Le mafie straniere hanno
“abbandonato il ruolo di manovalanza subordinata” per diventare,
in accordo con quelle italiane, delle consorterie a sé stanti.
Questa, (molto) in breve, è l’analisi racchiusa nella Relazione
della Dia riguardo l’azione delle criminalità organizzate estere.
Strutture sempre più organizzate, secondo gli inquirenti, con i
piedi (e talora le menti) ben saldi nei paesi d’origine ma anche
capaci di organizzarsi in Italia, stringendo accordi in nome
dell’affare.
Albania. Paese
mediterraneo, l’Albania, con alle spalle l’Oriente e di fronte,
al di là dell’Adriatico, le coste pugliesi. Ed è proprio via
mare, che in Puglia sono arrivati e continuano ad arrivare i carichi
di droga. Le consorterie albanesi – si legge nella Relazione – si
sono tramutate “da organizzazioni elementari ad altre ramificate
sul territorio, con forte legame con la terra d’origine”. Una
mala, quella albanese, ben dotata di armi e che si contraddistingue
per la “marcata inclinazione verso metodiche violente e
intimidazione nella risoluzione di situazioni conflittuali”.
Attività primarie sono il traffico internazionale e lo spaccio di
sostanze stupefacenti, con specifica su marijuana ed eroina. In
questo senso, la saldatura collaborativa con le mafie autoctone è
pressoché totale. A giugno 2015, con l’operazione Vrima, la Dia di
Bari scoprì nel capoluogo pugliese un organizzatissimo laboratorio
specializzato nella raffineria e nel confezionamento dell’eroina.
Romania.
Sfruttamento della prostituzione (anche minorile) e di
manodopera, traffico di droga e frodi informatiche. La criminalità
organizzata rumena ha tratti familistici, che la rendono molto
simile, strutturalmente, a quella albanese. In crescita in tutto il
Paese.
Nord Africa.
Marocco, Tunisia e Algeria: sono questi i tre Stati citati nella
Relazione della Dia. In realtà, non esistono “ancora” vere e
proprie “associazioni strutturate”, quanto piuttosto dei gruppi
liquidi coinvolti in attività illecite di varia natura. Gli
inquirenti focalizzano l’attenzione soprattutto sulla tratta di
esseri umani, sul controllo dell’immigrazione clandestina (il
controllo dei viaggi dei barconi e l’arruolamento degli scafisti
sono nelle loro mani) e sullo sfruttamento della prostituzione. Passi
in avanti anche per quel che concerne il controllo delle piazze della
droga, specie nel centronord.
Nigeria e Africa
centrale. Forte, ricca e spietata. La mafia nigeriana detiene
nelle proprie mani una buona fetta del controllo delle attività di
prostituzione su strada del nostro Paese. Non è una novità, quanto
piuttosto la conferma di un fenomeno evidente che si coniuga con
un’evoluzione evidente per quel che riguarda il traffico
internazionale di stupefacenti. Evoluzione che la Dia legge alla luce
di una “spiccata vocazione internazionale” che deriva dai
rapporti che hanno in Asia, America ed Europa. In Italia, in
particolare, “la saldatura (con le organizzazioni autoctone, ndR) è
funzionale soprattutto alla realizzazione di traffici di sostanze
stupefacenti che dalle aree di produzione (Sud America e Sud Est
asiatico), attraverso una fitta rete di articolazioni, vengono
dirottate verso la penisola”. In quest’ottica, le mafie
centroafricane hanno stretto “”una vera e propria alleanza con i
casalesi”. Con tanto di affari reciproci.
Sud America.
La coca, il grande business delle comunità mafiose latinoamericane,
per un traffico internazionale che segue oggi due rotte: quella
atlantica (via mare che parte dal Venezuela o dal Brasile) e quella
Santo Domingo-Amsterdam (aerea). La criminalità sudamericana, che ha
legami tanto con le mafie autoctone quanto con quelle nigeriana e
albanese, sta lanciandosi, nelle aree di Genova e Milano, anche nelle
attività usuraie.
Cina. Una
mafia a tutto tondo, quella cinese. Potente e influente. Aperta ma
con riserva verso l’esterno, si contraddistingue per le sue
“molteplici manifestazioni criminali”. Florido il mercato del
contrabbando o della contraffazione, con pellami e vestiari che
giocano la parte del leone, generando un circuito di denaro
impressionante. Funziona prevalentemente così: la merce viene, a
basso o bassissimo costo, realizzata in stabilimenti clandestini del
Sud Est Asiatico e da qui importati in Italia per rifornire quello
che può considerarsi un vero e proprio mercato parallelo.
Ma grandi ricavi li
genera anche il trinomio falsificazione di documenti-immigrazione
clandestina-sfruttamento. I cinesi giungono in Italia spesso con
documenti falsi o di altri componenti della comunità per alimentare
il grande mercato della manodopera, anche di “meretricio”.
Giovani donne, controllate dalla struttura criminale cinese,
esercitano in casa o in luoghi chiusi. Una volta affrancate, a loro
volta entrano nel mercato, gestendo appartamenti o locali (mascherati
da attività lecite, come i centri massaggi) e procacciando altre
ragazze, per un sistema pressoché infinito.
La criminalità cinese si
sta specializzando, col tempo, anche nel riciclaggio (tramite
acquisto di immobili, attività commerciali e aziende), nel gioco
d’azzardo (le nuove leve criminali gestiscono molte bische
clandestine), nell’usura ai danni di connazionali e nello spaccio
di sostanze stupefacenti (in primis shaboo e ketamina).
Narcomafie, 4 Feb 2016
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