Moschea a Dushanbe,
capitale del Tagikistan, nel primo giorno di Ramadan (luglio 2017)
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Negli
ultimi mesi del 1991, mentre l’Unione Sovietica si sta
definitivamente sgretolando e da ovest a est repubbliche e territori
si autoproclamano indipendenti in una reazione a catena alla Dieci
Piccoli Indiani, il “settimanale di resistenza umana” Cuore
pubblica una buffa guida illustrata all’ex impero di Mosca con
schede e vignette fulminanti, che mescolano nazioni appena nate a
Paesi inventati: accanto alla Bielorussia (“Capitale: Bielomosca;
Moneta: Bielorublo”), all’Ossezia del Sud e alla Gagauzia (sì;
in qualche modo esistono entrambe), compaiono paesi da romanzo
fantasy (“Ignazia”) che nell’assurdità del caos postsovietico
potrebbero persino risultare verosimili.
Venticinque
anni dopo, nelle ore successive all’attentato al Reina di Istanbul,
si scatena la caccia a un sospetto centrasiatico; anzi, no, uiguro;
anzi no, kirghiso; anzi, no, uzbeko; e lo sterminato territorio che
si snoda appena a oriente di Istanbul fino alla Cina sembra ancora
quello descritto dai redattori di Cuore: un gigantesco punto
interrogativo nelle nostre mappe mentali, Terra Incognita, un Hic
Sunt Leones dove, chissà, potrebbe persino esistere un’Ignazia
popolata dagli Ignazi. Ma dietro i buffi nomi di nazioni in apparenza
indistinguibili, l’Asia Centrale nasconde molto altro: dinastie e
parentele in lotta tra loro con intrighi degni dei Borgia, enormi
ricchezze, e soprattutto uno scontro tra dittature laiche e
oppositori sempre più radicalizzati che sta fornendo all’Isis un
serbatoio di guerriglieri che sembra inesauribile.
Una
prima storia utile per capire il rapporto tra repubbliche
centrasiatiche, Turchia e radicalismo islamista è quella di Abdullah
Bukhari: 38 anni, cittadino uzbeko, questo imam vive dal 2002 a
Istanbul, dove ha fondato cinque madrase conquistandosi un folto
seguito tra la diaspora centrasiatica in Turchia. Bukhari è un
predicatore molto attento a destreggiarsi tra i gruppi radicali,
invoca il jihad contro Assad in Siria, Putin in Cecenia e soprattutto
contro il presidente uzbeko Islam Karimov, e si muove su una linea
molto sottile tra sostegno e critica allo Stato Islamico. La mattina
del 10 dicembre 2014, mentre Bukhari sta camminando verso la sua
madrasa nella zona europea di Istanbul, un uomo gli si avvicina alle
spalle, estrae una pistola dotata di silenziatore e lo uccide
piantandogli un proiettile calibro 9 alla schiena. Secondo la polizia
i responsabili dell’esecuzione sono tre uzbeki e un russo-ceceno: i
quattro agivano agli ordini di “Misha”, un agente dell’Snb, i
servizi segreti uzbeki, nipoti del Kgb dei tempi della Guerra Fredda.
Con
22 milioni di abitanti, l’Uzbekistan è la nazione più popolosa
della zona, governata dal 1991 senza interruzioni da Islam Karimov,
ex funzionario del Partito comunista sovietico che ha represso le
opposizioni laiche e religiose con la crudeltà di un despota delle
Mille e una Notte. La valle di Fergana, a cavallo tra
Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, è infestata da gruppi
filotalebani fin dalla fine degli anni ’90, e nel clima post-11
Settembre Karimov si accredita come un importante interlocutore nella
War on Terror: per le incursioni aeree in Afghanistan gli
americani si appoggiano alla base uzbeka K2 e Karimov diventa il
punto di riferimento per le extraordinary renditions della Cia in
Centro Asia, bollando ogni dissidente come terrorista islamico. La
caccia di Karimov agli estremisti immaginari genera un movimento
estremista reale, l’Imu (Islamic Movement of Uzbekistan), i cui
militanti combattono a fianco dei Talebani, si diffondono ovunque
nella zona reclutando altri centrasiatici, e nel 2015 giurano fedeltà
all’Isis. Nel frattempo, il satrapo uzbeko ha un ritorno di fiamma
con Vladimir Putin e nel 2005 scaccia gli americani dalle sue basi
militari, non prima di aver ucciso almeno 600 civili che protestavano
per il rincaro dei prezzi nella piazza di Andijian, nel sud del
Paese, in quello che costituisce uno dei massacri più sanguinosi
degli ultimi anni a livello planetario. Nel settembre scorso Islam
Karimov muore all’età di 78 anni, lasciando sul trono uzbeko
l’enigmatico ex primo ministro Mirziyoyev.
Ancora
Istanbul, qualche mese dopo l’omicidio Bukhari: Umarali Kuvatov è
un imprenditore tagico che deve la sua fortuna a una società di
fornitura di carburante alle truppe Nato in guerra in Afghanistan,
costituita con il genero del presidente del Tajikistan Emomali
Rakhmon agli inizi degli anni Duemila. Nel 2011 i rapporti tra
Kuvatov e il governo tagico precipitano, l’imprenditore fonda il
movimento di opposizione Gruppo24, fugge prima a Mosca, poi negli
Emirati e infine in Turchia. La notte del 5 marzo 2015, di ritorno da
una cena con la famiglia in casa di altri esuli, un sicario lo fredda
con un colpo di pistola alla testa. Le indagini si concentrano su
sicari legati al Tajikistan, ma i responsabili non saranno
identificati. Il Tajikistan è il simbolo di come in Asia Centrale i
confini assumano un significato molto più sfumato che altrove: circa
un quarto della popolazione afghana è tagica, altri tagichi si
trovano sparsi nelle altre repubbliche e circa 200 mila vivono
addirittura in Cina. I tagichi sono l’unico grande gruppo etnico
della zona di origine persiana, tanto che tra di loro si ritrova una
folta minoranza sciita, e sono contrapposti agli uzbeki da una
rivalità accesa: nel 1924 Stalin traccia i confini delle repubbliche
centrasiatiche e assegna arbitrariamente agli uzbeki Bukhara e
Samarcanda, da sempre cuore della cultura tagica, un affronto mai
dimenticato.
Bukhari
e Kuvatov, l’imam e l’imprenditore, il religioso e il laico,
incarnano i due poli estremi dell’opposizione ai governi dell’Asia
Centrale e i loro omicidi seminano il terrore tra la diaspora
centrasiatica in Turchia, che solo a Istanbul conta almeno 140 mila
esuli. Ma secondo il documentario Murder in Istanbul, prodotto da Bbc
Arabic e trasmesso ai primi di gennaio, costituiscono solo la punta
dell’iceberg, perché negli ultimi anni sono 12 le vittime di
omicidi politici avvenuti nella metropoli turca, tutti riconducibili
alla galassia centrasiatica.
A
Istanbul vivono anche molti rifugiati kirghisi, una nazione spesso
bullizzata dal potente vicino uzbeko, che nel 2005 ha lanciato
diverse incursioni nel suo territorio per catturare i fuggitivi
scampati al massacro di Andijian, e si è stabilita anche una vasta
comunità turkmena, il Paese più chiuso di tutta l’area. Inoltre,
sempre Istanbul ospita centinaia di esuli uiguri, tra i primi
sospettati nelle ore successive alla strage di Capodanno: si tratta
di una minoranza cinese turcofona e musulmana che il Partito
comunista cerca di assimilare alle usanze di Pechino da oltre
settant’anni. Queste politiche, secondo molto osservatori
internazionali attuate in violazione dei diritti umani, hanno
condotto consistenti gruppi di uiguri alla radicalizzazione e al
reclutamento in vari gruppi terroristici internazionali. La rotta
centrasiatica, attraverso la quale vanno a combattere in Siria,
risulta compromessa a causa di un aumento dei controlli e negli
ultimi anni molti di loro avrebbero raggiunto il Medio Oriente
attraverso il Sudest asiatico: «All’inizio del 2014, dodici uiguri
hanno raggiunto l’Indonesia per incontrarsi con il gruppo
terroristico Mit, Mujahidin Indonesia Timur», racconta a pagina99
Sidney Jones, direttrice dell’Institute for Policy Analysis of
Conflict di Jakarta, «e dopo la cattura uno di loro ha raccontato
che il Tip, Turkestan Islamic Party, sta inviando militanti nel
Sudest asiatico, dove possono addestrarsi e andare a combattere
altrove o tornare in Cina a compiere attentati, ma non sappiamo se
queste dichiarazioni siano genuine o se siano state estorte».
Secondo l’analista è impossibile stabilire con esattezza quanti
uiguri stiano combattendo in Siria, ma se alcune stime internazionali
fissano il numero dei militanti intorno al centinaio il professor Li
Lifan, docente dell’Accademia di Scienze Sociali di Shanghai e
vicedirettore del gruppo di ricerca sull’Asia Centrale, aderisce
alla posizione ufficiale cinese: «Secondo le ricerche pubblicate da
International Crisis Group alla fine del 2015 erano almeno duemila i
centrasiatici che combattevano in Medio Oriente. Tra loro, la
maggioranza sono uzbeki e tagichi, ma ci sono anche 300 kazachi, ad
esempio. Il punto è che molti militanti uiguri si sono nascosti in
questi gruppi provenienti dall’Asia Centrale e dalla Turchia
utilizzando documenti falsificati. Il governo cinese sta lavorando
con le nazioni Asean (Sudest asiatico) e Csto (un’alleanza militare
intergovernativa che comprende Russia e cinque Paesi dell’Asia
Centrale) per gestire la minaccia di questi militanti che, una volta
sconfitto lo Stato Islamico, potrebbero rientrare in Cina a
commettere attentati». Li Lifan sottolinea che la Turchia ha
ufficialmente confermato la sua volontà di entrare nella Sco
(Shanghai Cooperation Organisation), un blocco politico e militare
che riunisce Cina, Russia e tutti gli –Stan centrasiatici con
l’eccezione del Turkmenistan, e che a molti analisti occidentali
ricorda una versione aggiornata del Patto di Varsavia.
Come
ha evidenziato la giornalista esperta di Turchia Marta Ottaviani in
un recente articolo pubblicato sul sito “Formiche,” la politica
con la quale Erdogan cercava di estendere la sua influenza nelle
nazioni centrasiatiche aprendo agli esuli ha liberato molti geni che
riposavano imprigionati in una bottiglia, e alcuni di essi si stanno
rivelando demoni. Le contraddizioni dell’Asia Centrale sono
approdate a Istanbul e tutti i confini diventano sempre più
difficili da individuare, proprio come le differenze tra uzbeki,
kirghisi, tagichi e uiguri: il confine tra perseguitato politico e
militante islamista; il confine tra agenti operativi e assassini
prezzolati. Perfino il confine tra nemico del terrorismo e regime
autoritario sta sfumando in contorni sempre più indistinti.
Scheda: Uzbekistan
L’Uzbekistan è la
nazione più popolosa della zona e ha tentato a lungo di conquistare
l’egemonia sulle altre repubbliche ex sovietiche, ma la repressione
del diritto di culto attuata dal dittatore Islam Karimov, morto nel
settembre scorso, si sta rivelando un pericoloso boomerang: gli
uzbeki impegnati in attività jihadiste in Siria e in Afghanistan
sarebbero circa mille; tra loro, molti etnici uzbeki con passaporti
di altre nazioni. Il principale gruppo jihadista uzbeko si chiama Imu
(Islamic Movement of Uzbekistan), è nato nel 1998 per rovesciare
Karimov e – dopo varie incarnazioni al fianco di Al Qaeda e dei
Taliban – nel 2015 ha giurato fedeltà allo Stato Islamico, di cui
si presenta come sezione regionale. Nel 2002 l’Imu ha subito una
scissione con la nascita di Iju (Islamic Jihad Union), gruppo
terrorista che rimane affiliato ad Al Qaeda e ai Talebani, si
concentra quasi esclusivamente sull’Asia Centrale, ed è anche
alleato con il Tim (Turkistan Islamic Movement). Nel novembre 2015
oltre 160 persone sono state arrestate con l’accusa di terrorismo e
secondo diversi attivisti locali nelle prigioni uzbeke sono rinchiusi
12.800 presunti terroristi, di cui una percentuale rilevante è
costituita tuttavia da oppositori politici privi di legami diretti
con le organizzazioni radicali.
Scheda: Xinjiang
È un’immensa regione
della Cina che confina con Kirghizistan, Tajikistan, Kazakistan,
Afghanistan, Pakistan, Russia, Mongolia e India. La sua antica storia
risale indietro di secoli e secoli ai tempi delle sanguinose guerre
tra khanati, ed è stata brevemente indipendente nel 1933 e nel 1944
con il nome di Turkestan orientale. Il gruppo etnico principale è
costituito dagli uiguri, di lingua turcofona e religione musulmana,
ma dal 1949 Pechino ha attuato diverse politiche di incentivo al
trasferimento per gli etnici cinesi con l’obiettivo di
riequilibrare la composizione della popolazione. Lo Xinjiang è
soggetto a periodici scoppi di violenza, con attacchi degli uiguri
contro gli etnici cinesi. All’inizio degli anni Duemila l’Etim
(East Turkestan Islamic Movement), un gruppo di guerrieri uiguri ha
combattuto in Afghanistan al fianco di Al Qaeda, Imu e Talebani.
Etnici uiguri sono presenti in diverse repubbliche dell’Asia
Centrale, e gli uiguri hanno tradizionalmente un forte legame
culturale con la Turchia. Nel 2009 Etim ha cambiato nome in Tim
(Turkistan Islamic Movement), e dopo essere stato decimato si è
ricostituito con la sezione Turkistan Islamic Party in Syria, alleata
di Al Qaeda. Lo Stato Islamico compete con Tip e Al Qaeda per
reclutare militanti uiguri.
Scheda: Kirghizistan
Con 6 milioni di
abitanti, quattro cambi di presidente in circostanze traumatiche
nell’arco di 25 anni e forti tensioni etniche tra la maggioranza
kirghiza e la forte minoranza uzbeka (14% della popolazione), il
Kirghizistan è uno dei Paesi più piccoli e più instabili
dell’area. Secondo il ministero dell’Interno sono oltre 500 i
kirghizi che stanno combattendo in Siria e Iraq, e nel Paese sono in
corso 28 processi contro 44 foreign fighters rientrati in patria per
commettere attentati.
Scheda: Turkmenistan.
È la meno popolosa e la
più chiusa delle repubbliche centrasiatiche, e la sua popolazione è
diffusa in altre nazioni come Iran, Iraq, Siria e Turchia. Secondo
dati forniti da Icg (International Crises Group), i cittadini
turkmeni arruolati dallo Stato Islamico sono circa 400, ma gli etnici
turkmeni potrebbero essere di più.
Scheda: Kazakistan
Il Kazakistan è il paese
più ricco e più importante dell’area. Governato con pugno di
ferro dal presidente Nursultan Nazarbayev, il Kazakistan ha comunque
forti problemi con l’islamismo radicale: secondo il ministero
dell’Interno i cittadini kazachi a fianco dell’Isis sono circa
400 e almeno 15 sono rientrati in patria. Nel giugno scorso un
attentato nella città di Aktobe ha provocato la morte di 26 persone,
tra cui 18 terroristi, 3 militari e 5 civili. Le autorità kazache
attribuiscono l’attacco all’Isis, ma sono l’unica fonte di
informazione sulla vicenda.
Scheda: Tajikistan
Il presidente Emomali
Rahmon ha espresso la sua preoccupazione per i cittadini tagichi che
stanno combattendo con Isis, che sarebbero circa 1.300. 147 di loro
sono rientrati e 50 hanno ottenuto un’amnistia consegnandosi
spontaneamente alle autorità. Le preoccupazioni di Rahmon sono
fondate: nel settembre 2015 il comandante delle forze speciali
tagiche Colonnello Gulmurod Khalimov ha disertato e si è unito allo
Stato Islamico giurando fedeltà ad Al-Baghdadi. Dotato di un
eccellente addestramento, Khalimov è considerato uno dei leader
militari dell’Isis.
Pagina 99, 14 gennaio
2017
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