"Famiglie! vi
odio!". Il grido di Andrè Gide, scagliato da Les
Nourritures terrestres nel 1897, non coglie certo di
sorpresa il lettore d'ogni tempo, avvezzo a imbattersi nelle peggiori
invettive contro l'istituto familiare. I proverbi popolari hanno
ricamato fitte ghirlande di consigli e d' insulti nei confronti di
quei "parenti serpenti" che persino Jacopone da Todi
("Guàrdate da li parente") e l'evangelista Matteo
("Nemici dell' uomo saranno i suoi familiari") insegnano a
temere.
Se poi si sconfina sul
terreno degli studi specializzati, da Freud alla Scuola di
Francoforte, da Wilhelm Reich ("Quella fabbrica di mentalità
autoritarie che è la famiglia") alla nuova psichiatria
anglosassone, la cosiddetta "forma famiglia" è passata al
fuoco di critiche roventi.
E che cos'è la
letturatura mondiale se non una immensa critica della ragion
familiare? Non racconta forse, in gran parte, fatti e misfatti di
quel primario nucleo della società che è appunto la famiglia con le
sue propaggini parentali di vario grado e le sue annessioni quasi
parentali, come la servitù? Seguiamo sulla scacchiera dei secoli,
quasi fosse un gioco, le circostanze più diverse, i costumi
eccentrici o severi, l'immobilità o i mutamenti di personaggi-tipo
(Ulisse e la sua famiglia, per esempio, di quanti "ritorni del
reduce a casa" sono stati il modello, magari senza che lo
scrittore si rendesse conto della ripetizione nella differenza?).
Fra i "cadaveri
nell'armadio" che costellano la narrativa a sfondo familiare,
uno dei più gravidi di conseguenze (se non altro estetiche: quanta
cattiva letteratura in suo nome!) è l'amore proibito. Anche se
l'ottimismo del narratore corona una vicenda con il lieto fine, gli
strascichi della proibizione lasciano sempre il segno. Naturalmente
più forte è il tabù infranto e maggiore difficoltà ha lo
scrittore a ricomporre l'equilibrio parentale. È quel che accade con
l'incesto, tema e problema a cui Lorenzo Greco ha dedicato un saggio
dal titolo Dubbiosi disiri. Famiglia ed amori proibiti nella
narrativa italiana fra ' 800 e ' 900 (Giardini, pagg. 222, lire
20.000).
L'incesto al centro di
questa ricerca non riguarda le relazioni platonicamente amorose o
compiutamente sessuali che si stabiliscono tra fratello e sorella,
padre e figlia, madre e figlio e così via, vale a dire nella cerchia
dei parenti stretti, legati da un vincolo di sangue, ma i rapporti
tra affini, cioè figliastro-matrigna, figliastra-patrigno,
cognato-cognata, suocera-genero, cugino-cugina e via seguitando. Si
tratta dunque di un incesto blando, di uno pseudo-incesto depurato
della sua carica più eversiva, al limite della riconoscibilità
verbale e fattuale (nel Garofano rosso di Elio Vittorini i
protagonisti dell'attrazione amorosa sono una ragazza e due ragazzi,
amici fra loro).
Ma per quale motivo certi
scrittori si sentono stimolati a raccontare fenomeni incestuosi?
Oltre a ragioni di sensibilità personale, l'impulso può venire dal
bisogno di indagare, con gli strumenti propri della letteratura, sui
caratteri di una cultura e di una società, essendo la famiglia un
cardine ineludibile di entrambe e l'incesto uno dei canoni più
trasgressivi. Sembra il ritratto antropologico della narrativa di
Alberto Moravia, e in effetti lo è: Greco esplora l'itinerario
moraviano da Gli indifferenti a La vita interiore
rimarcando le occasioni (e altre ancora, pur importanti come
Agostino, è costretto a tralasciarle) in cui l' evento
incestuoso si manifesta non fra consanguinei, ma tra affini di primo
grado e tra sostituti assai prossimi dei ruoli familiari capitali,
"una vera e propria mappa delle meno evidenti proibizioni
sessuali che vigono nel nostro sistema parentale". L'idea
eccessiva della famiglia, alimentata dalla famiglia medesima,
"determina la disunione di elementi normalmente legati" ha
detto Claude Lèvi-Strauss, e spinge Moravia a rappresentare la
dissoluzione dell'istituto familiare mediante l'incesto, un cancro
che ne corrode le cellule e favorisce ulteriori disturbi. Moravia
infatti rende visibili i guasti provocati da quel genere di coesione
patologica denominata "amoral familism" che pone l'
idea di famiglia sopra ogni cosa e ne fa un feticcio totalitario, il
dio di una tribù dalle radici "mafiose" più che
"familiari" (non a caso grandi organizzazioni criminali -
mafia, camorra, ' ndrangheta - usano metafore familistiche nel loro
gergo). A proposito della forma che il fenomeno incestuoso assume
nella narrativa moraviana, Lorenzo Greco individua una "sorprendente
frequenza" di relazioni triangolari. Nulla di nuovo, ma questa
frequenza è la spia dell' attenzione di Moravia per la società. Se
l'amore proibito fosse raccontato soltanto sulla base di un chiuso
rapporto di coppia, l'incesto rimarrebbe una questione isolata dal
quadro circostante, prevalendo magari i suoi connotati esclusivamente
psicologici. L'altro lato del triangolo amoroso, "un terzo polo
di tensione", come del resto accade in molti "miti classici
d'incesto", accelera invece la drammaticità del tabù violato,
del legame proibito, e investe "tutta la sfera delle
implicazioni sociali". Osservazione intelligente, ma l'avrei
vista volentieri integrata dalle tesi di Renè Girard sul "desiderio
triangolare" che coinvolge personaggio, oggetto desiderato e
mediatore nella letteratura e nella vita (Menzogna romantica e
verità romanzesca, Bompiani 1981, e, con l'arbitrario titolo
Struttura e personaggi del romanzo moderno, 1965).
Alle prese con l'incesto,
il "realismo logico" di Moravia non perde la testa e si
tiene saldamente ancorato al mondo vigente: che è quello che è. Lo
scrittore denuda impietosamente ipocrisie, perversioni, inganni che
covano e a volte esplodono in quel nido di vipere che è la famiglia.
Ma l'incesto non vincerà: la Natura non sconfigge la Cultura,
l'Istinto non prevale sulla Ragione. E le regole che assicurano la
durata dell'istituzione familiare, sia pure degradate, continuano a
mantenere, nelle storie moraviane, una loro funzionale solidità.
Di un altro narratore,
Grazia Deledda, il tema dell' incesto rivela aspetti che illuminano
meglio il suo universo letterario un po' remoto. L' amore fra cugini,
per esempio, è una costante dall' esito "decisamente negativo,
quando non addirittura drammatico e catastrofico". Romanzi,
racconti, opere teatrali, inscenano una casistica dove i rapporti di
vicinanza e di lontananza fra i cugini sono analizzati da Greco sulla
scorta di categorie spaziali, psicologiche, culturali. La società
diffida di questa figura parentale, tanto che la Deledda colloca i
cugini in una zona imprecisa fra i parenti stretti e gli estranei,
lasciandone così risaltare l'ambiguità. I cognati non presentano
caratteristiche altrettanto originali negli eventi incestuosi
raccontati dalla Deledda. Eppure il loro rilievo spicca a tutto
tondo, e con varianti non trascurabili, in Elias Portolu, da
molti reputato il capolavoro del Nobel di Nuoro, romanzo che
fotografa nitidamente le contraddizioni dell'incesto derivanti
soprattutto dalla nascita di un "figlio della colpa". Gli
interessi economici scatenati nel romanzo Le colpe altrui
mirano ad assicurarsi parti cospicue del patrimonio familiare dopo
che il tabù dell'amore proibito è stato infranto. Una triplice
relazione di una donna (marito e due amanti) qualifica la
protagonista del racconto Libeccio come "lupa" o
"cagna", ma questa abnorme lievitazione erotica e affettiva
infonde al racconto medesimo "una suggestiva eccezionalità"
assai vicina alle strutture narrative della fiaba.
Ma è possibile che
l'incesto, sia pure nelle forme secondarie e quindi meno offensive,
avvenga - almeno nella letteratura - sempre in chiave drammatica,
luttuosa, problematica, tormentata? Niente affatto, benché siano
questi i toni dominanti. Il comico dunque esige la sua parte, e la
ottiene grazie alla fantasia romanzesca e al brio linguistico di
taluni scrittori. Ecco la suocera, un personaggio sul quale si sono
appuntati, nei secoli, strali e salacità. Verga (La lupa) e
Moravia (La fossetta) ne raccontano (come tanti altri) vicende
incestuose tragiche (il primo) e malinconiche (il secondo). Ma
apriamo le pagine di un "mimo siciliano", Il riesano:
Francesco Lanza narra un incontro sessuale suocera-genero
perfettamente riuscito, con soddisfazione di lei e della figlia
appena sposata. Il trucco del giovanotto per godersi l'ancora
piacentissima madre della moglie è di una boccaccesca furbizia; e al
divertimento della storia Greco aggiunge un suo delizioso puntiglio
"burocritico" compitando le assurdità anagrafiche
suscitate dall'eventuale figlio di una coppia suocera-genero. Uno
stato civile impazzito, un puzzle inestricabile...
Non da meno del Lanza è
Poggio Bracciolini; nelle Facezie racconta di un giovane
sorpreso dal padre mentre copula con la matrigna. Grazie a una pronta
battuta l'intraprendente figliastro della donna si salva dai guai:
"tu sei andato a letto migliaia di volte con mia madre",
dice al padre, "e ora fai tante storie perché io ci vado una
volta con tua moglie". Insomma, nel tragico o nel comico,
l'incesto, quale che sia il suo livello di gravità, confonde i
ruoli, provoca nel nucleo familiare situazioni di perdita d'identità.
E al critico letterario dotato di sguardo antropologico svela una
volta di più che la letteratura è uno straordinario mezzo di
conoscenza della struttura culturale. Non è forse vero che il tabù
affabulato dallo scrittore si risolve poi, nel testo medesimo,
persino nel piacere dell' incesto?
“la Repubblica”, 14
giugno 1984
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