Mario Calabresi, il nuovo direttore di "Repubblica" |
Nell'editoriale de “La
Repubblica” del 16 gennaio, il nuovo direttore, Mario Calabresi ha
scritto a proposito della contemporaneità che “la nostra società,
senza aspettare la politica e dividendosi più sull’asse
conservatorismo e innovazione che su quello destra-sinistra, ha
aggiornato la sua agenda”. Subito dopo ha rivendicato “una
mentalità illuminista”, cioè la razionalità che ci può spiegare
scientificamente la realtà, rivendicando con ciò la lezione a
sostegno dell'Illuminismo del fondatore del giornale, Eugenio
Scalfari. Così ha preso parte nell'attuale dibattito
teorico-politico, anche se “Il fatto quotidiano”, commentando
l'editoriale, con cui il precedente direttore de La Repubblica, Ezio
Mauro, si accomiatava dai lettori, sostiene che la battaglia per cui
quel giornale è nato, cioè contribuire alla costruzione di una
democrazia moderna e compiuta, è finita con una sconfitta.
Calabresi si schiera per
un giornalismo che si batte per l'indipendenza dell'informazione,
così come “Il fatto quotidiano”, in qualche modo adombrando una
sorta di neutralità super partes, cosa che non può essere
mai in questa come in altre attività umane perché la ricerca della
verità è per sua natura conflittuale come la realtà stessa.
Calabresi stesso nel dichiarare superata la distinzione
destra/sinistra ha preso pesantemente parte, trascurando che tale
distinzione nasce sugli scranni dell’assemblea nazionale
costituente del 1789 durante la rivoluzione francese, scoppiata sotto
l'egida proprio dell'Illuminismo. Ciò vuol dire che finché
continueremo ad essere nell’epoca moderna la distinzione tra destra
e sinistra continuerà ad essere attuale nel moderno conflitto tra
capitale (le cui ragioni si identificano con la destra politica e
culturale) e lavoro (le cui ragioni dovrebbero essere quelle della
sinistra). Storicamente, con tutte le convulsioni e le inevitabili
contraddizioni della storia contemporanea, la conservazione ha
coinciso con la destra e l'innovazione con la sinistra, anche se nel
progressivo slittamento della sinistra tradizionale verso il centro
il confine può apparire talvolta incerto. E questo discrimine
dovrebbe servire oggi anche per individuare chi è di destra o di
sinistra o sta nella palude del centro.
L'uso della parola
"innovazione" fa riferimento implicito all’ideologia
tecnico-scientifica (e al suo linguaggio) e vuol far passare ancora
la pretesa "neutralità", di cui sopra. È una parola che
esalta come uscita dalla crisi economica e sociale le imprese e in
particolare le start up e vuole la flessibilità della forza
lavoro, cioè la ripresa dello sviluppo economico a spese del lavoro
senza fare i conti con i limiti ecologici della logica dello sviluppo
continuo. Non vi è dubbio che il capitale con la terza rivoluzione
industriale, quella delle macchine elettroniche, ha innovato e ha
sconfitto le ragioni del lavoro a cominciare dagli anni
Settanta-Ottanta del Novecento. Questa stessa innovazione ha prodotto
il capitalismo “supersonico”, espellendo dalla produzione oltre
un terzo della forza lavoro, ma ha determinato anche l’attuale
crisi economica, che dura da quasi un decennio, con il diluvio delle
merci e la riduzione del potere d’acquisto del salario. I mutui
subprime, che hanno scatenato la crisi finanziaria e poi
economica, sono un esempio di questa “innovazione” in ambito
finanziario: mutui per tutti, anche per coloro che non potevano
permettersi di pagarli.
Siamo rimasti nella
produzione industriale, fondata sulle macchine, e quindi siamo nel
moderno, ma quelle macchine da una parte rinnovano il dominio del
capitale, dell'uomo sull'uomo, di cui sfruttano più intensivamente
le qualità intellettuali rispetto a quelle muscolari che sfruttavano
le precedenti macchine elettro-meccaniche. Dall'altra ripropongono
l'obbiettivo della liberazione del lavoro, che è uno dei possibili
sbocchi dell'automazione, la quale potrebbe delegare il grosso del
lavoro produttivo alle macchine. Al momento la produzione attraverso
gli apparati elettronici individualizza ancora di più il lavoro,
almeno nell’occidente “avanzato”, rendendolo sempre più
precario e proletarizzando il lavoro intellettuale di chi siede in
questo momento davanti ai computer. L’affiancamento della
produzione sempre più individuale al consumo tradizionalmente
individualizzato frantuma profondamente i legami interpersonali,
familiari e sociali, determinando quella liquefazione sociale
illustrata recentemente dalla sociologia. Una sinistra davvero nuova
dovrebbe porsi questo problema prima di ogni altro: come unificare
questa massa di individui, che alla fine hanno interessi materiali
simili?
Dal sito “La
Letteratura e noi”, 29 gennaio 2016
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