La Chiesa del no
Marco Politi, all'epoca
vaticanista di “Repubblica”, intitolò nel 2009 La Chiesa del
no un suo libro sconfortato
sulle resistenze della gerarchia cattolica a fare i conti con il
pluralismo etico che percorre società complesse come quella italiana
e si manifesta tra gli stessi credenti e praticanti. Il volume
verteva principalmente sui “temi eticamente sensibili”, i più
scottanti nella definizione del rapporto tra Stato e Chiesa
(eutanasia e testamento biologico, coppie di fatto e unioni
omosessuali, aborto e legge 194, fecondazione artificiale e tutela
dell'embrione) ed esplicitamente criticava il pressante interventismo
della gerarchia ecclesiastica, inconcepibile in altri paesi
occidentali.
Nel 2014 Politi, nel
frattempo passato al “Fatto Quotidiano”, ha pubblicato per
Laterza un volume di appoggio alle intenzioni di riforma del nuovo
papa, l'argentino Bergoglio,
Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione,
di cui è uscita a dicembre una edizione
aggiornata. Il giornalista, in una intervista rilasciata a Rai News
sul finire del 2015, parla di una spaccatura nella Chiesa italiana,
rivelatasi in tutta la sua profondità al Sinodo dei Vescovi
dell'ottobre scorso, che soltanto sulla questione della ammissione
dei divorziati ai sacramenti ha sancito una limitata apertura,
peraltro affidata alle chiese locali.
Il sette
gennaio nel sito di “Sanfrancesco patrono d'Italia”, la rivista
dei frati del Sacro Convento di Assisi, trova risalto una frase del
Papa, pronunciata alla Sistina, tra un concerto di vagiti, dopo il
battesimo di un gruppo di neonati: “Quando un bambino piange perché
ha fame, alle mamme dico: se ha fame, dagli da mangiare qui, con
tutta libertà”. Nessun divieto, dunque, da ora in poi dovrebbe
essere in vigore per l'allattamento al seno nelle chiese, anche in
quelle dove non sono ammesse le scollature ampie.
Galantino
non è Bergoglio
Più
difficile sembra, invece, l'allineamento dell'episcopato e del clero
italiano all'impianto generale del Giubileo di Bergoglio, con il
privilegio accordato alla “misericordia” rispetto alla “dottrina”
tradizionale. I potenti dignitari che hanno impedito al Sinodo di
pronunciare una parola definitiva sul riconoscimento del valore
affettivo e solidale delle coppie omosessuali sono oggi all'attacco
della legge sulle “unioni civili” in discussione al Parlamento,
contraddicendo così le limitazioni all'interventismo sulla
giurisdizione civile che Bergoglio suggeriva. L'ala integralista
della Chiesa italiana aveva organizzato già nel giugno scorso una
prova di forza, un Family day che
aveva suscitato esplicite riserve circa l'opportunità di
manifestazioni di piazza da parte di monsignor Galantino, segretario
della CEI considerato vicino al Papa, e perfino del prudente
arcivescovo Paglia, che guida il consiglio pontificio per la
famiglia. Ora i conservatori preparano per sabato 30 gennaio una
nuova più massiccia mobilitazione nel vivo del dibattito
parlamentare sulla cosiddetta “riforma Cirinnà”. Si vuol così
ribadire l'antica opposizione cattolica ad uno dei principi cardine
dello Stato liberale, la libertà nelle scelte etiche e nei
comportamenti delle singole persone fino a quando non si limiti
l'altrui libertà, in nome di un principio normativo ritenuto
superiore, che tende a rendere reati i peccati e legge civile i
divieti imposti ai fedeli.
Il
clima all'interno del cattolicesimo militante, con al centro la
Conferenza episcopale italiana, è infuocato. Siti e riviste
conservatori fino a poco tempo fa accusavano il suo giornale,
“L'Avvenire”, di subire una “deriva galantiniana”, visto che
snobbava la manifestazione del 30. A metà mese la svolta: prima un
intervento del cardinale Bagnasco, presidente della Cei, poi un
titolone in prima pagina sul quotidiano, infine il pronunciamento di
diverse Conferenze episcopali regionali. Domenica 17, al termine
della sua omelia nel duomo di Perugia, il cardinale Bassetti ha letto
un documento della Conferenza episcopale umbra che impegna le
strutture ecclesiali della regione ad una massiccia partecipazione al
raduno romano. La “palude” dei ruiniani, i vescovi che fecero
carriera al tempo di “don Camillo”, ha dunque scelto il “sussulto
di dignità” e, portando “due milioni di cattolici a Roma”,
pretende di moderare le frenesie riformatrici e di sottrarre il papa
all'influenza dei progressisti. Galantino – dicono - non è
Bergoglio; e viceversa. Il carattere che assumeranno il Giubileo e lo
stesso papato di Francesco dipendono molto dal maggiore o minore
successo della marcia su Roma, dal messaggio che essa lancerà, dalla
tenuta del papa gesuita.
Intanto
mentre Galantino senza enfasi mantiene le proprie convinzioni, Paglia
- dato il suo esercitatissimo senso dell'opportunità – tace.
Pop
Intanto
fa discutere in rete la performance
in
cui si è prodotto nella Chiesa di Santa Rita a Spoleto il cardinale
Angelo Comastri, invitato dal vescovo Boccardo quale predicatore in
preparazione della festa di San Ponziano. Di Comastri, arciprete
della Basilica di San Pietro in Vaticano, presidente della Fabbrica
di San Pietro, vicario generale del papa per la Città del Vaticano e
per le Ville Pontificie di Castel Gandolfo, sono noti, fin dal tempo
di Benedetto XVI, gli scontri con il potente collega Tarcisio
Bertone, già Segretario di Stato. Dai “bertoniani” Comastri fu
prima accusato di sperperi nella Fabbrica di San Pietro, poi di
essere l'ispiratore del cosiddetto “Arcangelo Gabriele”, il
maggiordomo spione nel primo Vatileaks;
ma gli attacchi sono miserevolmente falliti: mentre Bertone è ormai
fuori gioco per le rivelazioni sul suo appartamento, Comastri
conserva tutti gli incarichi, incluso quello di membro della
Congregazione per le cause dei santi, colpita da sospetti di
corruzione.
A Spoleto, secondo il cronista di “Tuttoggi”,
Comastri non si sarebbe limitato alla monelleria di gridare “Non
siate ruderi!” a un pubblico di fedeli avanti negli anni, ma così
avrebbe tuonato: “Oggi i modelli non sono più i Santi, ma le
persone di successo, spesso vuote, frivole e corrotte”. Ne avrebbe
indicato l'esempio più tipico nella cantante pop Ciccone detta
Madonna, rappresentata come mostro dell'erotismo e del satanismo:
“Facendosi chiamare così offende il Nome Santissimo della Madre
del Signore, la donna più bella e più limpida che sia mai apparsa
sulla faccia della terra... Questi purtroppo sono i modelli ai quali
i giovani si ispirano…faranno il nostro futuro? Possiamo stare
tranquilli?”.
La
posizione sembra speculare rispetto a quella del cardinale Ravasi,
che è una specie di ministro vaticano della cultura e finanzia e
ispira il “Cortile dei Gentili” di Assisi, ribattezzato
quest'anno “Cortile di Francesco”, una operazione egemonica
soprattutto nei confronti della cultura di sinistra. Nella sua
rubrica sul domenicale
del “Sole 24 Ore”, Ravasi legge da cattolico, fin quasi ad
appropriarsene, la cultura laica, né si rivolge solo a figure della
“cultura alta”, ma non esita a frequentare la cultura di massa e,
in particolare, la musica popolare. Qualche giorno fa ha “twittato”
una frase “cattolica” di David Bowie appena defunto, artista
forse più geniale della Ciccone, ma di lei non meno trasgressivo.
I
libri del papa
In
un articolo dal titolo Il
papa grafomane così
scriveva a fine novembre Antonio Sgobba su “Pagina 99”: “Ogni
tre giorni viene pubblicato un libro di papa Francesco. Non è
un’iperbole, è una media aritmetica. Dall’inizio del pontificato
alla fine del 2015 (in totale 1.023 giorni), saranno stati pubblicati
340 libri il cui autore è il pontefice: uno ogni 72 ore... Dal primo
gennaio al 31 dicembre i volumi firmati in prima persona da Jorge
Bergoglio quest’anno (2015, ndr) saranno 136: uno ogni 64 ore.
Senza calcolare l’indotto. Vale a dire, i libri su papa Francesco:
53 solo nel 2015... Nel 2016, anno giubilare, sarà difficile che il
ritmo rallenti. Per esempio, è già possibile preordinare un volume
che sarà in libreria dal 12 gennaio: Il
nome di Dio è Misericordia.
Uscirà in contemporanea in 84 Paesi, la pubblicazione coinvolge 17
editori. Il comunicato stampa lo presenta come «il primo libro del
papa». E gli altri 339? Nel testo si specifica: «il primo libro
intervista». Infatti in copertina sotto il titolo, in un carattere
più piccolo, si legge anche: «una conversazione con Andrea
Tornielli», il vaticanista de “La Stampa”. La casa editrice
precisa infatti che, a differenza di altri libri che raccolgono
interviste già pubblicate, questa intervista è stata realizzata in
esclusiva per il libro”.
Al
centro delle iniziative per il Giubileo della Misericordia, in questo
gennaio, c'è stata proprio la promozione del libro-intervista, in
Italia edito da Piemme. La presentazione ufficiale è stata affidata
a un cardinale italiano (Parolin), a un cardinale cinese e a Roberto
Benigni, che, lontano dal tempo dello splendido Piccolo
Diavolo, sembra
essersi messo in linea con tutti i poteri forti.
Sui contenuti del libro-colloquio, gli stessi del
Giubileo, ci toccherà tornare, fin dal prossimo mese. Qui giova
sottolineare la forma comunicativa semplice e affabile, alla portata
di tutti. Sulla scelta dello “stile umile” circola in rete
qualche polemica, promossa soprattutto dai nostalgici dell'altro
Giubileo, quello di Wojtila che tendeva gli occhi verso il mistero e
si inoltrava nella profezia. Si ricorderà che, in mezzo
all'ammirazione degli “atei devoti” come Giuliano Ferrara ed
Ernesto Galli della Loggia, il papa polacco scelse come evento chiave
di quel Giubileo la rivelazione del Terzo Mistero di Fatima. I
contenuti del messaggio profetico delusero un po', ma la religiosità
mitopoietica trovò ampio modo di estrinsecarsi nell'interpretazione.
In Bergoglio invece non c'è alcun volo profetico, ma
una riduzione a “senso comune” di una mistica della misericordia
e del reciproco “perdono”, che parte dalla costatazione che “solo
chi cade può risorgere”, una sorta di banalità del bene che è la
cifra stilistica più tipica, il genio di questo pontefice, fin da
quando si presentò al mondo pagando il conto in albergo, salutando
“buona sera” e affermando la santità del chiedere “scusa” e
del rendere “grazie”.
I
vescovi e la presidente
Una
banalità senza genio sembra invece esprimersi nell'articolo Un
Giubileo che “sa” di Umbria
a firma della presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini,
pubblicato su “La Voce” del 15 gennaio a corredo della notizia
sul “protocollo d'intesa” tra i vescovi dell'Umbria e il governo
regionale sull'Anno santo. Si comincia con la “banalità
storiografica” per cui l'Umbria sarebbe “particolarmente
coinvolta nel Giubileo in quanto proprio qui a Perugia, 800 anni fa
papa Onorio III emise la 'bolla pontificia' per il Perdono di
Assisi”; si prosegue con “banalità burocratiche” come questa:
“Siamo infatti consapevoli dell'esistenza di forti elementi di
coerenza e profondi legami tra gli obiettivi e le azioni della
regione Umbria e della Conferenza episcopale umbra, tali da rendere
opportuna e necessaria l'identificazione di comuni e articolate forme
di collaborazione ecc.”.
È utile e perfino inevitabile che in una regione come
l'Umbria, con santuari e memorie religiose importanti e con una
prevedibile intensificazione del transito di “pellegrini”, ci si
metta d'accordo tra istituzioni civili e religiose per organizzare
meglio eventi e presenze, ma non c'è nessun obbligo di commentare le
intese, se non si ha nulla d'importante da comunicare.
“micropolis”,
27 gennaio 2016
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