12.2.18

La Sicilia eterna. Da "Lighea" (Giuseppe Tomasi di Lampedusa)

Panoramica da Enna
[…] Mi professai non solo onorato ma lieto, come infatti ero. Superate ormai le questioni di nomi e di protocollo, si parlò della Sicilia. Lui erano venti anni che non ci metteva piede e l’ultima volta che era stato laggiù (cosi diceva, al modo piemontese) vi era rimasto soltanto cinque giorni, a Siracusa, per discutere con Paolo Orsi alcune quistioni circa l'alternarsi dei semi-cori nelle rappresentazioni classiche. “Ricordo che mi hanno voluto portare in macchina da Catania a Siracusa; ho accettato solo quando ho appreso che ad Augusta la strada passa lontano dal mare, mentre la ferrovia è sul litorale. Raccontami della nostra isola; è una bella terra benché popolata da somari. Gli Dei vi hanno soggiornato, forse negli Agosti inesauribili vi soggiornano ancora. Non parlarmi però di quei quattro templi recentissimi che avete, tanto non ne capisci niente, ne sono sicuro."
Cosi parlammo della Sicilia eterna, di quella delle cose di natura; del profumo di rosmarino sui Nebrodi, del gusto del miele di Melilli, dell’ondeggiare delle messi in una giornata ventosa di maggio come si vede da Enna, delle solitudini intorno a Siracusa, delle raffiche di profumo riversate, si dice, su Palermo dagli agrumeti durante certi tramonti di Giugno. Parlammo dell’incanto di certe notti estive in vista del golfo di Castellammare, quando le stelle si specchiano nel mare che dorme e lo spirito di chi è coricato riverso fra i lentischi si perde nel vortice del cielo mentre il corpo, teso e all’erta, teme l’avvicinarsi dei demoni.
Dopo un assenza quasi totale di cinquanta anni il Senatore conservava un ricordo singolarmente preciso di alcuni fatti minimi. "Il mare: il mare di Sicilia è il più colorito, il più romantico di quanti ne abbia visti; sarà la sola cosa che non riuscirete a guastare, fuori delle città, s’intende. Nelle trattorie a mare si servono ancora i ‘rizzi’ spinosi spaccati a metà?" Lo rassicurai aggiungendo però che pochi li mangiano adesso, per timore del tifo. "Eppure sono la più bella cosa che avete laggiù, quelle cartilagini sanguigne, quei simulacri di organi femminili, profumati di sale e di alghe. Che tifo e tifo! Saranno pericolosi come tutti i doni del mare che dà la morte insieme all’immortalità. A Siracusa li ho perentoriamente richiesti a Orsi. Che sapore, che aspetto divino! Il più bel ricordo dei miei ultimi cinquanta anni!"
Ero confuso ed affascinato; un uomo simile che si abbandonasse a metafore quasi oscene, che esibiva una golosità infantile per le, dopo tutto mediocri, delizie dei ricci di mare! [...]


Da Lighea in I racconti, Feltrinelli 1961

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