Pino Ferraris con il nipote Francesco |
Nelle prime ore di ieri
se ne è andato Pino Ferraris, un maestro della classe operaia.
Originario del biellese,
centro dell’industria tessile tradizionale, ha avuto il suo primo
ruolo pubblico di assoluto rilievo come segretario della federazione
torinese del Psiup (partito socialista di unità proletaria).
Ispiratore e sostenitore dei primi consigli di fabbrica alla Fiat,
ebbe una sorta di ostracismo dal fortissimo Pci locale e all’inizio
del 1970 arrivò a Roma, esiliato all’ufficio studi della Cgil, su
invito di Vittorio Foa.
Vittorio ha sempre
raccontato che Pino arrivava per primo in Confederazione e nelle
successive due ore inventava proposte, strategie, lotte sulle quali
l’ufficio lavorava a pieno ritmo per il resto della giornata. Nel
frattempo l’autore era in giro, a parlare, a imparare, a
organizzare. Autunno caldo, stragi come risposta, elezioni anticipate
come rimedio universale. È il 1972, il Psiup manca il quorum e così
“il manifesto”, il Psiup si smembra e una componente di sinistra
forma insieme a una componente di sinistra dell’Mpl (movimento
politico dei lavoratori, braccio elettorale delle Acli) il Pdup
(Partito di unità proletaria), Pino è tra i massimi dirigenti del
nuovo organismo che tempo due anni si fonde con “il manifesto”,
formando il Pdup per il comunismo,
Il primo congresso del
nuovo partito è anche l’ultimo, Alternativa o alternanza? Cosa è
meglio? Non è un problema nominalistico. Le alleanze per trasformare
il paese devono comprendere o meno la sinistra extraparlamentare? Ci
si deve allineare al Pci o cercare di cambiarlo? Intanto Luigi Pintor
si è dimesso da direttore del “manifesto” e per molti mesi lo
sostituisce una direzione collegiale con Pino, insieme a Vittorio
Foa, Luciana Castellina, Rossana Rossanda e chi scrive. Le elezioni
anticipate del 1976 vedono liste unitarie della sinistra – Pdup -
Avanguardia operaia con Lotta continua - con un risultato mediocre e
una lunga coda di risentimenti.
Pino è posto di fronte a
un’improbabile candidatura in Calabria; sa bene di non avere
prospettive, ma accetta la richiesta dei compagni. Qui finisce il
lavoro politico o meglio partitico di Pino Ferraris, Non ha più
partito, non ha sindacato, non ha lavoro e ha ormai più di
quarant’anni. Ha però alle spalle un bel po’ di esami
universitari e ha mantenuto l’iscrizione. Un fuori corso assai
sfigato, come si dice oggi. Ricomincia a studiare, tra manuali
inutili, per apprendere cognizioni stracotte, in breve si laurea e
già nel 1977, richiamato da Luigi Ferrajoli, arriva a Camerino dove
insegnerà per poco meno di trent’anni, in piena monotonia. Tra i
giuristi, gli scienziati della politica, i sociologi, i filosofi di
Camerino era arrivato finalmente un altro punto di vista, Pino era
quello che aveva studiato i fatti, gli operai e i padroni, le mondine
e le tessitrici per poi confrontarli con la teoria, L’università
non era una sinecura, ma un lavoro di studio, di insegnamento, di
passione soprattutto: un lavoro politico, se l’espressione ha
ancora un senso,
Era intelligente Pino,
nel senso che capiva e sapeva spiegare con chiarezza quello che aveva
capito; questo valeva tanto per il pensiero dei classici quanto per
la modernità. Ed era anche molto entusiasta. Gli raccontavi che eri
stato in discoteca e lui ti spiegava, senza esserci stato, perché
rumore, luci, abbigliamenti delle ragazze fossero come erano, come
non potessero essere diverse da così, insomma dava un senso a quello
che avevi visto. Oppure parlava di Parigi, amata nel 68, della sua
montagna, di Mosca dove aveva disimparato a bere, di certi luoghi di
Sardegna - le spiagge di Rosa, il Lungofiume, il Castello Malaspina -
raccontando meglio di un film, con passione, con parole che
significavano una vista più attenta, più accurata, più libera,
Non smetteva mai di
studiare. Diceva di farlo con fatica e in effetti aveva un tale
rispetto per il lavoro, anche intellettuale, degli altri che prima di
scrivere anche una sola frase di commento, aveva letto gli interi
testi di quell’autore e anche i testi che l’autore avesse
eventualmente studiato. Sembrava disordinato e aveva una scrittura
impossibile, ma teneva la sua merce, i libri, gli appunti, i ritagli,
l’archivio nell’ordine efficiente di un bravo piccolo negoziante.
Come la mamma. L’università intesa come ricerca e insegnamento non
gli bastava, temeva di inaridire il suo discorso, di non meritare più
il suo salario; anche per questo aveva cominciato negli anni ottanta
a partecipare alla formazione sindacale dell’Flm, il sindacato
unitario dei lavoratori metalmeccanici; ciò gli consentiva di
offrire qualcosa che aveva elaborato agli operatori sindacali e di
ricavare in cambio l’esperienza in atto del lavoro di fabbrica, nel
suo divenire al tempo dell’introduzione delle nuove tecniche
produttive. La sua esperienza di lavoro e di insegnamento si è poi
riversata nelle settimane, per lui decisive, dei corsi all’Università
di Campinas in Brasile, pubblicate nel 1992 da Ediesse e recentemente
dalle edizioni dell’Asino (Quattro lezioni all’università di
Campinas in Ieri e domani), Pino Ferraris spiega così il
suo metodo nel presentare Campinas: «Il sottotitolo Quattro
lezioni all’Università di Campinas indica il vincolo di
“scritto d’occasione” che costringe questo testo. “Quattro
lezioni” dedicate alle tumultuose, variegate e cruciali vicende di
più di mezzo secolo di sindacalismo europeo costituiscono un limite
drammatico, che impone selezioni drastiche che obbligano a una
temeraria torsione interpretativa. Resta nell’ombra il lavoro
analitico e risultano fortemente mutilate le possibilità narrative.
Nelle “lezioni”
rimangono poi fissati e cristallizzati i nodi storici e logici
proposti alla discussione, isolati da quegli svolgimenti ulteriori,
da quegli arricchimenti e aggiustamenti che si sviluppano nel corso
del concreto lavoro seminariale, “Università di Campinas”: gli
interlocutori previsti, i destinatari di queste “quattro lezioni”
ne hanno condizionato la stesura; studenti, docenti universitari,
dirigenti sindacali hanno costituito un’area intellettuale di
riferimento che è profondamente coinvolta nella fase di “stato
nascente” del giovane e militante sindacalismo brasiliano. Gli
interrogativi che in essa urgono vertono sui nodi essenziali, sulle
opzioni di fondo: rappresentanza di interessi e orientamento ai
valori, forme associative e metodi di lotta e di negoziato, relazioni
tra classe operaia e popolo, rapporto tra azione sindacale e lotta
politica...».
Campinas fa parte
di una raccolta di tre scritti di Pino, uno dei quali è Un
protagonista dimenticato, Osvaldo Gnocchi Viani. Con esso
l’autore intende risarcire una figura dimenticata della lunga
vicenda del movimento operaio italiano, il fondatore della Camera del
lavoro di Milano. E nel farlo, Pino scrive un saggio storico e
politico di altissimo livello per far conoscere un’altra storia e
riflettere sulle origini di quello che oggi rischiamo di perdere.
Il Volume dell’Asino ha
anche una dedica, «a mio nipote Francesco». Francesco è un
bellissimo bambino di quattro anni che da ieri non ha più il nonno.
Pino, persona rustica e poco incline ai sentimentalismi, per suo
nipote si lasciava andare. Aveva rinunciato, nel tempo della lotta
politica, a gran parte delle gioie della paternità. Poiché non
aveva imparato, allora, come fare, tutto assorbito nel grande
progetto, ora stava riprendendo con grande impegno il tempo perduto,
per mano a un bimbetto.
“il manifesto”, 3
febbraio 2012
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