23.2.18

Pubblicità. L’abito della classe agiata (Paolo Landi)


Per capire la nuova pubblicità di Prada bisogna riprendere in mano La teoria della classe agiata di Thorstein Veblen (1899). Bisogna buttare uno sguardo ai ceti borghesi e aristocratici americani che quel sociologo di fine Ottocento descriveva come nessuno aveva mai fatto prima di allora. E basta sfogliare il libro in vari punti presi a caso per capire che quei ricchi di allora sono uguali ai ricchi di oggi. Veblen analizzava per esempio la presunta “vergogna di lavorare” che allignava in questi ceti: oggi non è cambiato nulla.
Gli aristocratici e i ricchi costretti a lavorare – affittando le loro ville per i matrimoni, riciclandosi nelle pubbliche relazioni oppure lavorando come banchieri o nella moda – dicono spesso (nelle interviste, nelle conversazioni), usando una frase fatta, che “si divertono”. Mentre per la gente comune il lavoro è fatica, per questi happy few è un divertimento, un esclusivismo snob riservato solo a loro che esorcizza l’onta di fare qualcosa per guadagnarsi da vivere.
Quando si lavora divertendosi, gli abiti che si indossano devono per forza essere cari ma soprattutto devono essere, direbbe Veblen, l’insegna dell’agiatezza. Devono infatti far vedere che chi li porta è capace di comprarsi abbigliamento e accessori costosi, svelando nello stesso tempo che egli consuma senza produrre o, se produce, lo fa divertendosi.
Chi ha il potere d’acquisto per comprarsi abiti e borse di Prada non ha evidentemente paura di sporcarli. Ecco perché ritroviamo la modella della campagna primavera/estate addormentata in spiaggia, vestita e accessoriata di tutto punto e anche perfettamente pettinata, mentre schiaccia un pisolino tra le dune.
Dovrà pur esserci una ragione se Bottega Veneta disperde le sue modelle vestite da sera nell’ambiente, preferibilmente boschi d’inverno; se Louis Vuitton le mostra cariche di valigie e borse griffate in pieno deserto, a tu per tu con una giraffa; se Marni le fa spenzolare dal davanzale di una finestra aperta come se stessero vomitando, con un abito da 3.000 euro indosso.
Thorstein Veblen le avrebbe catalogate tutte tra le donne che lavorano divertendosi, o tra quelle che non lavorano affatto «affidando al solo abito che portano la loro rappresentatività sociale». Queste campagne pubblicitarie sembrano avere lo scopo precipuo di far sognare; e non solo perché mostrano modelle addormentate. Tuttavia, al suo risveglio, con i granelli di sabbia nelle scarpe, la modella di Prada si domanderà: che ci faccio qui?

Pagina 99, 14 aprile 2017

Nessun commento:

statistiche