3.5.15

Lirici greci antichi. Quante dracme per un verso? (Carlo Zaccagnini)

«So una sola cosa, importante / rispondere con terribili mali a chi mi fa del male»: così, senza mezzi termini, Archiloco, il primo grande lirico greco. Odio e amore: «Alcuni dicono che un esercito di fanti, / altri di cavalieri, altri di navi, / sia la cosa più bella sulla terra nera; / io dico che la cosa più bella è ciò che si ama». Saffo, «crine di viola», fissa in termini perentori l'eterno paradigma della condizione amorosa, altrove analizzata in tutte le sue contraddittorie manifestazioni; dal desiderio struggente per la lontananza dell'amata («E ora d'Anattoria ch'è lontana / mi desta il ricordo: / vorrei vedere di lei l'amato incedere / e il luminoso fulgore del viso»), all'angoscia per la vana attesa («Tramonta ia luna / e le Pleiadi: è a mezzo / la notte, è trascorsa l'ora: / e io dormo sola»), alla gelosia che stravolge («Mi sembra simile agli dei / quell'uomo che ti siede di faccia / e da vicino dolcemente ascolta te che parli / e ridi d'amore: questo / mi sconvolge il cuore nel petto / ...sono più verde dell'erba / e sembro vicina a morire»).
La lirica greca, anche se conservatasi in misura così ridotta, è un fenomeno artistico unico, in quella sua perfetta rispondenza dell'uso magistrale della lingua poetica a un mondo di interessi e di passioni di sbalorditiva finezza e complessità. Alcmane, vecchio, sente la nostalgia della giovinezza e dell'amore: «O fossi io, fossi io il gabbiano, / che sul fiore dell'onda vola insieme alle alcioni!»; Alceo gioisce con primitiva violenza per la morte dell'odiato tiranno di Mitilene: «Ora bisogna ubriacarsi e bere a forza / perché è morto Mirsilo», ma avverte anche lo smarrimento dell'incerta situazione politica, nella celebre allegoria della nave: «Non comprendo la direzione dei venti: / da questa parte rotola un'onda, / di là un'altra e noi in mezzo / siamo portati con la nera nave / fiaccati dal violento turbine».
Bruno Gentili, oggi tra i più profondi conoscitori della poesia greca, sa cogliere come pochi altri gli aspetti più significativi del mondo della lirica arcaica, in quel lasso di tempo che va da Omero all'età di Pcricle. Il suo libro offre una brillante selezione di una tematica in sé ricchissima: si vedano soprattutto i capitoli che affrontano il rapporto tra oralità e cultura arcaica, il nesso tra poesia e musica, e chiariscono il carattere di originale performance del poeta che recitava di fronte al suo pubblico, riscoprendo in definitiva il valore autentico di una poesia che «diveniva lo strumento precipuo dell'integrazione dell'individuo nel contesto sociale». L'analisi del rapporto tra poeta, committente e pubblico conduce Gentili a chiarire la collocazione dell'artista nel contesto globale della società greca e a evidenziare l'intreccio dei fattori politico-ideologici, artistici e pratici che ne caratterizzava la figura e l'attività complessiva.
Si riesce allora a capire perché Pindaro proclamasse di non essere un «facitore di statue» e di non produrre «figure che stanno immobili sul piedistallo», ma orgogliosamente rivendicasse la gloria universale e duratura assicuratagli dalla sua voce di poeta. E dunque, la «parola», che ancora più del «marmo», procurava fama e, con essa, dracme: tante.

EUROPEO/24 MARZO 1984

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