità sociale in Italia che in effetti esisteva nel nostro paese già prima della nascita di Pubblicità Progresso, ma che fino ad allora aveva un ruolo marginalissimo. Veniamo così a sapere che per la creazione di questo organismo, all’inizio degli anni ’70, fu preso a modello l’Advertising Council statunitense, nato trent’anni prima nel 1941, su iniziativa delle agenzie di pubblicità, degli editori e delle grandi imprese. Anche Pubblicità Progresso venne promossa dalle maggiori organizzazioni professionali operanti nel settore pubblicitario, con l’intento di migliorare l’immagine che gli italiani avevano del mondo delle imprese e della pubblicità Erano infatti anni, quelli, in cui le critiche rivolte al sistema delle imprese e alla comunicazione pubblicitaria - accusata di manipolare le coscienze individuali - erano particolarmente forti.
Gli operatori del settore pubblicitario si ponevano inoltre l’obiettivo di spingere lo Stato italiano a investire nell’ambito della pubblicità sociale, naturalmente per poterne ottenere dei vantaggi economici. Obiettivo in parte raggiunto, in quanto negli anni successivi lo Stato commissionò alle agenzie pubblicitarie alcune campagne di tipo sociale, di entità comunque modesta se confrontata con quelle abitualmente promosse negli altri paesi avanzati.
Con tutti i suoi limiti, non c’è dubbio che Pubblicità Progresso abbia saputo dare vita a un modello comunicativo che è servito negli ultimi decenni da guida per le campagne sociali di numerosi enti pubblici. Ma soprattutto con i suoi messaggi ha avuto il merito di sensibilizzare gli italiani rispetto ad alcuni problemi sociali particolarmente rilevanti, dall’Aids al razzismo, dalla promozione del volontariato alla prevenzione degli incidenti domestici. Sono però in particolare alcune sue campagne ad essere rimaste scolpite nella memoria collettiva - quelle caratterizzate dagli slogan «Donate sangue», «Il verde è tuo: difendilo», «Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere». Si tratta di campagne degli anni ’70 e probabilmente il loro successo è dovuto almeno in parte alla possibilità di emergere facilmente in un panorama mediatico decisamente meno affollato rispetto ad oggi. Ma è soprattutto il carattere innovativo del loro linguaggio, rispetto al contesto pubblicitario italiano, ad avere catturato con forza l’attenzione del pubblico.
Di recente Emanuele Gabardi ha curato un volume (Social advertising. Campagne pubblicitarie per un mondo migliore, Franco Angeli, pp. 176, euro 21) dove viene analizzata una vasta gamma di campagne sociali uscite negli ultimi anni in Italia e si affronta sin dall’inizio il tema della perdita di efficacia dei messaggi firmati da Pubblicità Progresso. Gabardi ha portato ad esempio un annuncio stampa appartenente alla celebre campagna contro il fumo uscita negli anni ’70, nel quale il tristissimo sguardo di un bambino fotografato in primo piano era accompagnato dalla scritta «Qualcuno ha deciso che un bimbo deve morire. E forse sei stato tu», e ha sostenuto che non si tratta di un messaggio particolarmente scioccante, ma che all’epoca ha rappresentato una forte provocazione per gli italiani. Secondo Gabardi, però, Pubblicità Progresso ha presto esaurito la forte spinta propulsiva che la caratterizzava all’inizio.

Stimoli emotivi
Le campagne degli ultimi anni sono state infatti scarsamente efficaci e coinvolgenti. Un fenomeno legato, oltre che alla qualità notoriamente scarsa della pubblicità italiana alla mancanza di coraggio dei committenti. Si continuano infatti a impiegare toni misurati e soft, mentre di solito all’estero per le campagne su temi sociali si fa ricorso a linguaggi forti, spesso conturbanti, dal momento che convincere le persone della bontà di un certo comportamento è decisamente più difficile che spingerle a cambiare la marca di pasta preferita. È necessario pertanto impiegare messaggi che siano in grado di scuotere le coscienze, come insegnano decenni di esperienze condotte a livello internazionale - fare ricorso, insomma a quello che è stato chiamato fear arousing appeal. Coloro che rifiutano questa impostazione partono dal presupposto che una sensazione di angoscia possa comportare un atteggiamento di rigetto. Un rischio reale, e tuttavia inferiore a quello di non essere nemmeno presi in considerazione dal pubblico.
D’altra parte, ancora Gabardi ha giustamente sottolineato come il linguaggio che colpisce le persone sul piano emotivo non sia l’unico possibile nell’ambito della pubblicità sociale. In alcuni casi si può tentare, per esempio, la via del dialogo, del ragionamento e dell’informazione concreta sui problemi sociali. Questo comunque non giustifica quanto è accaduto in Italia e cioè, come nota lo studioso, «le numerose campagne banali e insignificanti che hanno caratterizzato la comunicazione degli ultimi decenni».
A questo proposito Gabardi cita una dichiarazione di Emanuele Pirella, probabilmente il miglior pubblicitario che la pubblicità italiana abbia avuto negli ultimi anni: «Ci sono pubblicità di enorme efficacia - in Inghilterra Svezia o America - che risultano estremamente dure, forti, apparentemente sgradevoli. In questi casi nessuno si traveste da giovane, nessuno si mette a fare la paternale, ma si cerca di portare avanti un discorso più frontale e virile sui rischi che la droga certe malattie, certe atrocità o certe situazioni fanno correre. Se mai accettassi un progetto del genere, mi comporterei dunque in contro-tendenza rispetto a tutto quello che si è visto finora in Italia».
Quando Pubblicità Progresso propose negli anni ’70 i suoi primi messaggi, comunicare non era in ogni caso così difficile come è diventato in seguito. Numerosi sono infatti gli ostacoli per chi intende comunicare nell’attuale situazione «ipercomunicativa» della cultura sociale, che si caratterizza per una elevatissima quantità di messaggi in circolazione, spesso direttamente concorrenti. Un altro problema inoltre, come ha scritto la ricercatrice Ariela Mortara nel volume curato da Gabardi, è che «l’investimento in pubblicità sociale è raramente sufficiente a raggiungere quell’effetto soglia necessario affinché il messaggio ottenga l’effetto desiderato e questo perché, soprattutto in televisione, lo spazio riservato alle comunicazioni di questo tipo è residuale». Si pensi ad esempio che nel 2009 gli investimenti in pubblicità so -ciale costituivano solamente l’l,7% degli investimenti pubblicitari complessivi sui mezzi classici.

L'influenza della strada
Che fare dunque per trasmettere efficacemente messaggi che stimolino le persone ad agire per il bene comune? Innanzitutto, occorre utilizzare linguaggi in grado di colpire perché originali e piacevoli, anche per farsi perdonare quell’intrusione che i messaggi pubblicitari praticano sempre nella vita quotidiana degli individui. Questo tuttavia non basta è necessario infatti anche comunicare attraverso un approccio di comunicazione integrata basato cioè sull’impiego complementare e coordinato di più strumenti comunicativi. Rientrano in questo quadro gli strumenti del cosiddetto «marketing non-convenzionale» (marketing tribale, guerrilla marketing...), molto adatti alla comunicazione sociale anche perché economici. Essi tuttavia non possono rappresentare il perno centrale di una strategia comunicativa perché sono solitamente legati a una specifica situazione o a una particolare iniziativa e dunque non riescono a costruire con le persone una relazione duratura indispensabile per chi vuole comunicare valori e modelli di comportamento.
Nonostante questo, le forme di comunicazione non convenzionale saranno in grado di rappresentare in futuro uno strumento significativo per la comunicazione sociale. Tali forme guardano spesso a quelle che sono le creazioni «nate nella strada, cioè frutto dell’invenzione di giovani irregolari, spesso schierati contro il sistema capitalistico, e dunque non è paradossale che i pubblicitari prendano spesso a modello quello che ha fatto in Inghilterra un graffitista originale come Bansky.

Ironici spazi urbani
Di recente Feltrinelli ha pubblicato nella collana Real Cinema il film in dvd Exit Through the Gift Shop, diretto dallo stesso Bansky, autore anche del volume Wall and Piece, da poco tradotto in italiano (L’ippocampo, pp. 240, euro 19.90), ma pubblicato in Inghilterra nel 2005. Si tratta di un volume illustrato che raccoglie i principali interventi effettuati negli scorsi anni da Bansky e che mostra come lo stile dell’artista si caratterizzi per la sua originalità e la sua capacità di sfruttare tutti gli spazi urbani per comunicare in maniera ironica e sorprendente, inducendo il passante a riflettere. Non sono cioè graffiti di tipo tradizionale, ma si configurano come veri e propri messaggi pubblici-tari di tipo sociale. Ci sono, ad esempio, dei tipici bobby inglesi che si baciano sulla bocca o dei poliziotti in te -nuta antisommossa che al posto del volto hanno una disorientante faccia da cartone animato con un largo sorriso. D’altronde, Bansky è convinto di riuscire a rendere con il suo lavoro il mondo un luogo dall’aspetto migliore. Quello che dovrebbero fare anche i messaggi di Pubblicità Progresso e più in generale i messaggi della pubblicità sociale.

“il manifesto”, 24 dicembre 2011

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