Nel 1981 Rizzoli pubblicò
in traduzione italiana il Mussolini dello
storico inglese Denis Mack Smith, la terza (dopo Garibaldi
e Vittorio Emanuele
II) delle sue “biografie
italiane”. “L'Europeo” ne pubblicò una presentazione a cura
dello stesso autore (titolo Mussolini e il professore),
da cui ho ripreso il brano che segue. (S.L.L.)
Mussolini sceglieva tutti
i suoi collaboratori in modo che non potessero dargli ombra. Alla
fine tutti si rendevano conto che i loro consigli erano sgraditi al
capo o addirittura (come Mussolini disse e Oraziani confermò) che
ogni consiglio sortiva quasi invariabilmente l'effetto di indurlo a
fare esattamente l'opposto. Ben pochi erano quindi i suoi colleghi
con una personalità forte e indipendente. Per lo più erano anzi
dotati di scarsa intelligenza, dato che la mente era una cosa di cui
Mussolini diffidava. Poiché per il movimento valeva più uno
squadrista che un intellettuale, «sarà cura del fascismo
ammobiliare un po' meno sontuosamente il cervello degli italiani»,
perché lui in definitiva aveva bisogno soprattutto di soldati, cioè
di «analfabeti coraggiosi».
Il risultato fu che per
sua propria scelta tutti i gerarchi fascisti erano personaggi di
second'ordine, se non addirittura veri e propri delinquenti. La
miglior qualifica per ottenere un posto era mostrare di saper
sbaragliare gli avversar! con brutalità e sprezzo della legge. Chi
sostiene che il fascismo non ha creato una classe dirigente sbaglia.
Sebbene i conservatori di prima del fascismo mantenessero ancora
certe leve di controllo, c'era tuttavia una classe dirigente affatto
nuova, composta di squadristi, vale a dire di quei gangster e di quei
tipi violenti, il cui requisito essenziale non era l'intelligenza o
l'efficienza, ma la lealtà al duce, l'ubbidienza cieca e
incondizionata ai suoi ordini.
Starace non era certo il
meno incompetente. Muti e Vidussoni erano ancora peggio, ed erano
tutt'e due designati a succedere a Starace nella segreteria del
partito fascista, il secondo posto per importanza del regime.
L'assoluta mancanza di talento tra i leader fascisti non può che
indurci a chiederci come potesse Mussolini tenere in piedi questa
colossale truffa da solo e imporsi perfino come oggetto di timore e
di ammirazione. La risposta più semplice è che Mussolini era un
bravissimo showman, oltre che il primo capo di governo che avesse
capito l'importanza della stampa di regime. Da bravo giornalista,
Mussolini aveva imparato che i fatti si possono anche inventare e che
in genere i lettori sono tanto ingenui da lasciarsi facilmente
ingannare.
Una volta diventato capo
di governo, aveva capito che finché si poteva eludere la critica
pubblica e convincere la gente di avere otto milioni di baionette,
divisioni corazzate e un'aviazione in grado di oscurare il sole, si
poteva benissimo fare a meno di avere veramente tutto questo. Questa
brillante scoperta gli insegnò che una buona propaganda non solo
rendeva la verità irrilevante, ma rendeva addirittura superflui i
concreti successi politici. Convincendo tutti che «Mussolini ha
sempre ragione», si manteneva al potere, e questo era il suo scopo
principale. Ma in questo modo finì per ingannare se stesso e Hitler
e contribuì a scatenare una guerra per la quale in realtà non aveva
pronto nessun esercito.
La sua abilità di
propagandista impedì che ci si rendesse conto dell'inefficienza del
fascismo e vi si ponesse rimedio. La grandissima abilità di
Mussolini finì per essere la causa della sua rovina.
“Europeo, 19 ottobre
1981
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