Le
Favole al telefono che Gianni
Rodari dedicò nel 1962 A Paoletta Rodari (la
figlia) e ai suoi amici di tutti i colori sono
un capolavoro.
La
cornice in cui sono inserite è l'obbligo contratto dal ragionier
Bianchi di Varese, rappresentante di commercio in giro per l'Italia,
di raccontare per telefono, alle nove in punto di ogni sera, una
favola alla propria bambina, storie “tutte un po' corte” perché
“il ragioniere pagava il telefono di tasca sua”. A quel tempo non
c'era ancora la teleselezione e i numeri telefonici li connettevano
tra loro le benemerite centraliniste le quali compensavano la scarsa
retribuzione con la possibilità di ascoltare qualche brandello di
conversazione. Scrive Rodari che “quando il signor Bianchi chiamava
Varese le signorine del centralino sospendevano tutte le telefonate
per ascoltare le sue storie”. Come si vede lo scrittore era
pienamente cosciente del valore del suo prodotto e dell'attrattiva
che è capace di esercitare anche verso chi non è più bambino. Le
invenzioni di Rodari in questo libro e le tecniche per realizzarle
sono varie e meritano di essere oggetto di studio. Questa favola che
riporto mi pare – per averla sperimentata - in grandissima sintonia
con l'immaginazione infantile, specie femminile: sta qui il suo
fascino, secondo me grande. (S.L.L.)
C'era una volta una
bambina che ogni sera, al momento di andare a letto, diventava
piccola piccola:— Mamma, — diceva, — sono una formica.
E la mamma capiva che era
ora di metterla a dormire. Allo spuntare del sole la bambina si
svegliava, ma era ancora piccolissima, ci stava tutta sul cuscino e
ne avanzava un pezzo.
— Alzati, — diceva la
mamma.
— Non posso, —
rispondeva la bambina, — non posso, sono ancora troppo piccola.
Adesso sono come una farfalla. Aspetta che ricresca.
E dopo un po' esclamava:
— Ecco, ora sono ricresciuta.
Con uno strillo balzava
dal letto e cominciava la nuova giornata.
da Favole al telefono,
1962
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