Produrre la
sequenza di Rna che riconosce il Dna da colpire costa circa dieci
euro. L’intero processo di editing del genoma, una trentina. Con un
investimento irrisorio e le competenze di un dottorando, la
tecnologia Crispr, che sta rivoluzionando l’ingegneria genetica, è
alla portata di ogni laboratorio.
I "Bama", micromaiali per la ricerca medica prodotti in Cina |
Crispr/Cas9 è il frutto
del lavoro di Jennifer Doudna, dell’Università della California a
Berkeley e di Emmanuelle Charpentier dell’Helmholtz Centre for
Infection Research. Nonostante sia molto più economico e semplice da
utilizzare rispetto ai predecessori, sono emersi dei limiti legati
all’efficacia su alcune specie e alla specificità di azione. Così
un gruppo di ricercatori del Mit e del Broad Institute di Harvard,
guidato da Feng Zhang, 33 anni, ha creato una versione dall’azione
più precisa modificando tre dei circa 1.400 aminoacidi che formano
Cas9. Una scoperta, pubblicata su “Science”, che Zhang ha
dichiarato di voler rendere disponibile gratuitamente a scopi di
ricerca. E che si è inserita, insieme alla “sua” versione di
Crispr descritta qualche tempo fa, in una battaglia per i brevetti
tra il suo gruppo di ricerca e quello di Charpentier.
Per anni varie squadre di
scienziati hanno lavorato a Crispr. C’è chi ha identificato Rna
guida, chi gli enzimi, chi ne ha compreso la struttura. Eppure in
molti casi «le grandi aziende si stanno disinteressando alla
proprietà dei brevetti, puntando ad arrivare per prime sul mercato a
costo di pagare le royalties a qualcun altro», spiega Mauro
Mandrioli, professore associato di genetica all’università di
Modena e Reggio Emilia. «Il timore è che la ricerca subisca
un’accelerazione eccessiva per la troppa disponibilità economica.
Non conosciamo ancora gli effetti off target, se e come il sistema
modifichi altri geni oltre a quelli scelti, né abbiamo idee precise
sulla stabilità. È precoce considerarlo uno strumento di cura,
servirà tempo per ottenere dati sulla sicurezza».
Dal punto di vista
commerciale, gli investimenti dei privati premono perché il metodo
di editing genomico arrivi presto sul mercato anche come
terapia genica, e sostengono le numerose startup biotech
legate a Crispr oggi in competizione tra loro per ricerca, brevetti
e, ovviamente, fondatori. A livello di prime immissioni di capitali,
le cifre a disposizione sono notevoli: la Editas Medicine di
Cambridge (co-fondata da Church e Zhang e che sta facendo ricerca, in
fase pre-clinica, sulle applicazioni di Crispr sulla distrofia di
Duchenne) è in cima alla lista e ha ottenuto 120 milioni di dollari
da un round di investimenti in cui spiccano nomi come Bill Gates e
Google Ventures. La Crispr Therapeutics di Basilea, di cui E.
Charpentier è co-fondatrice, ha un potenziale di investimento di
quasi 90 milioni; la Caribou Biosciences di Berkeley e l’Intellia
Therapeutics (in collaborazione con Novartis), entrambe co-fondate da
J. Doudna, contano rispettivamente 11 e 15 milioni.
Un quadro normativo non
c’è ancora e agli scienziati si chiede di agire in modo
responsabile: pochi giorni fa, a Washington, una conferenza
organizzata dalla National Academy of Sciences ha stabilito il
rilascio di linee guida entro il 2016 . Nel frattempo, a che punto
siamo?
In un contesto tanto
complesso, l’utilizzo di Crispr su animali di interesse zootecnico
potrebbe essere tra i primi applicati. Gli occhi sono puntati sulla
Cina, dove è già stato creato un nuovo tipo di capra, dai muscoli
più grandi e vello più lungo, per aumentare la produzione di carne
e lana. Dal Beijing Genomics Institute sono usciti i micro-maiali
Bama (creati come animali modello per la ricerca e ora venduti come
pet a 1.600 dollari) e dai Guangzhou Institutes of Biomedicine and
Health due robusti beagle, Hercules e Tiangou, creati silenziando il
gene che codifica per la miostatina, una proteina che inibisce la
crescita muscolare.
Grazie a una politica di
“rientro dei cervelli” ed enormi investimenti in ricerca e
sviluppo (257 miliardi di dollari nel 2012) la Cina ha raggiunto gli
Usa nella corsa alla Crispr. Al punto che il gruppo di Junjiu Huang,
alla Sun Yat-sen University di Guangzhou, l’ha usata su embrioni
umani per modificare il gene responsabile della beta-talassemia, una
malattia del sangue potenzialmente fatale. Nonostante gli embrioni
(donati da una clinica per la fertilità) non fossero viabili –
vale a dire non utilizzabili per la fecondazione assistita – la
ricerca ha sollevato un polverone sia dal punto di vista dei limiti
di Crispr, che su di essi non si è dimostrato efficace, sia per
l’aspetto etico.
A oggi «i principali
risultati della tecnica Crispr/Cas9 riguardano gli animali. In primis
la possibilità di creare dei modelli che replichino le nostre
patologie», spiega Mandrioli. Come succede, per esempio, allo Yunnan
Key Laboratory of Primate Biomedical Research, dove gli scienziati
hanno aumentato lo sviluppo neurologico di un gruppo di scimmie per
usarle nello studio di condizioni come autismo e Alzheimer. Un’altra
possibilità è data dagli xenotrapianti, “coltivare” in altre
specie, come i maiali, organi per i trapianti umani. «Finora la
ricerca era limitata da due ostacoli: i retrovirus del genoma suino,
trasmissibili agli esseri umani, e il rischio di rigetto».
Tramite Crispr, «il
gruppo di ricerca del genetista George Church di Harvard ha spento i
20 geni alla base del potenziale rigetto e inattivato tutte le 62
copie di retrovirus che conosciamo. I risultati per questo secondo
traguardo non sono ancora stati pubblicati, ma renderebbero concreto
l’allevamento di suini per trapianti già nei prossimi anni», dice
Mandrioli. Con eGenesis, la società di Boston di cui è
co-fondatore, Church va in questa direzione.
Anche in ambito clinico,
pur essendo molto lontani da sperimentazioni su esseri umani,
l’editing con Crispr apre possibilità affascinanti: inattivare il
virus dell’Hiv nei pazienti sieropositivi, inattivare le cellule
tumorali o produrne di ingegnerizzate da usare come “farmaco”
contro il cancro. O ancora, alterare i geni associati a patologie
cardiache come stanno facendo ai Gladstone Institutes di San
Francisco. «Il rischio», sottolinea Mandrioli, «è che si cerchi
di applicare i risultati prima che la comunità scientifica e la
società si siano espresse. Non sappiamo cosa penserà il pubblico di
fronte alle capre modificate cinesi o altri organismi. E vista
l’esperienza con gli Ogm, non è secondario».
Pagina 99, 19 dicembre
2016
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